di Antonio Zulian
Caro Viglia, non scrivo più volentieri come un tempo. Ma agli Amici che mi chiedono d’intervenire sul tuo bel portale per dire la mia sulla tua strepitosa proposta (già in corso d’opera, a quanto vedo) di fondare un partitone tutto di emigrati, non si può dire di no. Anche perché, sai, l’idea sarebbe vecchiotta, solo che non la si è mai potuta praticare poichè fino a ventenni fa, grosso modo, si era in pieno ottocento quanto a mezzi tecnologici.
Ma si dà poi il caso che anche di recente l’idea di costituire un gruppo unito di persone della stessa parte politica, si sia dimostrato compito arduo. Parlo, come esempio concreto, della sola costituzione di un coordinamento di Forza Italia in Europa, che fosse sganciato dai vari addetti “romani”, sovrano in casa propria e perfino capace di imporre i propri candidati al partito. Talchè al fatidico titolo di On. o di Sen., non ci fosse Cacchio o Svirgoletto, ma persone che, semplicemente, conoscessero la propria vita di emigrati nonché, soprattutto, quella degli altri, che magari non sanno ancora leggere o scrivere.
Macchè, non ci fu verso di farla intendere. Eppure, dietro a questo disegno si era in dieci quindici. Troppi i dubbiosi, ovvero quanti, non riuscendo a vedere di là dal proprio naso, ritenevano indispensabile avere dei riferimenti a Roma. E qui entriamo, caro Viglia, nello specifico. La differenza esistente tra l’avere, come tu proponi, dei referenti parlamentari eletti all’estero ed espressione diretta dell’elettorato, e l’avere un responsabile di partito imposto dall’alto, completamente ignaro dei nostri temi e addirittura artefice e padrone assoluto delle candidature, al punto da prendere in considerazione soltanto quelle che hanno palanche dentro la borsa, mi sembra evidente. Pur tuttavia, non sono ancora completamente convinto che sia facile debellare negli italiani, compresi quelli all’estero, la febbre del partitismo, della fazione, e soprattutto, ciò che intendiamo come “politica”. E questo, anche nel caso di elezione di nostri parlamentari “reali”.
Ho visto degli On. neo eletti che fin dieci minuti prima della loro nomina, erano gente come noi, che parlava con l’A B C della nonna, ma che, appena usciti da Palazzo, già sembravano dei Fanfani in grado di dare lezione agli Andreotti. I Comites, i Cgie? Tutte cazzate, prima. E dopo? Ma guarda, sono diventati “strumenti utili alla democrazia nonché organismi indispensabili”.
Il fatto è, caro Viglia, che noi tutti siamo Italiani, cioè a dire che siamo tutt’altro che disposti ad ammettere che la politica come noi la intendiamo, altro non è che cialtroneria, pressappochismo, dilettantismo, opportunismo spinto ai livelli vergognosi dell’indegnità. Crediamo ancora che un bravo politico sia quello che meglio riesce a fottere l’altro. In verità, invece, fottiamo la gente, il popolo. Reputiamo che fare politica sia anche inondare le agenzie di svariati annunci, imperiosi quanto cretini e fuori luogo. In verità, conoscendo i personaggi, ci viene da ridere. La demagogia nostrana è sempre stata capace di stravolgere persino l’evidenza dei fatti. Perciò chi ci assicura che anche con un partito degli emigrati, che a mio avviso dovrebbe essere monopolio assoluto dei tanti giovani che di politica vera, sincera, sentita, sappiano farsi paladini, chi ci garantisce, dicevo, dagli infiltrati che puntualmente storcono a dritta o a manca, e da quelli che sicuramente non avendo un progetto moderno da realizzare e che vada a beneficio di tutti, altrettanto sicuramente chiederanno soldi per i soliti corsi e corsetti, frequentati da nessuno, ma che così tanto gonfiano i portafogli di certi partiti e patronati e cianfrusaglia varia? Insomma, chi ci assicura che non si ripercorreranno le solite strade delle solite proteste contro i tagli di qualunque governo?
Io mi accontenterei che qualche esponente del nuovo Partito degli Italiani all’Estero, ora dicesse che finora all’estero abbiamo sprecato troppe sostanze, e che, avvezzi alle vacche grasse, agli imbrogli, ai personaggi da fumetto, non si ha l’onestà e il coraggio di ammettere che è tempo di cambiare strada. Ma di brutto, e presto.
Caro Viglia, il tempo è propizio. Ed è pure vero che la gente all’estero, almeno quella che non si fa né sentire né vedere, e cioè la stragrande maggioranza, ne ha piene le scatole dei tradizionali partiti. Ma siamo sempre lì, se non corriamo ai ripari, ossia, se non buttiamo a mare quanto prima il concetto di far “politica” tutto nostrano. Ecco, bisogna cambiare mentalità. Ci riusciremo?
Ti saluto caramente