Di giacomo carelli
All’annuncio che i governi europei avrebbero garantito gran parte dei loro depositi bancari, molti risparmiatori hanno tirato un sospiro di sollievo. In pochi hanno invece verificato se il garante fosse effettivamente più solvente della banca debitrice. Nel solo mese di dicembre, ad esempio, il costo medio annuo per assicurare il rischio di un’obbligazione quinquennale emessa da uno dei 25 maggiori istituti finanziari privati europei era pari a 1,5% circa del suo valore nominale. La stessa percentuale, applicata al debito sovrano della Repubblica Ellenica, superava invece il 2,5%. A conti fatti, le probabilità implicite di insolvenza del Tesoro ellenico erano quindi arrivate a 15 su 100, quasi il doppio di quelle di una grossa banca commerciale europea. Si tratta naturalmente di un dato teorico, visto che i derivati finanziari (CDS), che rappresentano appunto l’assicurazione sul credito, sono negoziabili e quindi soggetti a pressioni speculative. Nonostante questo, a causa dell’alto rendimento differenziale del debito rispetto a quello dei soci europei, è di fatto riapparso il fantasma dell’Argentina negli incubi di molti investitori, soprattutto di quelli che confidavano nella stabilità finanziaria di tutti gli Stati dell’eurozona. Dopo l’era dei Tango Bonds, qualche analista già parla del fenomeno “Sirtaki Bonds“. A causa delle stesse pressioni speculative, lo spread del debito è infatti recentemente lievitato, raggiungendo i 230 punti base sul Bund tedesco. Siamo ancora ben lontani dal rischio del debito argentino, che vanta un CDS superiore al 40% annuo (!), ma la velocità di allontanamento dei rendimenti dei titoli dalla media europea ricorda proprio quella di un Sirtaki in fase avanzata, che va rallentato prima che qualcuno “inciampi” nel girotondo.
I primi a rendersi conto che qualcosa non stava funzionando all’interno del sistema sono stati gli stessi banchieri. Dopo aver garantito credito incondizionato a imprese e consumatori, aumentandone l’indebitamento dal 50% del PIL nel 2000 al 100% nel 2008, gli istituti finanziari hanno improvvisamente deciso di razionare il denaro in circolazione, trasferendo ingenti quantità di fondi in porti sicuri all’estero, come, ad esempio, i depositi a un giorno presso la BCE. I dati dell’ultima bilancia dei pagamenti evidenziano questa avversione al rischio domestico: a ottobre 2008 la liquidità sottratta al mercato locale, da parte degli istituti finanziari, era pari a 23mld di Euro, rispetto ai 9mld di metà 2007, prima della crisi.
Il Governo ellenico è a questo punto tecnicamente in stallo. Nel bel mezzo della crisi economica, non può attuare nessuna politica fiscale in disavanzo, perché l’aumento del deficit per rilanciare l’economia appesantirebbe ulteriormente lo spread sui rinnovi del debito preesistente. Non può creare inflazione fittizia adottando politiche monetarie espansive, perché con l’Euro non è più padrone della propria moneta né, quindi, in grado di svalutarla. Non può aumentare le tasse per non dare il colpo di grazia all’economia reale. Non può ridurle perché incapace di far fronte alle spese correnti. Il costo degli “intoccabili” dipendenti pubblici e degli interessi, pari a 22mld e 11mld di Euro rispettivamente, già copre infatti il 50% del bilancio statale. Gli investimenti rappresentano solo il 12% delle risorse disponibili.
Ricorrere a un prestito dal FMI sarebbe inconcepibile per un Paese dell’area Euro. Ricevere soldi direttamente dalla BCE è, invece, vietato dal Trattato di Maastricht. Quindi, con i manifestanti in piazza e il livello di popolarità ai minimi storici, la tattica più gettonata è quella di barricarsi sul ponte di comando e navigare a vista, sperando che passi la tempesta senza arrecare troppi danni. Affrontando magari le questioni più impellenti, come, ad esempio, quella di trovare sul mercato 41mld di Euro nel 2009 (il 16% dei 260mld di debito pubblico complessivo), di cui 26mld rappresentati da rinnovi di precedenti emissioni.
La soluzione più plausibile è quella italianissima dell’asta diretta di BOT trimestrali per i pochi risparmiatori rimasti. Peccato che le banche commerciali già offrano da tempo P/T e depositi a termine con remunerazioni stellari, ben al di sopra dei tassi interbancari di riferimento. La collocazione a breve potrebbe quindi fallire.
Un’altra possibilità è quella di vendere BTP direttamente agli istituti finanziari locali, sapendo bene che le banche si fanno ormai scontare questi titoli direttamente dalla BCE a tassi di favore, ottenendo guadagni facili senza drenaggi di liquidità. Il problema è che un’emissione del genere rappresenta un raggiro indiretto del patto di stabilità europeo, raggiro favorito dalla stessa BCE, che ne dovrebbe, invece, garantire la corretta attuazione.
Arrivati a questo punto, tanto varrebbe saltare l’intermediario privato ed emettere titoli facendoseli comprare direttamente dalla banca centrale, come del resto farà il Tesoro Americano con la Federal Reserve. Ma queste operazioni, sulla base degli accordi di Maastricht, sono proibite dagli Eurocrati, da sempre tanto rigorosi nella forma quanto fondamentalmente disinteressati alla sostanza. E il disinteressamento gioca a favore dei Governi in crisi.