L’Oriundo

Il calvario elettorale, di James Panichi

Secondo gli antichi greci Icaro è precipitato in mare perché, avvicinatosi al sole, si è sciolta la cera che gli fissava le piume sulle ali. È successo lo stesso a me: la decisione di non votare alle ultime elezioni mi ha buttato addosso una banda di radiazioni burocratiche, tarpandomi le ali e lasciandomi in caduta libera sopra un mare di moduli che volevo evitare. Esagero? Forse. Ma è da quando il consolato italiano mi ha chiesto i documenti da mandare all’anagrafe degli italiani all’estero che mi sono lasciato sopraffare dalla malinconia. C’è modo di sfuggire all’A.I.R.E.?

È una rottura di scatole che chi vota in Italia non dovrà mai affrontare. Prima mi tocca andare agli uffici del Ministero della giustizia del mio stato per prendere il certificato di nascita; poi al Ministero degli esteri federale per una misteriosissima ‘apostille’ (è francese per ‘soldi buttati’); e tutto sperando che il mio datore di lavoro non noti che la mia pausa-pranzo è durata due ore e mezzo. Ho poi da scegliere tra i traduttori autorizzati (impensabile il fai-da-te) che mi chiederanno dei soldi che non voglio spendere; poi manderò il tutto al consolato, nella speranza che qualcuno me lo spedisca in Italia per posta celere. Nei sontuosi archivi del Comune di Forte dei Marmi (Provincia di Lucca) il mio certificato di nascita (e la traduzione, e l’apostille) raccoglierà polvere per cent’anni, prima di essere distrutto quanto si rompono le fognature. Se potessi farmi riempire i moduli da qualcun’altro non esiterei (come si fa a contattare gli amici di Paolo Rajo?).

E a pensare che ho un passaporto italiano regolare che potrebbe essere fotocopiato e firmato da un notaio; ho persino un codice fiscale e una vecchia carta d’identità. Ci deve essere, insomma, un modo migliore. L’unica soddisfazione sarà chiedere al mio traduttore di impiegare il linguaggio burocratico più impenetrabile possibile: se quando vado in Italia devo subirmi annunci del tipo “il vagone-ristorante è ubicato…” ho il diritto di fare delle cattiverie. L’unico modo per farsi rispettare dagli italiani è sbattere un vocabolario in testa a più persone possibile.

Ma il gioco vale la candela? Per me sì, perché non vedo l’ora di votare (ancora) per l’abrogazione della legge elettorale proporzionale. Io, però, non faccio testo: quanti sono i figli o i nipoti di immigranti che, come me, accetterebbero un calvario burocratico di questo genere? Pochi. Anzi, pochissimi.

Eppure il tentativo di togliere gradualmente il voto agli oriundi (perché di questo si tratta) è ormai l’unica soluzione che rimane ad uno stato che ha creato le circoscrizioni estere senza neppure pensare al futuro demografico degli italiani all’estero. Tra vent’anni la prima generazione italiana in Australia sarà una piccola minoranza rispetto alle persone di seconda e terza generazione che hanno (o rivendicheranno) la cittadinanza in base al concetto vagamente fascista dello ius sanguinis. Ma quanti di noi vorranno candidarsi? E fino e che punto saremo in grado di informarci per fare una scelta politica responsabile?

È vero che anche in Italia di gente poco informata che vota ce n’è tanta – come si spiega altrimenti il successo di Clemente Mastella? La differenza è che da noi mancherà una classe dirigente con delle basi culturali italiane solide. Il perché non è certamente un segreto: i 5 milioni-e-rotti di euro che l’Italia manda in Australia ogni anno per i programmi d’istruzione sono tantissimi ma vengono spesi male. Non abbiamo bisogno del dopo-scuola, di assistenti linguistici, di serate culturali alla Società Dante Alighieri, di language-lab coi computer; serve soltanto una rete di scuole bilingui credibile (che vada oltre i piccoli esperimenti di Sydney e Canberra).

Spiace dirlo, ma gli oriundi italo-australiani più capaci e dinamici al momento non hanno motivo di frequentare nè la comunità italiana, nè – metaforicamente – il proprio retaggio italiano. Non sarà certo il neurochirurgo, lo scrittore o l’imprenditore di successo a candidarsi in Australia per le elezioni italiane, ma i residui meno presentabili della prima generazione: l’intrallazzatore, il compare analfabeta del patronato, gli eredi della peggiore tradizione clientelare.

La perdita delle nuove generazioni all’Aire aiuterà certamente i politici in un futuro prossimo a smantellare le circoscrizioni estere, ma rappresenta anche la resa incondizionata da parte dello stato italiano di fronte alla sfida del ricambio generazionale.

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