Il colpo di Stato

Sulla legge elettorale per le europee

di Raniero La Valle

Articolo di Raniero La Valle nella rubrica “Resistenza e pace” in uscita sul prossimo numero del quindicinale di Assisi, Rocca (rocca@cittadella.org )

È ancora in discussione tra i partiti (ciascuno studiando il proprio tornaconto) la legge elettorale per il Parlamento europeo. Il pericolo che si profila è, da un lato, che la rappresentanza italiana a Strasburgo non risulti eletta dal popolo, ma sia designata da Berlusconi e Veltroni; e dall’altro che essa sia amputata di sue componenti importanti, pur presenti nella società civile del Paese. Al primo risultato dovrebbe provvedere l’esclusione delle preferenze e la presentazione di liste bloccate in modo tale che, come dice Berlusconi, per l’Italia vadano al Parlamento comunitario dei seri professionisti della politica (con l’idea che, a lasciar fare al popolo, sarebbero eletti dei cialtroni); e fa specie che a dirlo sia lui che ha fatto dell’antipolitica e del vilipendio del professionismo politico la sua bandiera. Su questo punto peraltro sembra che il Partito Democratico faccia resistenza.

Al secondo risultato dovrebbe provvedere l’introduzione di una soglia di sbarramento che tagli fuori dalla gara le forze politiche minori, non provviste cioè di una “vocazione maggioritaria”: in sostanza le sinistre. E su questo Veltroni è d’accordo, desideroso com’è di fare il “partito riformista” più grande della storia d’Italia, proteso a vincere da solo e a perdere da solo.

Secondo Paolo Ferrero, il malcapitato segretario di Rifondazione comunista a cui ieri volevano rubare il giornale del partito, e oggi vorrebbero rubare la rappresentanza parlamentare anche europea, questo sarebbe un colpo di Stato. E non ci sarebbe nemmeno l’alibi della governabilità, perché data l’avarizia con cui sono stati dati i poteri al Parlamento europeo, a Bruxelles i deputati ci vanno non certo per “governare” ma per “rappresentare” e discutere.

Tuttavia, se è un colpo di Stato, questo è già avvenuto; il sovvertimento del sistema politico italiano disegnato dalla Costituzione del 48 è stato infatti già operato mediante lo strumento surrettizio delle leggi elettorali.

Dicono che le leggi elettorali non siano costituzionalmente vincolate e quindi si può fare quello che si vuole: anche varare un sistema seccamente maggioritario, trasformare i voti in seggi in modo ineguale tra i diversi partiti, attribuire un enorme premio di maggioranza alla minoranza meno piccola e togliere ogni rapporto tra elettori ed eletti, facendo di questi dei cortigiani simili a funzionari di nomina regia. Ma non è affatto vero che la Costituzione sia muta in proposito; il principio della rappresentanza, il principio del voto libero ed eguale, il principio che esclude il vincolo di mandato sono espliciti e inderogabili. È vero che il sistema proporzionale non sta in Costituzione, ma tutto l’ordinamento della Repubblica è concepito sul presupposto di una rappresentanza proporzionale. La Costituzione non lo dice proprio perché era scontato, così come ha trascurato di dire che l’Italia è una Repubblica bagnata dal mare.

La Costituente ha fatto questa scelta proprio perché voleva l’opposto di quello che vogliono i “nuovisti” maggioritari e bipolari di oggi: voleva che nessuno governasse da solo, che nessuno fosse padrone del Parlamento, che nessuno potesse rivendicare un potere indiviso e che se ci fosse stato un partito che da solo pretendesse di incorporare la totalità o la maggioranza del Paese, trasformando le elezioni in una roulette russa in cui tutti avrebbero finito per perdere, ci fosse la Costituzione ad impedirlo. Né voleva la Costituzione che in modo mascherato o palese si escludessero dalle elezioni forze politiche sgradite ai partiti maggiori; lo ha fatto ora Israele con un atto di violenza istituzionale escludendo dalle prossime elezioni i due partiti arabi israeliani, col motivo che sarebbero complici di Hamas. Ma quando la democrazia si fa selettiva, buona solo per i moderati, o per gli equidistanti, o per i bianchi, o per gli ebrei, o per i nativi, non è più una democrazia.

Il dramma italiano è che oggi questo rattrappimento della democrazia non è impedito da nessuno, ed anzi è favorito da molti, e magari anche con dovizia di argomenti e uso di cultura. L’era veltroniana sembra adatta a portare questo processo al suo finale punto di caduta; per questo bisognerebbe fermarsi e ripensare tutto profondamente da capo. È un bel compito per gli intellettuali, i politologi, gli ex fucini del Partito Democratico. Perché una democrazia estenuata, privata della sua forza ordinatrice, resa estranea a vaste aree del Paese, cessa di essere un valore, diventa una procedura; e non è più una risorsa che i cittadini abbiano in mano per uscire dalla crisi, per fare la pace, per realizzare la giustizia. (ildialogo.org)

Raniero La Valle

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