Roma – 28 novembre 2008
Sala Tevere – via Cristoforo Colombo 212
Ci avviciniamo alla fine dell’anno, occasione di bilanci e di propositi per il futuro. A tutto campo in questi ultimi mesi si è imposta nel confronto all’interno del mondo dell’emigrazione la scelta del governo di ridurre drasticamente il disavanzo del bilancio dello stato anche attraverso una contrazione severa dei capitoli riferiti agli italiani all’estero. I toni della discussione sono stati forti, a volte estremi, dentro e fuori del Parlamento.
Ad oggi tuttavia non si vede all’orizzonte, non dico una inversione di tendenza, ma un ripensamento da parte dell’esecutivo nazionale.
La conseguente contrazione di servizi ed interventi che si avrà, a cascata, avrà un effetto dirompente sulle reti formali ed informali di sostegno agli italiani all’estero e scompaginerà assetti organizzativo funzionali in diversi campi da quello scolastico a quello dell’assistenza agli indigenti.
Siamo in molti a chiederci se le scelte di bilancio sono soltanto la conseguenza di un orientamento più generale di riduzione della spesa pubblica oppure se il fatto, necessitato o meno, s’inquadri in orientamenti presenti nelle forze di governo di ripensare in modo nuovo e diverso al rapporto fra madrepatria e italiani all’estero a partire intanto dalla messa in discussione di sistemi relazionali, organismi consultivi quale il CGIE o rappresentativi quali i comites e le associazioni o la rappresentanza parlamentare della circoscrizione esteri In diverse circostanze il sottosegretario con delega per gli italiani all’estero senatore Mantica ha affermato che il nuovo Governo nel corso della attuale legislatura ha l’obiettivo della “ridefinizione del ruolo dei parlamentari eletti all’estero”. In altre circostanze abbiamo ascoltato la critica all’eccessivo numero di associazioni unitamente all’invito a forme di accorpamento e l’invito a “promuovere nuove forme di associazionismo”.
In presenza di annunci ed in carenza di proposte concrete con le quali misurarsi l’analisi comparata delle dichiarazioni stampa ci da una idea approssimativa di volontà modificatrici che investono anche Comites e Cgie.
Il risultato dell’effetto annuncio è una sorta di “roll and back” che seguita a destabilizzare il precario assetto della presenza organizzata dell’Italia nelle nostre integrate comunità all’estero che è anche conseguenza di politiche inadeguate che sarebbe ingeneroso e demagogico attribuire soltanto al governo in carica.
In questa cornice, la meno favorevole fra le auspicabili, si colloca l’azione che la CNE sta portando avanti per una autoriforma del sistema delle associazioni che, non sarà inutile ricordarlo, c’erano ieri, ci sono oggi e ci saranno domani.
Certo è cambiato il mondo dell’emigrazione e con esso sta mutando anche il ruolo e la funzione dell’associazionismo. Alla vecchia emigrazione. se ne è aggiunta una nuova più qualificata e più preparata culturalmente, diretta verso aree tradizionali e nuove. L’associazionismo ha una funzione di servizio, conta sul contributo volontario dei suoi aderenti, non opera per la ricerca di un consenso elettorale è realtà distinta dai partiti e dalle coalizioni di partiti esprime una rappresentanza, ha finalità di promozione sociale che raggiunge dandosi statuti democratici, ha controparti istituzionali nelle quali i partiti, peraltro, sono un elemento fondante.
In una intervista il Segretario Generale del CGIE, Elio Carozza, ricorda come nel mondo ci siano 6 mila associazioni italiane, con circa 200 mila responsabili e soci aderenti. Una cifra significativa che palesa quanto esse abbiano fatto per mantenere vivi contatti e rapporti con l’Italia, con le sue regioni e i suoi comuni. Oggi, però, le cose potrebbero cambiare, proprio a causa del buon livello d’integrazione delle nostre comunità che forse hanno sempre meno bisogno dell’Italia. Al contrario è l’Italia che ha bisogno di queste comunità sparse nel mondo.
Ottimale sarebbe poter lavorare in modo raccordato e sinergico: Cgie, Comites, istituzioni, associazioni, regioni, comuni e mondo dell’informazione. Devo dire che purtroppo appare prevalente l’autoreferenzialità e sovente una sorta di concorrenzialità. La presenza di comitati elettorali e di centri di aggregazione al’estero organizzati dai partiti politici italiani sono la naturale conseguenza del fatto che si vota all’estero ma non sono il nuovo che avanza a fronte delle associazioni intese come una sorta di passato inadeguato che deve passare.
Le associazioni storicamente votate a ruoli di supplenza dello stato in tema di promozione sociale, culturale ed in tutele talora squisitamente assistenziali e di mutuo soccorso non hanno esaurito la loro funzione.
La CNE ha consapevolezza dei cambiamenti avvenuti, dei punti di criticità nell’essere e nell’operare delle associazioni, se ne preoccupa e vi vuole mettere mano, non ignora le difficoltà a raccordarsi con i cambiamenti ma ritiene tuttavia che le ragioni del cambiamento interessino ed accomunino l’intero mondo delle rappresentanze in emigrazione.
Nel nostro seminario interregionale di Bologna abbiamo messo in rapporto il tema della rappresentanza, di cui siamo portatori, con il tema delle nuove generazioni.
Rinvio alle risultanze di quel confronto per chi volesse ritrovare le numerose indicazioni che abbiamo avanzato per mettere in comunicazione associazioni e giovani.
Fra qualche giorno anche 30 giovani delle associazioni regionali aderenti alla CNE incontreranno i 422 giovani delegati dall’estero alla prima Conferenza dei giovani. Lo abbiamo chiesto con forza superando in sede di comitato organizzatore una iniziale incomprensibile indifferenza alla nostra legittima richiesta. Vi saranno anche giovani invitati indicati dalle Regioni.
Sarà un primo punto di arrivo, una occasione di confronti e di orientamenti assunti insieme.
Noi non vogliamo contrapporre giovanilismo ed anziani ma pensiamo che costruire il futuro delle associazioni con i giovani, renda la rappresentanza delle associazioni consonante con il nuovo senza che si frantumi il legame, il patto con le vecchie generazioni. Siamo infatti in presenza di un italianità complessa ed articolata che si è integrata e che è ricchezza culturale a disposizione di tutti noi. Gli italiani all’estero sono certo tramite di relazioni di lavoro e di interessi produttivi come spesso sottolineato da diverse Regioni ma sono anche produttori di una cultura italiana che si è arricchita nel confronto con altre e che è bene che in Italia sia conosciuta.
Le persone di origine italiana che vivono all’estero non vanno neanche considerate solo come potenziali fruitori, mero oggetto di iniziative, ma protagonisti e coautori di questa di italianità che si è andata sviluppando e consolidando nel tempo e che è nuova e dalle diverse facce.
Noi siamo consapevoli del profondo mutamento che ha subito il concetto stesso di “identità culturale”, oggi un’idea complessa e articolata, in mutamento costante, capace di esprimere le molteplici forme di italicità che si sono realizzate in tempi, strati sociali, forme culturali e situazioni ambientali estremamente diversificate.
Come CNE riteniamo un tramite fondamentale di italianità la diffusione della lingua italiana . In un mondo sempre più globalizzato, l’investimento italiano in ambito linguistico e culturale significa portare un contributo rilevante alla nascita di persone capaci di muoversi agevolmente tra varie lingue e culture, persone dalla mentalità aperta. La nostra lingua per andare verso il futuro senza rassicuranti nostalgie di un’Italia che peraltro è profondamente cambiata, nel bene e nel male. Occorre evitare l’autoreferenzialità, anche da noi qui in Italia soggetti collettivi e persone impegnati nella realtà del’emigrazione. Vanno evitati autoreferenzialità ed autosufficienza.
Quando dico noi intendo in primo luogo le singole associazioni che da sole possono solo avere la certezza che non saranno mai protagoniste dei profondi cambiamenti che sono necessari all’associazionismo ed inoltre le singole Regioni soprattutto impegnate, come è doveroso, verso i propri corregionali. Noi pensiamo che in primo luogo si dovrebbe partire dal riconoscimento da parte di Regioni e associazioni di avere obbiettivi comuni da gestire in comune, da confrontare ad un tavolo comune, ma anche da insieme sostenere verso il governo centrale fornendo forza ed argomenti per una politica nazionale verso l’emigrazione che non da oggi stentiamo a riconoscere nell’azione dei governi che si sono succeduti.
Le singole regioni sono state maggiormente responsabilizzate dopo l’assunzione più ampia delle competenze in tema di emigrazione a seguito dell’affermarsi delle ragioni alla base della modifica del titolo V° della Costituzione.
Se è comprensibile che assegnazioni economiche e programmi delle diverse regioni siano rivolte ai connazionali all’estero di origine della regione stessa, sarebbe tuttavia auspicabile un coordinamento davvero funzionante fra tutte le regioni per dare opportunità di pari livello, a parità di condizioni, a tutti soprattutto ai giovani interessati. A tal fine, una forma concreta di intervento potrebbe essere la creazione di un fondo comune di tutte le regioni italiane per i giovani all’estero, dove far confluire su una progettazione condivisa. ed insieme gestita, i finanziamenti delle regioni stesse ed eventualmente anche contributi privati sapendo che spesso iniziative isolate o slegate determinano duplicazioni di spese e costi comprensibilmente superiori a quelli per attività coordinate.
Si tratterebbe anche di valutare l’entità di una ipotesi di applicabilità di alcune delle disposizioni previste dalla Legge quadro 328/2000 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”) per gli italiani anziani non autosufficienti o fragili all’estero con utilizzazione di parte del Fondo Sociale nazionale.
Una iniziativa questa che deve veder coinvolti oltre che lo Stato e le Regioni, anche l’associazionismo sociale e di volontariato all’estero.
Riallacciare i legami personali con la terra d’origine non basta più ma sarebbe necessario fare entrare i giovani nelle consulte, anche quelli di terza e quarta generazione, che con la loro nazionalità a tutti gli effetti straniera e le loro radici italiane e locali potrebbero contribuire a realizzare una fase di revisione della stessa legislazione regionale sulla emigrazione. Il mondo dell’associazionismo all’estero deve dunque affrontare i nodi del cambio generazionale, sociale e culturale con i quali tutte le associazioni si devono confrontare anche se le ragioni del cambiamento non risiedono soltanto nello scarto fra mentalità delle nuove generazioni e modo di essere e di operare di associazioni alcune delle quali, pur dentro l’involucro della integrazione sono più legate alla trasmissione della memoria dei legami familiari e di compaesanità.
Mentre il processo di rinnovamento è in atto le associazioni rifiutano l’assistenzialismo più o meno interessato e chiedono invece, un riconoscimento vero e non a parole della CNE da parte delle istituzioni e delle forze politiche .Al riconoscimento del ruolo devono far seguito atti.
La CNE le cui associazioni svolgono da sempre una azione di promozione sociale fra i cittadini delle nostre comunità all’estero deve potere essere riconosciuta Sarebbe anche importante se il Parlamento riconoscesse alle sue associazioni la natura di promozione sociale.
Noi riteniamo anche che l’associazionismo nazionale, regionale e locale debba e avere un suo Forum, una sua sede permanente nella quale elaborare ed aggiornare, come associazionismo, le politiche. Tra le indicazioni operative possibili, certo non esclusive, che possono sostenere l’associazionismo italiano all’estero a proseguire la sua evoluzione verso forme e attività più consone alle realtà in mutamento nelle quali vivono gli Italiani nel mondo se ne possono indicare alcune con il proposito di confrontarle e ampliare insieme a tutti gli attori associativi e istituzionali italiani: – Modificazione della legge 383/2000 sulle associazioni di promozione sociale italiane in modo da estendere la sua applicazione non solo al territorio italiano, ma anche alle realtà associative che sono prevalentemente dislocate ed operanti all’estero.
– Coordinamento permanente e unitario delle politiche d’emigrazione sia a livello nazionale che regionale.
– Costituzione di un tavolo permanente di Regioni, Consulte e CNE con il fine di elaborare ed aggiornare le tematiche, per più coerenti ed efficaci politiche migratorie, per avviare una progettualità condivisa a favore di tutti gli italiani all’estero.
– Riforma del CGIE e dei Comites , armonizzazione della legislazione regionale relativa al tema dell’emigrazione, creando un legame fra legislazione nazionale e Regioni.
– Sostegno alla nascita di associazioni di giovani italiani e di origine italiana con il fine di rafforzare il collegamento con l’Italia attraendo competenze, professionalità ed intelligenze con l’incentivazione, per esempio, di forme di partenariato e di cooperazione con il mondo culturale, imprenditoriale ed istituzionale italiano.
L’evoluzione delle autonome forme organizzative che le collettività si danno, se la si legge dall’interno delle collettività all’estero, percorre, da tempo, un iter caratterizzato da livelli crescenti di integrazione nei paesi di insediamento sia sul piano culturale che sul piano sociale e politico.
In questo mondo di nuova rappresentanza sociale non vi è crisi, anzi vi è crescente consapevolezza e impegno verso un mondo interculturale che lega autoctoni e immigrati italiani, ma anche di altre etnie, che contribuiscono alla vita civile e sociale di quei paesi.
Se invece la si legge dalla prospettiva italiana, vi sono forti elementi critici in gran parte riferibili alle aspettative o agli orientamenti provenienti dalle istituzioni e dai centri di rappresentanza politica e sociale italiani, in riferimento al ruolo che, nell’ultimo decennio, si richiede alle collettività emigrate, di essere veicolo economico e/o promotore di una più efficace e ampia penetrazione dell’Italia nel mondo.
Le associazioni, come ricordato nel documento del CGIE sull’associazionismo, servono, invece, essenzialmente a se stesse, ovvero alla gente che le crea e che le sostiene partecipando democraticamente alla loro vita interna e agli obiettivi che esse, autonomamente, si danno.
“L’Italia e le sue istituzioni- sottolinea il documento- possono mantenere con questo mondo di partecipazione un legame forte e solido, partendo dal riconoscimento della sua autonomia, evitando approcci strumentali e considerando che proprio la tutela di questa pluralità, apertura, dinamicità e soggettività interculturale, può consentire una moderna evoluzione dell’associazionismo e allo stesso tempo fornire un contributo di straordinario valore al Paese”.
Rino Giuliani
Presidente della Consulta Nazionale dell’Emigrazione