Valutare si può. Un’esperienza concreta

di Tommaso Del Lungo

Foto di MrClementi
Troppo poco spesso le risorse umane della PA sono ben gestite, ben motivate, ben valutate e valorizzate. Eppure le esperienze positive in cui una pubblica amministrazione è riuscita ad auto-organizzare le proprie strutture e a darsi degli obiettivi misurabili, raggiungendo risultati di miglioramento riconosciuti in maniera oggettiva, sono diverse, sia per quanto riguarda gli enti locali, uno su tutti il Comune di Bolzano di cui ci siamo occupati diverse volte, sia per quanto riguarda le amministrazioni centrali. Proprio su una di queste vorremo concentrare la nostra attenzione oggi: l’Ufficio Responsabile dei Sistemi Informativi Automatizzati della Corte dei Conti, protagonista di un’esperienza interessante condotta con estrema serietà e competenza di cui siamo venuti a conoscenza partendo da una segnalazione sul nostro sito.

Su Saperi PA trovi gli altri approfondimenti sull'esperienza della Corte dei ContiL’esperienza a cui facciamo riferimento ha le sue radici nel progetto di informatizzazione delle sezioni giurisdizionali, avviato qualche anno fa e strutturato a tutti gli effetti secondo le logiche del project management, con la suddivisione in macro obiettivi, l’individuazione delle competenze necessarie per raggiungerli, la ricerca delle risorse umane adatte a portarli a compimento e l’assegnazione di budget, responsabilità e compiti. Una modalità decisamente innovativa per una amministrazione centrale, tanto più se si considera che i responsabili non vennero scelti in base al livello amministrativo, ma alle reali competenze e all’effettiva voglia di fare.

“Per la prima volta – ci ha spiegato Catia Vizzarri, uno tra i funzionari dell’URSIA coinvolti nel progetto – è stato chiesto ai dipendenti dell’ufficio quali fossero le loro aspettative e le loro preferenze in termini di mansioni da svolgere. Inoltre, parte del budget era stato destinato alla gestione del progetto, il che voleva dire che a bilancio non erano stati messi solo i costi vivi, ma anche i costi gestionali e quelli relativi alla valutazione, al miglioramento interno e alla premialità.”

Una volta chiuso il progetto, infatti, si è pensato di misurarne l’effettiva riuscita ed il merito di ciascuno attraverso una vera e propria azione di valutazione sulla produttività del singolo, non solo in termini quantitativi (numero di pratiche svolto), ma soprattutto di impegno (la qualità del proprio lavoro). “Lo strumento individuato – continua Catia Vizzarri – è stato quello delle schede di valutazione, che abbiamo utilizzato sia dall’alto verso il basso, che è la maniera più tradizionale o, se vogliamo, più diffusa, che dal basso verso l’alto, che è stato un tentativo davvero avanguardista.” È importante sottolineare che la scheda di valutazione non era orientata al solo fine della meritocrazia, ma soprattutto a quello che comunemente si definisce benessere organizzativo.

Nella pratica si è trattato di un questionario di ventisei domande raggruppate sotto quattro profili: competenze, comunicazione attiva, collaborazione ed impegno, motivazioni, più uno spazio dedicato ai commenti e suggerimenti. Il questionario è stato distribuito durante una riunione in cui sono stati illustrati gli scopi, i tempi e le modalità di restituzione delle schede (tempestivamente e in busta chiusa anonima) a specifiche persone che ne hanno verificato, poi, la consegna da parte di tutti e la presenza di una sola scheda per persona.

Su Saperi PA trovi interviste, articoli ed approfondimenti interessanti sul tema della valorizzazione delle risorse umaneQuando chiediamo a Catia Vizzarri perché questo tipo di approccio deve essere considerato d’avanguardia ci risponde che “si è trattato di un esperimento coraggioso per una serie di motivi. Se ci fermiamo alle schede dall’alto in basso, infatti, diversi responsabili dei sotto-progetti si sono trovati a dover valutare personale di livello amministrativo superiore al proprio. Ciononostante, i problemi o le proteste sono stati davvero pochi, perché quando viene impostato un lavoro in maniera chiara e dettagliata, specificando che il premio deve essere legato ad un giudizio di merito sull’operato del singolo, è davvero difficile che generi del malcontento. Ad esempio, io ricordo perfettamente le mie carenze all’interno del progetto, perché sono stati elementi su cui ho concentrato il mio impegno negli anni successivi, per migliorarmi, mentre non ricordo assolutamente nulla sulla cifra che mi attribuirono.”

Insomma, come abbiamo ripetuto più volte, se la valutazione viene fatta in maniera oggettiva, e soprattutto costruttiva, a chi lavora non dispiace essere valutato.
“Anche la fase della valutazione dal basso ebbe un risultato positivo – continua la Vizzarri – ma non si può dimenticare che si trattava di un progetto innovativo: la struttura era rimasta molto soddisfatta e questo si è rispecchiato nei giudizi nei confronti del capoprogetto e dei livelli intermedi”.

Mille modi per parlare di valutazione: un approfondimento su Saperi PALa valutazione, dunque, è possibile, anche in forme avanzate, a patto che sia messa in mano a persone illuminate. Troppo spesso, per non dire quasi sempre, gli uffici del personale hanno, invece, un approccio amministrativo alle risorse umane: le spostano, le amministrano, non le valorizzano e quasi mai ne programmano uno sviluppo serio.

Quella della Corte dei Conti è un’esperienza difficilmente replicabile in altri contesti, dunque, anche perché mettere strumenti così avanzati, come le schede di valutazione dal basso in mani non adatte potrebbe essere un rischio grave. In una amministrazione dove la cultura della forma è ancora quella predominante ed il rispetto della procedura ha un valore maggiore del raggiungimento dei risultati difficilmente si potrebbe far passare il messaggio di una valutazione orientata non solo al premio monetario, ma al miglioramento.

“Dopo quell’esperienza – conclude Catia Vizzarri – abbiamo portato avanti altri progetti sul tema del benessere organizzativo, ma mi rendo conto che esperienze come queste sono difficili da istituzionalizzare. La legge può obbligare a svolgere procedure, non a svolgerle bene o secondo certi criteri. Anzi credo che il nostro approccio, trasformato in norma, risulterebbe estremamente pericoloso, perché esaminare la qualità della dirigenza e mettere a nudo le problematiche vuol dire mettere in discussione l’amministrazione stessa.

Credo che il maggior pregio di questa esperienza e la cosa veramente esportabile, al di là dello strumento scheda di valutazione, sia il sistema dei feed-back. Quante volte il lavoratore sente che il proprio impegno a migliorare la struttura e a migliorarsi cade nel vuoto, si perde dentro la burocrazia o viene percepito come un fastidio dal proprio dirigente. Nel nostro caso l’impegno si è trasformato, invece, in feed-back positivi (o negativi a seconda dei casi) ossia nella dimostrazione che qualcuno ci aveva visto lavorare, aveva analizzato quello che avevamo fatto e gli aveva dato un peso. Non avevamo lavorato per nulla.”

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