Il pregnate concetto del verbo “eleggere” riassume sostanzialmente il significato di scegliere, preferire, nominare qualcuno ad una carica attraverso un voto, tutti concetti che implicano la manifestazione della volontà del singolo rispetto ad un’opzione che egli ha a disposizione. Le elezioni sono state definite «un tipico strumento atto a prendere decisioni in modo indiretto attraverso l’intermediazione di individui dotati di una maggiore o minore autonomia». È un concetto legato alla rappresentanza e alla democraticità di un ordinamento in quanto attraverso di esso è possibile nominare dei rappresentanti che, a loro volta, saranno incaricati di decidere in nome della collettività.
Attualmente una personalizzazione impersonale e irresponsabile caratterizza la politica italiana, una pseudo-democrazia mediatica, affollata di volti e nomi noti e visibili che, tuttavia, ha ridotto e quasi abolito la possibilità, per gli elettori, di esprimere scelte e preferenze “personali” considerato che ormai la costruzione delle rappresentanze politiche e parlamentari è un fatto praticamente esclusivo dei partiti, ridotti a cerchie di gruppi dirigenti ristrette e centralizzate.
Il dibattito sulla riforma elettorale non è, come tutti sanno, solo un fatto istituzionale, è un passaggio squisitamente politico, e attiene alla concezione che ogni partito ha della democrazia. È sufficiente, oggi, dare uno sguardo alla sostanziale “sospensione” della democrazia in molti partiti per comprendere la strategia delle fatidiche liste bloccate da un lato, e la cancellazione del potere di scelta dei cittadini dall’altro.
Ora, senza analizzare le ricette dei singoli partiti, è decisivo ricordare che senza il ritorno del potere di scelta del cittadino è la stessa democrazia che è destinata a incrinarsi. Se i partiti, infatti, sono incaricati dai sistemi elettorali di selezionare in modo esclusivo la classe dirigente a tutti i livelli, è inesorabile che la vera battaglia si trasferisce all’interno dei partiti con il rischio, più che concreto, di trasformarli in semplici cartelli elettorali e con un tasso di servilismo e di subalternità verso il leader di turno inaccettabile e antidemocratico.
Il concetto di “sistema elettorale” può essere inteso in un duplice modo: uno generale, l’altro specifico. Mentre il primo identifica il sistema elettorale come quel complesso di regole, dette anche election laws (leggi sulle elezioni), che riguardano il procedimento elettorale, il secondo lo concepisce come tutte quelle norme che regolano i «meccanismi tecnici di suddivisione dei seggi», cioè le electoral laws. Distinzione analoga è quella tra il “metodo elettivo” quale «complesso di tecniche giuridiche che costituiscono la sintesi concettuale sia dell’organizzazione elettorale, sia del procedimento elettorale» e il “sistema elettorale” vero e proprio che invece riguarda più la fase di scrutinio e la conseguente assegnazione dei seggi.
Se non si inverte la rotta, emergerà sempre più la volontà di rendere omogeneo il panorama elettorale dei vari livelli di governo, concentrando nel vertice dei partiti la decisione in merito alla scelta dei candidati, e quindi degli eletti.
Va quindi superata una concezione piramidale e verticale della politica, va eliminata una concezione oligarchica e aristocratica della democrazia, che trasforma i partiti in un ceto autoreferenziale e chiuso di fronte alla domanda di partecipazione e di collegialità che emerge dalla società.
Certo, la battaglia non è facile perché nei partiti a sfondo padronale il coraggio del dissenso è pressoché ridotto a pochi testimoni, del tutto ininfluenti nella conduzione concreta del partito.
È indispensabile, al riguardo, che almeno le attuali forze che propongono cambiamenti siano unite e determinate nel rivendicare le ragioni della democrazia e della partecipazione.
Una scelta politica e culturale che non può subire arresti o compromessi per nessuna ragione legata alla contingenza. Sono in gioco, infatti, valori primordiali per il consolidamento della nostra democrazia rappresentativa.
Non intendo proporre una battaglia demagogica o rivoluzionaria sull’esigenza di riconoscere le preferenze nell’ambito della riforma dell’attuale sistema elettorale, ma lancio una proposta a tutti colore che pensano che anche in Italia sia realistica una lezione di vera democrazia dal basso:
possiamo ipotizzare per le prossime elezioni di riprenderci il diritto di dare la preferenza alle persone, senza dare una delega in bianco ai partiti? INSIEME POSSIAMO