L’INTERVISTA: ANTONELLA DE BONIS

PERCHÉ HAI SCELTO DI LAVORARE ALL’ESTERO?
Bhé, innanzi tutto il desiderio di viaggiare é un motore che non si e ancora spento e che anima i miei desideri fin da quando ero bambina.

Il desiderio di conoscere, di vedere, di odorare, di scoprire, si sono fusi con l’interesse di acquisire la capacitá di negoziare i significati: é l’ambizione di pensare dal punto di vista di altri.
Appena laureata non disponevo di risorse economiche ma avevo fretta di procurarne. Non ho “mollato” accomodandomi sulla poltrona che gira su se stessa; non mi son scelta il lavoro sicuro. Ho svolto tanti lavoretti anche scomodi pur di non cedere, pur di continuare a credere; del resto prima o poi si trova quel che se cerca. Nessun posto mi soddisfava; nessuno scorcio era capace di sorprendermi. Pochi i paesaggi che accendevano la mia fervida curiositá. Ecco spiegata quella spinta che, da dentro, muove a cercare qualcosa che ancora non si conosce. Tutto questo, si concretizza oggi nell’impegno a realizzare la mia professionalitá nel settore della cooperazione internazionale.

QUAL É L’ATTIVITÁ CHE TI HA MAGGIORMENTE EMOZIONATA NEL TUO LAVORO DI VOLONTARIA?
A Quito ho svolto un’indagine che aveva lo scopo di misurare l’impatto socio-economico nella generazione occupazionale di un centro di formazione prosessionale in un quartiere al nord di Quito, il Comité del Pueblo N.1 e delle sue zone limitrofe, per conto di un’Istituzione Municipale femminile che si occupava di realizzare progetti contro la violenza di genere.
L’idea dell’indagine si presentava come molto stimolante fin dal principio, ma la fase piú appassionante é stata la ricerca svolta per documentare l’origine del quartiere. Tra le nominabili testimonianze accademiche (nella storica Universitá Centrale e nella FLACSO), agli uffici del settore territoriale del Municipio di Quito, raccogliendo testimonianze dagli ingenieri e i primi piani architettonici realizzati; testimonianze di ex abitanti del quartiere e ricerche bibliografiche. Ma il massimo, l’apice dell’eccitazione, l’ho raggiunta quando sono salita nel barrio (quartiere) San Roque, giú al centro storico. Lí esiste ancora la sede amministrativa e giuridica della Cooperativa Pro Acqua Potabile che all’inizio degli anni sessanta era stata fondata dall’avvocato Carlos Rodriguez Paredes, in societá con un altro signore che condivideva la sua ideologia politica, che appoggiava il partito di una sinistra ecuadoriana dell’epoca; l’oposizione era rappresentata dal potere costituito del Municipio.
Molta gente stava vivendo pagando un affitto che gli costava quasi l’intero stipendio e il desiderio di possedere una casa propria rappresentava un simbolo di emancipazione tra i piú ambiti.
Cosí il signor Rodriguez & company, comprarono il terreno di una cooperativa pre-esistente; ne misero in affitto i loti e, per quelle famiglie, iniziarono ad organizzarne le risorse, ma le loro condizioni erano davvero difficoltose. Prima si manifestava per ottenere l’acqua potabile; ma ben presto si marciava fino al centro di Quito a sostegno dello sciopero degli operai di quella raffineria di zucchero nella provincia costegna del Guayas, quando troppi cadaveri furono gettati nel fiume Duran dalla polizia, come esemplari per escludere l’esistenza di un precedente. L’attivitá politica degli abitanti dell’ormai conosciuto Comité del Pueblo N.1, capitanati ed animati dall’avvocato Rodriguez, era davvero scomoda e nei corridoi quitegni si vociferava fosse un’imposizione: pare che l’avvocato imponesse la partecipazione, con camicia rossa ed altri dettagli uniformali. Tra chi la definisce fondazione e chi la ricorda come una vera e propria invasione, la storia del Comité resta mitica.
Io sono entrata dentro alle superstiti stanze dell’ormai ottantenne Carlo Rodriguez; avevo ottenuto un appuntamento. La segretria mi accoglie e mi prega di attraversare la stanza e di seguirla, passandro dietro ad un lungo banco di legno, chiaro: sotto delle mesole sostengono le scatole che raccolgono le schede degli e delle iscritti/e alla Cooperativa del Comité N.1, datate dagli anni sessanta in poi, allegate di foto tessera
e di dati anagraficie dati relativi alle risorse economiche di ciascuno. Incredibilmente coloriti dal tempo; tinta originale. Ovunque bandierine cubane; mi siedo e capisco che il signor Rodriguez sta dentro a quell’altra stanza; vedo dei campesinos che ascoltano con attenzione i suo consigli ed anch’io, come loro, ascolto rapita la profonda storia della sua voce. La metá della porta rimasta chiusa era quella dietro la quale lui si nascondeva alla mia curiositá, che ormai si era trasformata in un desiderio sempre piú morboso di vedere il suo volto. Al termine della sua cosulenza il sognor Carlos Rodriguez accolte cosí la mia intervista, affondando dentro alla sua poltrona di pelle nera, lisa dal tempo e da uno strato di maglioni rivestiti da una giacca a quadretti. Gli occhiali grandi e l’atteggiamento rassicurante, mentre mi racconta che quel suo orologio da polso, glielo aveva regalato Ernesto Che Guevara, in persona.

SECONDO TE, CHE COSA DOVREBBE FARE L’ITALIA NELL’ABITO DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE?
La mia opinione a proposito, verte circa il tema della formazione. I circuiti associazionistici e le Ong che si occupano di impegnare all’estero il personale, hanno la resposabilitá di formarlo appropriatamente. Che si tratti dei volontari in Servizio Civile o che siano fotografi che realizzano workshop, tutti i professionali devono essere formati anche dal punto di vista etico sul significato del loro agire, della loro rappresentanza e del significato del loro viaggio. Purtroppo non é possibile eticizzare tutti i viaggiatori; ma chi lo diventa per ragioni professionali, non puó permettersi dal redimersi di fronte ad un necessario processo di acquisizione di coscienza.
Inoltre, la cooperazione dovrebbe abbandonare il suo atteggiamento compassionevole-caritatevole erede di una filosofia dall’efficacia poco sostenibile, vale a dire lasciare quel populismo che alimenta le distanze, per impegnarsi invece nella ricerca di linguaggi ed azioni universali.

COME VEDI L’ITALIA QUANDO SEI ALL’ESTERO?
Quando sei in Ecuador, l’Italia ti sembra rigida, burocratica e inutilmente formale, schiava delle proprie ideologie prodotte. Per altri aspetti, invece, la scorgi antica, col suo profumo del tempo solcato tra le rovine, le crepe, gli affreschi. Saporita e odorosa di legno rustico. La vedi certa, radicata, come chiunque sia lontano da casa e immagina la propria terra.

PERCHÉ MOLTI ECUATORIANI HANNO SCELTO MILANO E LA LOMBARDIA IN GENERALE?
Trascorrere un’ora all’aeroporto di Quito, osservando chi arriva e chi parte, significa metter a dura prova la resistenza emotiva; é commovente: cugini che non si conoscono, figli che non riconoscono i loro padri. Durante la sua visita europea del 2007, il Presidente ecuadoriano Raffael Correa definí la popolazione emigrata dall’Ecuador come la quarta regione nazionale; le altre vengono identificate nella la sierra, nella costa, nell’Amazzonía e nelle isole Galapagos.
Sicuramente la comunicazione di massa ha fatto la sua parte nell’informare intere popolazioni oltre Oceano e la fama precede ormai la metropoli milanese.
Il fenomeno della migrazione a catena, cosí definito, é un fenomeno esemplare nella Lombardia contemporanea. Vede i figli ricongiungersi con i genitori e gli amici raggiungere gli amici, in un angolo di questo mondo dove tutti hanno un’automobile e dove, si racconta, si “facciano i soldi”.

COME VEDI IL FUTURO DELL’AMERICA LATINA?
Un tipo una volta mi disse: “L’America Latina ce la fará”.
Io aggiungo: “L’America Latina deve prima esser la sua gente e, dopo che tutta questa avrá ascoltato il suono della propria voce, allora potrá a farla sentire agli altri”.
Stiamo discutendo di quale sará il futuro del verde continente, perché il dubbio di fondo é che non ne abbia uno di proprio. Io invece vorrei che non ci fosse da dire.
Ringrazio l’Associazione dei Mantovani nel Mondo e, ovviamente, il Portale dei Lombardi nel mondo e dell’AMM per avermi offerto l’opportunitá di condividere queste mie immagini e per continuare a farlo con altri, attraverso il loro instancabile impegno, cosí etico.

Marta Carrer

www.lombardinelmondo.org

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