Il trattato con la Libia

Non v’è dubbio che il nostro Paese abbia necessità, oggi più che mai, in un quadro internazionale carico di problemi e tensioni, di portare avanti una politica di forti relazioni nell’area euro-mediterranea, con un ruolo deciso, chiaro e protagonista che per tradizione l’Italia ha sempre avuto, soprattutto nel sostenere il confronto tra le diverse culture dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Quello che, invece, è accaduto questa settimana alla Camera, chiamata a ratificare, in tutta fretta, il “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la repubblica Italiana e la grande Giamahiria araba libica popolare socialista” non va in questa direzione, nel senso che quanto stipulato non appare nell’interesse di cittadini libici o italiani quanto piuttosto nell’interesse di lobbies trasversali che andranno poi a operare all’interno di quel paese per interessi personali (leggi: presumibilmente i soliti amici della cordata Alitalia).

Va detto che – da tempo – si avvertiva il bisogno di stringere un‘intesa con la Libia dopo anni di tensioni, incomprensioni, rivendicazioni che hanno caratterizzato i rapporti tra queste due Paesi ‘confinanti’. Un fatto che finalmente mettesse la parola fine a tutte le dispute e recriminazioni afferenti un periodo di occupazione coloniale, quello tra il 1913 e il 1943, che non è stata certo una bella pagina della nostra storia. Ma quello di cui parliamo è un Trattato che non ci piace. Alcune clausole contenute in esso, infatti, sono inaccettabili, ledono il nostro interesse nazionale. L’Italia , ripeto, con troppa fretta ha rinunciato a propri diritti e legittime pretese.

Ci aspettavamo che fosse scritto a chiare lettere che anche la Libia assumeva impegni chiari, incontrovertibili per frenare il flusso di disperati che , a un ritmo ormai insostenibile, partono da quelle coste per sbarcare sulle nostre (paradossalmente l’unico provvedimento concreto chiesto ai libici è la richiesta del rispetto dei protocolli di cooperazione e sul pattugliamento del mare firmati dal precedente governo Prodi); ci aspettavamo impegni concreti per il rispetto dei diritti umani in un Paese guidato in maniera non propriamente democratica.

Invece, ci ritroviamo a impegnare l’erario a un esborso di 5 miliardi di dollari, nell’arco di 20 anni, per la costruzione di infrastrutture a risarcimento dei danni conseguenti a un periodo di sopraffazione come quello coloniale. Chi pagherà questo denaro se non noi contribuenti in termini di incremento della bolletta energetica da parte dell’Eni (e’ infatti prevista un’addizionale del 4% sugli utili di questa società che si scaricherà sul consumatore utente); ci troviamo a portare avanti una collaborazione nel settore della difesa con un forte partenariato industriale, cioè in qualche modo andiamo a concedere tecnologie e conoscenze militari, non si capisce bene a quale titolo; ci troviamo a dover controllare i confini delle zone desertiche della Libia attraverso i satelliti, come a dire che rischiamo di regalare informazioni militari per un uso politico nei confronti dei paesi confinanti; ci troviamo con l’impegno di non concedere l’uso delle basi militari presenti sul nostro territorio senza sapere come questa norma si possa collocar nel quadro delle nostre alleanze, in particolare quella della NATO.

Insomma, il voto contrario di Italia dei valori su questo trattato è nato dalla convinzione che queste norme non tuteleranno affatto l’Italia dalla marea dei tanti disperati utilizzati cinicamente proprio per fare pressione verso i Paesi europei,
Italia dei Valori ha, tuttavia, convintamente sostenuto le proposte emendative in favore dei connazionali espulsi quarant’anni fa dalla Libia in termini di risarcimento anche se, come Gruppo volevamo che questo risarcimento avvenisse con un prelievo dal doppio rimborso elettorale scandalosamente riconosciuto ai Partiti eletti nel 2006, anche per i tre anni successivi, a quelle forze non più presenti in Parlamento piuttosto che mettere le mani nelle tasche dei cittadini.

Invece, il Governo ha preferito aumentare ulteriormente l’aliquota di tassazione dall’8,3 al 10,3 per mille dell’addizionale IRES.
Ancora una volta, dunque, saranno gli italiani a pagare gli spot propagandistici e le furbate di Berlusconi.

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