Uno sguardo alla realtà  religiosa cinese

Il pastore evangelico svizzero Tobias Brandner vive e lavora a Hongkong da dodici anni. Brandner si trova in Cina su incarico dell’organismo di partenariato tra chiese Mission 21, con sede a Basilea. A Hongkong è cappellano nelle carceri. Il settimanale svizzero Reformierte Presse lo ha intervistato a proposito della situazione religiosa in Cina.

a colloquio con Tobias Brandner

– Perché il governo cinese non vede di buon occhio le religioni?

Brandner: Le religioni sono guidate e governate da un’altra autorità. Il governo cinese è abituato a pretendere di essere l’autorità più alta. Le religioni non rispettano ovviamente questa pretesa.

– La Cina non gode di una buona immagine, in Occidente, per quanto concerne la libertà religiosa e il rispetto dei diritti umani. A torto o a ragione?

Brandner: A mio parere, a ragione. La classe dirigente attualmente al potere si preoccupa del dissenso e cerca in ogni modo di vietarlo. La crescente disparità tra ricchi e poveri provoca molta instabilità. Le autorità cinesi affrontano il problema aumentando e irrigidendo i controlli.

– In Occidente abbiamo l’impressione che il governo cinese se la prenda più con i tibetani che con i cristiani. Come giudica la situazione?

Brandner: La situazione dei cristiani è in effetti diversa da quella dei tibetani. Nei confronti dei tibetani il governo attua una vera e propria repressione, perché teme il pericolo di una secessione. Per quanto concerne i cristiani, questo timore non c’è. La maggior parte dei cristiani appartiene all’etnia Han che rappresenta oltre il 90% dell’intera popolazione cinese. Inoltre la maggior parte dei cristiani non si interessa di politica – almeno fino a quando il governo li lascia in pace. Lo Stato cinese sostiene addirittura la chiesa protestante patriottica, allo scopo di guadagnarla alla propria causa e legarla a sé.

– I buddisti possono vivere liberamente la loro fede in Cina?

Brandner: Per i buddisti vale ciò che ho detto per i cristiani. Se mantengono un atteggiamento patriottico e non esprimono critiche contro il governo, vengono lasciati in pace o addirittura sostenuti. È raro che abbiano delle critiche da muovere al governo.

– Qual è la situazione della minoranza musulmana degli Uguri?

Brandner: La paura, diffusa in Occidente, nei confronti di gruppi islamici radicali, ha dato al governo di Pechino la legittimazione per procedere contro la minoranza degli Uguri. Quella popolazione non si sente cinese e questo accresce nelle autorità il timore di una secessione. Il Tibet, il territorio uguro dello Xijiang e Taiwan sono le minacce più rilevanti all’integrità dello Stato. A Taiwan, diversamente che nel Tibet e nello Xinjiang, l’indipendenza è già una realtà.

– Il cristianesimo e la mentalità cinese sono compatibili?

Brandner: Assolutamente sì. Del resto, non conosco nessuna cultura che sia incompatibile con il cristianesimo. Forse si potrebbe dire che la mentalità cinese è anche più compatibile con il cristianesimo che non l’arida razionalità europea. In Cina i racconti di guarigioni spirituali, della cacciata dei demoni, dello Spirito santo che trasforma la vita delle persone trovano un terreno più favorevole.

– La religione dominante in Cina è il buddismo?

Brandner: No, la religione dominante è il culto degli antenati, una forma di animismo. Il buddismo si è diffuso amalgamando elementi di quella tradizione.

– E il cristianesimo? Si parla di 60-100 milioni di credenti. È più presente il protestantesimo o il cattolicesimo?

Brandner: Il protestantesimo è più presente. È anche più capace di adattarsi in modo flessibile alle diverse circostanze contestuali. Il problema, per il cattolicesimo, consiste nel fatto di essere controllato dall’esterno, da un altro centro di autorità. E ciò non piace ai cinesi, i quali da questo punto di vista sono molto sensibili.

(traduzione italiana di Paolo Tognina)

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