Il COM.IT.ES Tel Aviv-Israele prende atto con sincero dolore e viva preoccupazione dell’appello diramato dall’Associazione Ong Italiane in seguito all’acuirsi del conflitto armato a Gaza e in Israele. Il COM.IT.ES in quanto responsabile della tutela degli interessi degli 11,000 cittadini italiani presenti sul territorio, ha il dovere di agire nei confronti degli stessi cittadini, delle autorità e dell’opinione pubblica sulla base di una analisi ben meditata e documentata dei fatti, e di una ben precisa aspirazione alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo economico e al benessere dell’intera società. E tutto questo alla luce di valori democratici e liberali che derivano da una profonda tradizione civile italiana.
In questo spirito, il COM.IT.ES. Tel Aviv-Israele auspica un’immediata cessazione di tutte le attività belliche, il rilascio del prigioniero israeliano Gilad Shalit, il ritorno alla normalità della vita civile nella regione di Gaza e limitrofa, la pronta ricostruzione dei danni materiali che sono stati causati in questi giorni, e una intensa assistenza sanitaria e psicologica a tutte le persone tanto duramente provate dal conflitto.
Il documento delle Ong italiane, ispirato a prima vista da nobili fini umanitari, è invece una chiara presa di posizione politica a favore di una delle due parti coinvolte nel conflitto. Chiunque abbia un minimo acume politico sa che per modificare la situazione in corso esistono due vie: una è quella di assumere posizioni di mediazione tali da suscitare il rispetto e l’accettazione delle due parti, l’altra è quella di fiancheggiare apertamente una delle due parti. Le Ong hanno scelto la seconda strada, con inevitabili conseguenze.
Le Ong italiane deliberatamente ignorano che il conflitto in corso non è tra il Popolo ebraico e il Popolo palestinese, bensì fra il movimento terrorista Hamas e lo Stato di Israele, di cui il Hamas nel proprio Statuto proclama la distruzione (oltre alla morte di tutti gli ebrei, vedi articolo 7). Il Hamas ha rifiutato di trattare con Israele, che non riconosce, fin dal primo momento dopo lo sgombero totale della zona di Gaza da parte degli israeliani nell’agosto del 2005. Da quel momento Hamas aveva un’occasione senza precedenti di porre le basi per la ricostruzione economica della Palestina, grazie anche ai numerosi aiuti provenienti dall’estero e dalle stesse Ong italiane; poteva provvedere ai problemi della salute, dell’impiego e dell’assistenza sociale nei confronti dei propri cittadini; e poteva iniziare a costruire una società civile palestinese basata sul dialogo interno, nelle nuove condizioni di autonomia create nel 2005.
Invece di tutto ciò, il Hamas ha scelto fin dal primo giorno la guerra civile con le altre fazioni palestinesi, l’annientamento delle Comunità Cristiane palestinesi, e l’azione terroristica contro la popolazione civile di Israele, attraverso lanci di missili sugli abitati e missioni suicide. L’obiettivo dichiarato della distruzione di Israele è pietosamente sproporzionato alle possibilità effettive del Hamas, e tuttavia viene perseguito giorno dopo giorno con ostinato fanatismo. Anche se i crimini perpetrati contro i civili israeliani sono gravissimi, chi paga il conto sono i cittadini palestinesi, mentre la classe dirigente del Hamas si nasconde nei bunker ricolmi non di grano e medicine, ma di armi e munizioni.
Dal 2000 in avanti Israele subisce un quotidiano lancio di missili provenienti dalla zona di Gaza. Proviamo a simulare con i capoluoghi di provincia italiani la situazione effettivamente vissuta dalla popolazione israeliana nelle vicinanze di Gaza nel corso degli ultimi otto anni. Nelle città situate fino a 10 km. dal confine, come a Sderot, gli abitanti hanno a loro disposizione 15 secondi di tempo dal momento dell’allarme per mettersi al riparo nei rifugi antiaerei. Sarebbe il caso di Como, Gorizia e Trieste. A 20 km. di distanza dal confine, come ad Ashkelon e a Netivot, avrebbero 30 secondi di tempo gli abitanti di Aosta, Verbania, Varese, Sondrio e Udine. A 30 km. dal confine, come ad Ashdod, Kiryat Malachi, Kiryat Gat, Rahat e Ofakim, avrebbero 45 secondi gli abitanti di Cuneo e Lecco. A 40 km. dal confine, come a Beer Sheva, avrebbero un intero minuto gli abitanti di Imperia, Torino, Biella, Milano e Bolzano.
Questa situazione sarebbe intollerabile in Italia, e lo è di fatto in Israele. Lo stesso pensiero è stato espresso da esponenti autorevoli del mondo arabo, come il Presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen a Ramallah, il Presidente egiziano Housni Moubarak, e i governanti dell’Arabia Saudita. La critica al Hamas proviene in primo luogo dall’interno del mondo arabo. Chi invece appoggia le attività del Hamas sono i dirigenti fondamentalisti dell’Iran, il governo siriano, il movimento Jihad islamico, e il Hizbullah in Libano.
L’odierna scelta di campo delle Ong italiane le allinea con coloro che hanno voluto e causato la morte dei 173 di Mumbai, dei 190 di Madrid, dei 3000 dell’11 settembre 2001. È la stessa logica di chi ha causato le vittime di Piazza Fontana, della strage di Brescia, dell’Italicus, e della Stazione di Bologna: proclamare i propri scopi politici con il massacro dei civili innocenti.
Le Ong Italiane, nello scegliere spregiudicatamente questa via, si collocano al di fuori di qualsiasi processo di mediazione e si identificano con un regime di attivo appoggio al terrorismo che è estraneo alla cultura politica dell’Italia, ed è stato di fatto ufficialmente condannato dai governi italiani di diverse ispirazioni. La dichiarazione delle Ong costituisce una esplicita rinuncia a qualsiasi ruolo concreto e positivo di mediazione e di aiuto nella annosa e tragica vicenda Arabo-Israeliana, e rende pertanto la voce delle Ong assolutamente marginale e tristemente caricaturale alla luce dei fatti reali.
Se lo scopo era di fare del bene, il risultato è un clamoroso autogol. Fermatevi, e riflettete.
Il COM.IT.ES Tel Aviv-Israele
Gerusalemme 1 gennaio 2009