“Il Coraggio della Memoria”: il ruolo dei testimoni per tramandare la storia contemporanea.
Relazione riassuntiva dell’incontro di presentazione dell’Annuario “Agorà” del Liceo scientifico G. Ferraris di Varese, Maggio 2001: ”Il coraggio della memoria e la storia europea del ‘900”
All’interno della comunità educante il ruolo dei testimoni e la trasmissione della memoria: scuola e giovani generazioni.
I cultori della storia, gli insegnanti, gli educatori, i testimoni degli eventi devono mantenere il rapporto con il concreto relazionarsi delle comunità, con la testimonianza dei singoli, ma anche, in una prospettiva di trasformazione delle memorie, in un tessuto storico e sociale robusto, che confluisca in progetti e consista in una fonte di energia e di riflessione per le nuove generazioni. Questo passaggio dal ricordo, dalla narrazione alla memoria, alla storia, alla riflessione è un processo che deve avvenire tramite il contributo della scuola, non concepita meramente come domicilio, insieme di persone, ma come una comunità di studio, contesto di comunità educante intesa nel senso e significato culturale di progettazione di idee e di confronto; perché l’attenzione e dimensione specifica dell’istituto scolastico consiste nella trasmissione culturale, lavorando, interagendo con le nuove generazioni, attraverso il metodo, lo strumento, la modalità ultima, pedagogica dell’impegno culturale, educativo del confronto, dell’interscambio di progetti e di idee e costruzione, elaborazione collettiva di basi valoriali. Il rapporto “memoria e testimonianza” è l’importante filo rosso educativo come il riferimento all’aspetto di documentazioni di studio e ricerche, elaborate, a diversi livelli, sia come eco di studi e indagini qualitative a livello nazionale ( CEDEC ANED ANPI), sia di progetti di ricerca, attività di studio e documentazione, intrapresi dalla scuola, da insegnanti e da esperti e tecnici di settore. Dunque veramente la scuola diventa comunità di ricerca, dove gli studiosi sono operatori sociali, insegnanti, impegnati a livello storico non avulso e disancorato dal territorio circostante, dal sistema formativo: per cui i progetti di recupero storico si intraprendono in interazione con i vari enti ed agenzie educative operanti nell’ambito territoriale stesso, dove la comunità scolastica si apre al sistema formativo nella sua complessità ed auspicabile integrazione. Pertanto i ricercatori si trovano ad operare utilizzando ed animando pedagogicamente le agenzie educative, dalle biblioteche, agli oratori, al volontariato associazionistico culturale, pubblico e privato, in prospettive auspicabili e realizzabili positivamente, di senso compiuto, perché prodotto di interazione tra parti, per un passaggio di idee ed un’intermediazione effettiva, efficiente ed efficace. La voce culturale e la memoria che scaturisce e si raccoglie nella scuola, attraverso di essa deve poi avere un suo deposito, un simbolo, una rappresentazione, senza essere lasciata solo al ricordo delle persone intervistate, dei testimoni o dei ricercatori, per cui si approntano i documenti in opuscoli, ingenti annuari, manuali di storia locale ecc…per seminare e diffondere valori, ottenere un seguito di idee, retaggi di memorie significative nel tessuto sociale. I punti cardinali sono il ruolo educativo dei testimoni nella formazione e tradizione di una memoria collettiva di esperienze e documenti recuperati, considerando le figure pedagogiche dei testimoni e le questioni salienti dei processi di partecipazione: come partecipare, rendere partecipi a tali esperienze, tradotte in testimonianze, le giovani generazioni. Come passare e tramandare la memoria è il nodo del rapporto di formazione nella interazione tra memoria e storia, tra testimonianze e fonti di diverso tipo, per chiudere un cerchio ideale per giungere ad una trama di storia da proporre ai nostri giovani.
Il rapporto memoria e storia.
I partigiani italiani ammettono che è importante la memoria, perché aiuta a superare situazioni anche estremamente difficili collegate alle vicende, agli avvenimenti ed eventi inerenti la conquista della democrazia, vissuti in prima persona dagli ormai anziani testimoni.
La memoria della resistenza costituisce un ingente patrimonio morale, culturale, etico, da difendere e valorizzare perché, purtroppo, molte volte viene dimenticato, ignorato, in quanto rischia, sottovalutato di importanza, di cadere in oblio, nella società italiana, insieme alla complessa memoria storica di quel periodo caratterizzato dalla lotta, dalla guerriglia, nella resistenza alle leggi, alle regole, ai dettami dell’antifascismo, che ha portato il nostro Paese ai principi cardine della Costituzione ed all’identità di Repubblica: questo non dobbiamo dimenticare…Sono valori sacri che devono essere portati a conoscenza e trasmessi soprattutto alle giovani generazioni per far comprendere il senso del sacrificio, l’impegno, le lotte per rivendicare la libertà, condotte per la democrazia, con la conseguente deportazione di parte del popolo italiano, militante nel movimento antifascista, nei campi di concentramento e sottocampi di sterminio… e centinaia di migliaia di morti conoscenti, amici, compagni, partigiani, donne, bambini senza nome, senza età, senza sesso, senza più identità e dignità, ridotti a larve umane senza volto…Oggi dobbiamo ricordare questo passato di terribile vergogna per impedire che il danno possa rivivere, ripresentificarsi, reiterarsi nella vita morale e politica del nostro Paese. Anche nell’ultima campagna elettorale ANPI ed ANED hanno apportato l’esempio, con la loro fattiva presenza, dell’impegno, nell’importanza del ricordare e tramandare la memoria storica e il significato che rappresenta la militanza del popolo nella società italiana per la conquista della democrazia e della libertà. L’impegno fondamentale contemporaneo di tutte le forze politiche, morali, sindacali, culturali deve consistere nella difesa dei valori della Costituzione, il che significa mantenere fede al sacrificio di più di 60.000 uomini e donne, giovani e anziani, battuti per difendere la libertà, la democrazia a vantaggio delle giovani e future generazioni. Lo spirito dell’antifascismo e l’anelito della resistenza è ancora in gran parte presente nella coscienza della società italiana, del popolo. Occorre tenere presente e far rivivere la memoria storica, ma soprattutto nell’impegno della difesa della Costituzione Repubblicana, che per il popolo italiano assume importante significato di libertà, democrazia, giustizia sociale: la nostra Costituzione è una delle più avanzate in tutta Europa. Per questo motivo le nuove generazioni devono conoscerla e rispettarla in un continuo rapporto dialogico con la memoria storica.
La generazione della Resistenza, che è sopravvissuta alla guerra, ha voluto testimoniare, tramandare le vicende, gli avvenimenti, mostrando così una grande attenzione nei confronti dei giovani. Ma le generazioni intermedie dell’Italia Repubblicana hanno sicuramente subito un’interruzione di memoria. Quando l’ex Ministro della Pubblica Istruzione Berlinguer, nel novembre del ’96 ha inserito d’autorità la storia contemporanea nell’ultimo anno delle scuole superiori, improvvisamente ci si è resi conto di quanto fosse difficile coniugare la memoria individuale e collettiva con l’interpretazione e la narrazione storica che ha aperto nuovi problemi agli insegnanti, sfide innovative alla scuola. Secondo Norberto Bobbio, il mestiere dell’insegnante è contemporaneamente terribile ed affascinante: terribile per le responsabilità che comporta; affascinante perché stabilisce il dialogo con le giovani generazioni, con il nuovo, il futuro, tra differenti contesti epocali e diverse identità sociali formatesi nell’evoluzione dei tempi…per questo risulta un mestiere estremamente difficile. Gli insegnanti, tra gli intellettuali, sono coloro che più di tutti esercitano direttamente la funzione dell’autodidatta, perché molto spesso devono adattarsi a cambiamenti decisi altrove e studiare, intervenire ed aggiornarsi o meglio autoaggiornarsi.
Scuola e storia contemporanea: laboratori e corsi organizzati dal Ministero della Pubblica Istruzione rivolti agli insegnanti.
Per la storia contemporanea è sortito un immane lavoro del Ministero della Pubblica Istruzione dedito all’aggiornamento degli insegnanti a cui l’Istituto Nazionale della Resistenza ed i distretti decentrati su tutto il territorio italiano hanno collaborato a livello centrale e locale, con grandi esperienze dove si è messo a punto, anche grazie a ispettrici preposte, un modello di corso di aggiornamento che è poi stato utilizzato in altre circostanze, partendo dal presupposto che non è sufficiente l’aggiornamento relativo ai contenuti, appunto di tipo passivo e parziale, ma è risultato necessario facilitare l’intervento di altri elementi nella conoscenza storica: sicuramente la metodologia storica e la didattica della storia, ma, per esempio, anche oltre la storiografia, l’inserimento del tema delle testimonianze e delle memorie di vita. Alcuni corsi erano giocati appunto non sulla tematica della memoria divisa, ma sull’argomento relativo alla pluralità delle memorie, sia per quanto riguarda e concerne la seconda guerra mondiale, la resistenza, i movimenti del ’68, ma per esempio, anche la tragica diatriba tra palestinesi ed israeliani, argomento, oggi, di una sconvolgente e drammatica attualità. Quindi pluralità di memorie, ma anche di interpretazioni storiche a confronto. Sulla base di queste esperienze di iniziative ed attività educative concretizzatesi in corsi di didattica e divulgazione in tutta Italia a livello regionale per l’aggiornamento del corpo insegnanti e di laboratori con giovani studenti di discussioni relative alle condizioni di vita, focalizzate, al centro di situazioni esperienziali in rapporto al loro tempo, sortiva il concetto di deprivazione di memoria nei giovani, deprivati, appunto di storia, depauperati di volontà di memoria e conseguentemente di motivazione ai perché, agli eventi, alle vicende storiche. La responsabilità non è certamente da attribuire ai ragazzi che non ricordano, perché essenzialmente non hanno vissuto gli eventi, “non c’erano”… Il problema sostanzialmente consiste nell’assenza di memoria, di consapevolezza del proprio vissuto che evita, impedisce a ciascun soggetto di recuperare il senso dell’esistere e di esserci nella storia, l’esercizio passivo o attivo del vivere nella storia come primari, principali fattori causanti, attori nel palcoscenico del divenire, nel teatro dell’avvicendarsi inesorabile degli eventi, del susseguirsi incessante degli avvenimenti.
Certamente alcuni periodi storici favoriscono la solitudine, l’individualismo, il disimpegno politico, la non partecipazione, l’astensione, nella “solitudine della società globalizzata”, a cui susseguono altri momenti, periodi più alti, elevati di impegno politico, collettivo che favoriscono, aiutano la trasmissione della memoria storica.
Era accaduto un dato su cui ci si è molto soffermati nella ricerca da parte del Ministero della Pubblica Istruzione “Memoria ed insegnamento della storia”: proprio la generazione che ha vissuto gli anni ’70 di maggior conflitto ideologico non ha passato, trasmesso, tramandato memoria, non avendo metabolizzato e rivissuto criticamente anche il sentimento, il senso diffuso di un fallimento che alcuni dei partecipanti alle lotte politiche di quel tempo hanno sperimentato e reso proprio, personale, a livello di bagaglio culturale. I corsi ministeriali hanno centrato storicamente questo tema della memoria nei confronti degli insegnanti, attraverso gli anni della formazione individuale e professionale e culturale nel periodo prossimo al dopoguerra (anni 50 e 60) che coincide con la grande trasformazione economica, culturale e sociale del nostro Paese. Sussiste una difficoltà dell’educazione alla memoria per cercare gli strumenti finalizzati alla ricostruzione di memoria a scuola e sul metodo didattico da impiegare, non solo per l’utilizzo (il far tesoro) del testimone durante la spiegazione storica in determinati contesti, ma anche per usare criticamente la propria, personale memoria percettiva in modo che lo studente costruisca, in rapporto reciproco, relazioni interpersonali e possa sperimentare sulla propria persona la situazione che lo psicologo Giuseppe Mantovani sostiene in una conversazione in atto :”i giovani entrano in un flusso e processo di tipo storico e gli adulti devono loro spiegare a che punto si trova la conversazione, attribuendo loro gli strumenti perché intervengano nel processo di trasmissione di memoria”.
Nella società precapitalistica tradizionale i cui momenti apicali erano scanditi da feste popolari in comunità, saghe narrate e cantate, rituali stagionali reiterati, ciclici in rapporto al divenire della natura circostante, di memorie povere o grandiose tramandate di padre in figlio, condizioni non più esistenti né in territori di campagna né di città, nell’ambito del nostro Paese d’appartenenza, gli anziani in questo tempo mitico, in illo tempore, svolgevano e praticavano l’importante e vitale funzione di spiegare ai giovani come si viveva, cosa era la vita nel presente, nella quotidianità… la situazione patriarcale chiusa, anche autoritaria, evidentemente, permetteva che sussistesse una rituale trasmissione di memoria anche a livello di quotidiano di piccole esperienze, di personali vissuti. Nella società contemporanea ancora una volta la scuola deve assumersi un compito che forse non le è proprio, appunto, la funzione basilare relazionale tra generazioni di trasmissione della memoria storica, ma in assenza di un sistema formativo efficientemente integrato, di una più ampia ed estesa società educante in contesti di comunità. L’unico luogo educativo molto prezioso a tal fine risulta appunto l’istituzione scolastica, con tutti i suoi problemi irrisolti, le questioni pesanti, le difficoltà evidenti, sia a livello burocratico sia sulla base dei rapporti di incontro ed interscambio dialogico e culturale tra generazioni, di intesa ed accordo comuni nei processi didattici ed educativi. Questo rapporto tra memoria e storia risulta un binomio relazionale tra le singole soggettività. Una frase di Holfam, nell’introduzione del “secolo breve”, che descrive la condizione dello storico nello studiare storia contemporanea, si adegua proprio alla posizione ed al ruolo degli insegnanti. Sostiene Holfam: “parliamo dei nostri ricordi ampliandoli e correggendoli e li rievochiamo come uomini e donne di un tempo e di uno spazio particolari, coinvolti in varie guise, ruoli, aspetti, nella storia, come attori di un dramma, per quanto siano state insignificanti le nostre parti, come osservatori del nostro tempo e, non da ultimo, come persone le cui opinioni sono state formate da ciò che noi siamo giunti a considerare come eventi cruciali: siamo portatori di questo secolo che è parte di noi”. Questo spiega, per esempio, l’attenzione per lo sterminio, per la Shoah, come parte fondante della coscienza successiva alla seconda guerra mondiale. Ma il problema consiste nel fatto che senza memoria diventa molto difficile presentare, prospettare, progettare il futuro. La memoria è una mappa di orientamento del presente in quanto permeabile, muta nel tempo, si trasforma, è proteiforme…per esempio, un problema emerso tra i colleghi del gruppo di progettazione di ricerca consisteva nel quesito: cosa può ricordare una generazione che non ha vissuto situazioni estreme e precarie da ricordare, eventi eroici da raccontare, condizioni traumatiche come la guerra da scongiurare…cosa ha da ricordare?
Nei laboratori ministeriali si sono svolti esercizi di memoria considerando e valutando che per la generazione degli anni ’50 e ’60 tra i colleghi non sussisteva tanto una memoria politica quanto di tipo sociale riflessa nei grandi cambiamenti intervenuti nella storia italiana. Siamo partiti dal presupposto, messo in luce dal pedagogista Alessandro Cavalli, nell’ambito della ricerca dal titolo “i giovani ed il tempo”, per cui ha evidenziato la netta cesura di memoria politica come elemento che non ha permesso il passaggio di consegna delle eredità conquistate come monito ed indicazione riguardo alla storia contemporanea trasmessa alle nuove generazioni. Il rapporto tra adulti e giovani consiste nel necessario passaggio di memoria come elemento di costruzione e di confronto della storia.
Riflessioni sulle “memorie”…
La memoria rappresenta per colui che racconta la ricerca del senso di un fatto accaduto nel passato in base alle indicazioni del presente: questo è di grande stimolo dal punto di vista della didattica della storia. Sono le domande del presente che portano ad evidenziare certe situazioni e condizioni vissute nel passato. Sempre più gli insegnanti sono chiamati alla responsabilità della scelta dei contenuti da sottoporre ai ragazzi, perché più si allarga il campo della storia, più la cernita responsabile, critica, storiograficamente accettabile e pertinente risulta importante ed insostituibile. Quando i giovani si rivolgono ad adulti o ad anziani per sentirsi raccontare dei fatti accaduti in un passato prossimo o remoto della storia del nostro secolo, essi stessi cercano e vogliono attribuire senso alla propria vita ed esistenza trovando radici, matrici di significato in ciò che è stato ed è accaduto, agli eventi della storia individuale e collettiva che li ha causati direttamente, a tutti gli effetti. Questo è il grande dono di colui che ha esperienza consolidata, rispetto a chi si deve costruire da solo un proprio senso dell’esistenza, per ragioni individuali e personali: molto spesso non si consolida tale utilizzo ed impiego proficuo, saggio, della memoria nella società contemporanea occidentale, in quanto si cerca di vivere in un eterno presente e probabilmente si sperimenta la difficoltà di attribuire senso anche alle singole esistenze e di costruire personalità strutturate, il che consiste di conseguenza nel compito precipuo dell’educazione, della pratica pedagogica volta alla formazione della persona ed all’istruzione di cultura. Jedlowskji sottolinea la memoria come esperienza, come saper fare, ed esperienza di sapere. Spesso nella scuola il “saper fare” non è sufficientemente sottolineato nel lavoro generale, nelle mansioni quotidiane, nei compiti propri dell’insegnante.
Jedlowskji è un sociologo, ma compie una riflessione sostenendo che la forte accelerazione della nostra vita porta ad una crescente intellettualizzazione dei contesti artistici e culturali e per converso a non valutare, non assorbire e metabolizzare le emozioni su cui la memoria si basa soprattutto, come sugli affetti, sugli aspetti emozionali, nell’ambito dei sentimenti, delle passioni che comportano gli eventi. Quindi può avvenire una divaricazione tra memoria collettiva, sedimentata e memoria individuale, per cui il singolo individuo si manifesta in difficoltà, non riesce ad intrecciare ad interagire la propria esistenza con le altrui esperienze di vita. Se rapportiamo tale riflessione al mondo degli studenti, osserviamo che essi stessi non riescono ad attivare un interesse con la storia insegnata ed a rapportarsi con colui che la tramanda (insegnante, storico, studioso, testimone, operatore culturale). La memoria è la storia commentata dell’esperienza dell’uomo, come sostiene la Yourcenar, che fa dire ad Adriano: “ho ricostruito molto e ricostruire significa collaborare con il tempo nel suo aspetto di passato, coglierne lo spirito e modificarlo, protenderlo quasi verso un più lungo avvenire…significa scoprire sotto le pietre il segreto della sorgente”. La testimonianza a scuola porta l’uomo e la donna in carne ed ossa, come protagonisti esistenti e viventi della storia passata, con i loro sentimenti, passioni e scelte di vita con un impatto emotivo diretto ai ragazzi nei confronti degli eventi storici di elevatissima efficacia didattica, nei cui racconti e narrazioni sottesi all’impercettibile filo rosso del sentimento, del ricordo emotivo, si scopre “la sorgente sotto le rocce” sedimentate del tempo…La testimonianza riconsegna al legittimo attore degli eventi ed all’attento ascoltatore il senso dell’essere nella storia, in sé stessi e per sé stessi, nell’immanenza dell’attualità del momento presente.
Le parole testimonianti di Giovanni Pesce, Presidente nazionale dell’ANPI, rese note nelle scuole di ogni ordine e grado, scandiscono le date salienti della storia italiana, coincidenti con le scansioni, gli eventi, gli avvenimenti, le scelte, i cambiamenti della sua vita di militante, narrando i fatti storici collettivi, comuni che lo hanno visto protagonista, senza parlare di sé, in prima persona, risparmiando la testimonianza della ricchezza della personale, unica ed irripetibile esperienza di vita, volendo però ricordare date collettive, ma in cui Pesce stesso c’era, era presente e militante, nella contemporaneità immanente di quegli eventi.
Lo psicologo Mantovani considera la memoria una mappa per orientarsi tra passato, presente e futuro. Senza la memoria non esiste scansione storica, non ci si connette al passato ma neanche al futuro, non esiste il prezzo del senso della vita e questo fenomeno accade nelle società in crisi che cambiano radicalmente i parametri della vita collettiva. A proposito del processo di pacificazione del Sud Africa dove si è attuata un’esperienza diversa ed originale rispetto ad altri paesi, perché il governo ha presieduto una commissione dove sono stati chiamati a presenziare vittime e carnefici della guerra civile per raccontare le ingiustizie subite, sofferte o perpetrate. La ragione di tale fatto è che memorie così diverse, conflittuali, di forte contrasto venivano così a creare il variopinto ed astratto mosaico della memoria collettiva di un Paese che doveva uscire da una storia tragica. Questo processo di pacificazione, tramite il filo sublime e nobile della memoria, non è accaduto in molti Paesi europei, anche se la Germania, per quanto riguarda la Shoah ed il nazismo, ha elaborato e praticato forse un lavoro più approfondito e capillare rispetto a quello che è avvenuto in Italia o in altri Paesi successivamente.
La memoria è soggetta all’oblio del tempo, a cancellazione e rimozione: è continuamente manipolata. Chi plasma oggi la memoria collettiva? Si oscilla tra l’opinione che non esista memoria o che è partorita dai media. Anche se più che memoria i media generano un senso comune condiviso. La costruzione di memoria richiede necessariamente un intreccio interpersonale, mentre i mezzi di comunicazione di massa compiono un’operazione autoritaria, perché il messaggio risulta univoco e con cui non si può interferire ed interagire: è un contenuto non partecipato dialogicamente, dialetticamente, attraverso l’interazione relazionale e razionale tra soggetti.
L’istituzione scolastica, in primis responsabile della trasmissione di memoria storica contemporanea.
Per lavorare come insegnanti a scuola in progetti riguardanti la storia contemporanea e la memoria storica occorre affrontare in modo critico l’uso pubblico delle fonti e dei documenti che testimoniano gli eventi storici. La scuola per molto tempo ha trasmesso la storia patria: un processo finito, compiuto. Sicuramente l’istituzione scolastica ha perso una centralità educativa di comunicazione di molte informazioni e conoscenze che attualmente sono retaggio specifico dei massmedia, anche perché gli insegnanti usano moltissimo gli strumenti visivi, sapendo che consistono in rielaborazioni anche rispetto ai documenti che citano, perché spesso il commento di un documento storico viene elaborato sulla base delle immagini che si sono trovate a disposizione, e non necessariamente con quelle più convergenti e congruenti rispetto al contenuto specifico da trasmettere. Poiché l’impatto visivo è emotivamente molto più alto rispetto al messaggio verbale, i media hanno compiuto un’operazione che contraddice in parte anche quello che i sociologi ottengono come risultato delle inchieste, perché mai come negli ultimi anni si sono riprese parti, frammenti, momenti della nostra storia con annesse reinterpretazioni, adattando certi aspetti ed estrapolandone altri dal contesto, e si è compiuta così un’immensa operazione di memoria collettiva. Dunque si è passati da una fase in cui la memoria della seconda guerra mondiale, della resistenza, dell’internamento, della deportazione, del complesso fenomeno concentrazionario nella sua globalità, erano rievocati, rammentati, rimembrati dai testimoni in ambiti e contesti collettivi e socioculturali, alla fase in cui è stata elaborata dalla storiografia, come è giusto, fino ad approdare a questo ultimo stadio di ricerca in cui è soprattutto il documento ricostruito con tutte le componenti necessarie della drammatizzazione, a volte persino della fiction, che hanno veicolato una certa memoria. Occorre anche considerare le memorie di vita, le narrazioni autobiografiche, pluralità di memorie del contesto storico che contiene esperienze plurime e diverse, mentre molto spesso si individua in un personaggio, in un evento, in una giustificazione il senso della storia ed in questo uso pubblico e decisamente politico della storia è subentrato un grande coinvolgimento che non ha ottenuto altro che un dibattito di contrapposizioni. Sono legittime le posizioni ed opinioni di storici cosiddetti revisionisti, che contrastano la visione della resistenza connessa strettamente alla nostra democrazia e che attua un vero riferimento ai testimoni ancora in vita, militanti nell’associazionismo storico culturale (ANED ANPI) ed alle vittime, con reali interpretazioni. Esiste una differenza tra queste due modalità e visioni interpretative di leggere la storia più recente del nostro Paese, che consiste appunto nell’opinione anche di storici relativa al lavoro storiografico: il parere può essere formulato sulla base di ipotesi, di ideologie e convinzioni, mentre la storia si costruisce in base alla fonte dei documenti, per cui si parla di uso pubblico della storiografia, perché il documento viene messo in secondo piano e si preferisce elaborare riproposizioni dell’accaduto sulla base di un’interpretazione che spesso non fa riferimento ai documenti a disposizione, vale a dire le fonti normali, cartacee, testimonianze, memorie raccolte ed elementi visivi che nel lavoro dello storico vanno tenute insieme per essere lette ed interpretate globalmente ed utilizzate criticamente.
Perché ci soffermiamo tanto sulla costruzione di memoria storica? Non esiste solo il problema di motivare i ragazzi all’apprendimento della storia, perché questa materia, per sua definizione, è una disciplina nomotetica. Non è un caso che la discussione di una riforma della scuola si sia poi focalizzata sul programma e sul curricolo di storia.
La storia è anche educazione alla convivenza civile di un Paese ed allora questo termine della responsabilità della memoria, emerso dalle interviste dei docenti che partecipano alle ricerche di memoria ed insegnamento della storia, è un tema della responsabilità educativa che riemerge attualmente con molta evidenza all’interno del corpo docenti anche con la prova dell’autonomia della scuola, dove il ruolo dell’insegnante diventa necessariamente di scelta, di orientamenti di indirizzi, di contenuti e di organizzazione collettiva della dimensione scolastica, concedendo, trasmettendo ai ragazzi, gli strumenti per costruire, riabilitare la memoria al fine nobile di interagire con essi tra passato, presente e futuro, da interiorizzare come responsabilità educativa primaria, al pari della costruzione di tematiche rigorose della storia. I docenti sono organizzatori di sapere nella loro funzione specifica e nel caso della storia contemporanea e soprattutto nel caso della seconda parte del novecento, diventano attori primari degli eventi trascorsi e testimoni principali degli avvenimenti che raccontano e trasmettono perché vissuti in prima persona in un contesto storico globale. Gli insegnanti prima di affrontare un lavoro congiunto con gli studenti, relativo alla memoria storica, devono compiere un lavoro molto serio sul concetto di memoria. In un momento epocale per cui molti individui si sentono singoli ed isolati, perseguono l’interesse personale e non collettivo, vivono in situazioni estreme di solitudine esistenziale, intellettuale e sociale, avere memoria significa assumersi la responsabilità della propria vita ed anche di un modo di esserci di esistere, di partecipare, nel processo storico che viviamo. Il coraggio della memoria, vale a dire andare alla ricerca della storia non è di per sé un fatto che ci porta a valutare anche il presente. I fatti della storia sono sempre la conseguenza e la continuazione di altri eventi, altri avvenimenti, e quindi non è possibile ignorare una parte del passato se si vuole pensare al presente e proiettarsi nel futuro. Quando si parla di storia contemporanea si dimostra la fortuna della ricerca di atti, di fatti e testimonianze che offrono certamente agli storici la possibilità di valutare e di trasmettere queste esperienze e dati di ricerca ai giovani. Negli incontri dei testimoni della resistenza con i giovani si è maturata negli anni una maggiore consapevolezza e coscienza storica. Sostiene Giovanni Pesce Presidente Nazionale dell’ANPI :”Noi abbiamo vissuto esperienze tali, che rievocate oggi, mi danno l’impressione di essere al di fuori della mia persona. Riconosco i fatti, cito i casi, i dati, i protagonisti, ma talvolta avverto la sensazione di stare seduto in una platea e di vedere questi eventi rappresentati in palcoscenico. Con lo scorrere degli anni non si prova più la passione, l’emozione che cresceva dentro di noi in passato e forse i fatti risultano forse anche più chiari, più luminosi ed il discorso, il dialogo, anche con gli insegnanti difficilmente riporta alle singole esperienze personali”. Gli eventi si considerano in una dimensione diversa ed in qualche caso con cartine geografiche o film si riescono ad approntare dibattiti estremamente vivaci che riportano alla memoria non solo i fatti, gli avvenimenti, ma i motivi, le cause. Gli aspetti ignorati maggiormente sono i documenti che precedentemente, all’inizio della guerra, durante il conflitto, sono stati emessi e che denunciano, in primo luogo come gli eventi bellici si sono verificati per certi obiettivi (l’accordo prima con la Germania, poi con la Germania ed il Giappone). Questo disegno strategico in atto che i partigiani, oggi testimoni, non riuscivano allora a comprendere bene, mentre si viveva l’evoluzione dei momenti bellici, ha portato poi, col tempo, e per le modalità in cui si è svolta la Grande Guerra, ad intuire che la strategia bellica era mortale per l’intero globo. Quando l’esercito tedesco è giunto al Volga e si è bloccato a Stalingrado, in quel momento si è capito che se Hitler avesse vinto quella battaglia e fosse riuscito ad ottenere i petrolio del Caspio, probabilmente la guerra avrebbe assunto una dimensione diversa. Il fatto che i giapponesi abbiano attaccato nell’Indocina e nella Cina, il ricongiungimento di tale disegno strategico degli eserciti fascisti che volevano dominare il mondo, oggi se avesse vinto, avrebbe creato una terribile situazione di regresso per l’umanità. E allora qual è stato poi il motivo, la ragione per cui, battuti il nazismo ed il fascismo, rotto il patto antifascista, si è cercato, in anni che sono diventati terribili, bui, dopo la guerra, di dimenticare o di far dimenticare i risultati ottenuti con la resistenza, con il movimento antifascista. Il disegno era questo: il mondo occidentale era diviso in due ed allora bisognava recuperare la Germania, il popolo tedesco che diventava importante per l’occidente. E allora ecco nascondere i fascicoli che riguardavano le stragi avvenute in Italia, in Francia e nei Balcani, e di cercare di ignorare che la guerriglia partigiana e la lotta antifascista avessero portato questo aspetto alla società moderna, all’Italia di oggi, alla Repubblica. Infatti attualmente quelli che tendono ad ignorare questi aspetti tentano di nascondere i motivi per i quali è scoppiato il conflitto per cui il mondo diviso in due doveva produrre certi effetti. E’ importante ricercare nei documenti (i giornali, le biblioteche, nei ministeri) tutto ciò che può far comprendere come si viveva allora, quali erano le ragioni fondanti per cui si è organizzata la resistenza, si è combattuto contro il fascismo. L’aspetto più qualificante della storiografia è andare alla ricerca delle memorie per la possibilità del pensiero di ricordare, di rielaborare, di parlare, di proferire il passato, l’accaduto… ma questo non basta perché è evidente che poi le memorie vanno inserite in un contesto unitario, storico comune: questa è la funzione primaria della scuola. L’istituzione scolastica è la prima forma sociale che l’individuo incontra nel suo percorso di formazione ed in cui si plasma l’avvenire delle future generazioni.