A chi conviene abolire le Province?

È di questi ultimi tempi la ripresa di una polemica che inserisce a pieno titolo nel filone delle discussioni sui cosiddetti “costi della politica”. Si tratta della campagna per l’abolizione delle Province, rilanciata dal quotidiano di destra “Libero” e da tempo supportata da Confindustria. L’assunto è molto semplice: le Province costerebbero troppo e, data la loro scarsa utilità, andrebbero abolite.

Il problema è che le cose non sono così semplici. Se immaginassimo di abolire questo ente, si dovrà riconoscere che le competenze da esso oggi ricoperte dovrebbero essere svolte da qualcuno altro a livello locale. La prima domanda è: chi? Le Regioni? Al di là del fatto che il personale provinciale andrebbe devoluto alle Regioni, magari tramite uffici distaccati, è davvero così corretto operare un’ulteriore centralizzazione dei poteri, in controtendenza rispetto a ogni democrazia evoluta? La verità è che in una nazione come la nostra, nella quale ci sono poco più di 8.100 Comuni di cui oltre 5.800 sono sotto i 5.000 abitanti, occorrono ancora enti di coordinamento dell’area vasta come sono le Province.

Infatti, chi ha il coraggio di dire che le funzioni della Provincia sono inutili? Oltre alle note e riconosciute competenze in materia di edilizia scolastica e di realizzazione e gestione di strade e di sistemi di viabilità sul territorio – impegni capillari difficilmente gestibili da una Regione – dalla riforma del titolo V della Costituzione in poi, sono molte le Regioni che hanno delegato alle Province le competenze in materia di lavoro e formazione professionale. Un partita non da poco, che forse qualcuno preferirebbe risolvere ai piani alti, lontano dai territori interessati e dai loro attori sul campo.

Ma non finisce qui. Quando si parla di coordinamento dell’area vasta, si intende che ci debbono essere istituzioni in grado di tessere i rapporti tra municipi più o meno grandi, costruendo strutture e servizi in rete che altrimenti molte realtà, da sole, non avrebbero. Pensiamo al lavoro che le Province possono svolgere su temi come la tutela dell’ambiente e del territorio paesaggistico, sulla promozione turistica, sull’edilizia pubblica, sull’enogastronomia, sull’offerta culturale integrata o sulla protezione civile, tutti settori che hanno peculiarità territoriali più ampie di un singolo Comune e più strette di una Regione.

Infine, torniamo ai costi. Abolire le Province – posto che non se ne possono abolire le competenze e quindi le spese per servizi, appalti, personale e uffici – vorrebbe dire solo tagliare il costo dei gettoni di presenza dei consiglieri (circa 60 euro a seduta del Consiglio) e le indennità di Presidente e Assessori (comunque inferiori a quelle dei dirigenti del loro stesso ente). Per carità si può fare tutto, ma – lasciatemelo dire – puzza tanto di demagogia, senza preoccuparsi realmente se le cose possono funzionare meglio. Non vorrei che questo tormentone fosse il solito modo interessato per delegittimare l’istituzione di turno, in modo da approfittarne per avere meno regole da rispettare, maggiore vuoto politico, più centralismo.

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