SALDARE LE LOTTE PER I DIRITTI E I BENI COMUNI IN ITALIA E NEL MONDO A PARTIRE DAI MIGRANTI – 200mila persone a Roma in difesa della scuola pubblica contro la menzognera “riforma Gelmini”. In tutta Europa, i nostri giovani partecipanti ai programmi Erasmus o ricercatori all'estero si mobilitano o occupano in segno di solidarietà i consolati di Copenhagen, Paris, Lyon, London, Madrid, Brussels, Lisbon, Amsterdam, Berlin, Barcelona, Valencia, Aarhus, Tubingen e Istanbul supportati dai loro colleghi nei diversi paesi.
di Rodolfo Ricci
Forti iniziative di protesta hanno accolto il Sottosegretario Mantica in visita la scorsa settimana a Berna per giustificare la cosiddetta razionalizzazione della rete consolare italiana nel mondo e i tagli indiscriminati alle poche e misere risorse destinate agli italiani all'estero nel campo del sostegno scolastico, dei corsi di lingua e dell'assistenza.
Domani a Zurigo, svizzeri e frontalieri italiani parteciperanno alla grande manifestazione indetta dal sindacato UNIA per protestare contro le enormi iniezioni di denaro pubblico alle banche svizzere in difficoltà a discapito di servizi e prestazioni sociali che inevitabilmente saranno ridotte.
Nel centro della crisi economica mondiale, lo slogan che raccoglie tutte le iniziative popolari è: “Noi non la vostra crisi non la paghiamo”.
Uno slogan semplice, chiarissimo, maturo, per niente ideologico, che anzi più pragmatico e chiaro non si potrebbe; è uno slogan in grado di travalicare i confini e di raccogliere la stragrande maggioranza delle popolazioni dei vari paesi che si sono viste negli ultimi decenni ridurre occasioni di lavoro, di reddito, contrazione di diritti e che parallelamente hanno visto aumentare povertà e marginalità di ogni genere.
Oggi, di fronte alla epocale crisi del neoliberismo, le aspettative dei lavoratori e delle famiglie, ovunque si trovino, sono ancora più nere. Abbiamo di fronte anni di recessione e di indecifrabile futuro.
La potenza di fuoco mediatico e parlamentare dell'animale ferito e in crisi ha già scatenato i classici strumenti di mobilitazione contro gli untori: fannulloni, immigrati, sindacati. A loro si addebitano le difficoltà del nostro e di altri paesi.
La situazione italiana è purtroppo una delle punte di avanguardia di questa strategia che mira a scatenare la guerra tra i poveri e a nascondere il fatto che il 10% degli italiani più ricchi detengono il 47% della ricchezza del paese, mentre al restante 90% rimane il 53%, percentuali che fanno dell'Italia il primo paese del terzo mondo.
Le proposte della Lega nord presentate ieri in Parlamento sono impressionanti per il contenuto di xenofobia e razzismo che contengono e fanno capire chiaramente qual è la posta in gioco in questo scorcio di anni 10 del terzo millennio: le contraddizioni debbono essere sanate nell'ambito di una salutare lotta fratricida tra poveri di prima e seconda categoria, dentro i singoli paesi e successivamente, tra i diversi paesi.
E' la classica strategia dei tempi di crisi, nei quali, oltre al malloppo già trafugato, si debbono ricostruire le condizioni per ristabilire il normale travaso di ricchezza (sviluppo) degli anni di stabilità.
E' bene che tutti ne siano edotti: questa crisi non lascerà indenne nessuno; coloro che ancora godono di un passeggero benessere, lo vedranno scemare sotto i loro occhi nel giro di alcuni mesi e dei prossimi anni.
Sarebbe opportuno che la riflessione individuale travalichi anche gli abituali scenari di destra e sinistra, poiché la crisi non guarderà in faccia tessere di partito o predilezioni di schieramento.
Finito il meccanismo di convinzione basato sull'elargizione di mutui facili e di consumo finanziato con il debito, chi gestisce il potere vero (qualche decina di milioni di persone nel mondo) intenderà disporre delle masse solo per contenere le proprie perdite o addirittura per costruire nuove occasioni di reddito senza riguardi per nessuno, a nord e a sud.
Quindi l'indicazione dovrebbe essere quella di non farsi abbindolare ed inquinare nel mare magnum delle infinite misure preconfezionate e vendute come razionalizzanti di un sistema in crisi e che tendono invece a dividere la gente che lavora; e di sostenere invece ogni movimento di base che sia in grado di fare emergere la natura profonda, ma ormai evidente, delle situazioni reali e di togliere il velo e i veli ideologici che vengono sovrapposti alla realtà: la realtà di una crisi i cui effetti dovrebbero essere nuovamente pagati dai tanti che hanno già pagato e finanziato l'impressionante arricchimento dei pochi.
Bisogna avere la capacità di unificare le tante battaglie per la resistenza ai colpi di coda del neoliberismo morente e per la riconquista degli spazi di diritti, di giustizia e di equità che fanno un paese ed una società civile e democratica.
Nell'ambito delle questioni in cui siamo impegnati da decenni, quella dell'emigrazione e dell'immigrazione, bisogna essere coscienti che esse costituiscono due centri delle dinamiche di scatenamento della crisi:
sul versante dell'immigrazione perché è evidente che l'obiettivo dei poteri forti è quello dello scontro fra cittadini autoctoni e stranieri. Su quello dell'emigrazione perché viene ormai ritenuto superfluo il rapporto con le comunità emigrate in una fase di ritorno a politiche di protezionismo e perché le nuove mobilità di emigrazioni interne e internazionali (manovalanza e cervelli) sono ritenute compatibili (e utili) con la conferma della divisione del paese tra nord avanzato e sud arretrato e, allo stesso tempo, con un modello di sviluppo che assecondi e privilegi i settori economici a basso livello di innovazione che costituiscono la caratteristica peculiare dell'impresa e della borghesia italiana, ancora “la più ignorante d'Europa” come 40 anni or sono Pier Paolo Pisolini aveva decretato.
Nel momento in cui nella potenza guida del pianeta oltre 60 milioni di persone eleggono il primo Presidente multiculturale (e di una minoranza) della storia, in Italia si discute di come contrastare le comunità immigrate (che producono il 10% del PIL e che registrano un livello di scolarizzazione superiore a quello indigeno). Una impostazione che chiarisce il livello di arretratezza culturale della classe dirigente dello stivale che non è neanche in grado di pensare all'enorme potenziale di risorsa di cui dispone.
Lo stesso vale per le comunità italiane all'estero, la cui presenza agli onori (rari) della cronaca viene vissuta addirittura con fastidio perché occupa qualche seggio parlamentare e perché non essendo sottoposta al massaggio sub-culturale quotidiano che emana dai media nostrani, dispone di qualche maggiore elemento di discrezionalità rispetto alla terribile provincia e alla metropoli clientelare che ha conquistato il territorio delle coscienze nazionali.
Bisogna dunque saldare tutte le lotte che si dipanano e si dipaneranno nel prossimo futuro e per quel che possiamo fare, dentro e fuori i confini italiani, siamo impegnati a sostenere quella delle comunità italiane all'estero con quella degli studenti, dei ricercatori e dei nuovi emigrati all'estero, quella dei milioni di immigrati in patria e con quelle dei nuovi migranti (sono anch'essi milioni) dentro i confini nazionali sulla direttrice sud-nord-nord est.
Bisogna assolutamente scongiurare ogni rischio di guerra tra poveri e bloccare ogni tentativo di ulteriore trasferimento di risorse e beni pubblici a favore dei responsabili della crisi. Più che una lotta di classe è una battaglia di civiltà contro la barbarie incombente. (Senza un grande movimento internazionale che si coaguli su questi obiettivi, neanche Obama ce la farà.)
Il Presidente Napolitano ha detto ieri, ricevendo esponenti delle comunità immigrate in Italia, parole importanti sulla questione dei diritti e dei doveri: “essi non riguardano solo gli immigrati, ma anche, ed anzi, soprattutto, gli italiani in Italia”.
C'è un diritto ad una informazione seria e corretta sulla natura e sulle ragioni dell'emigrazione e dell'immigrazione e c'è, allo stesso tempo, un dovere di informarsi da parte degli italiani in Italia. Come intorno alla questione della sicurezza, c'è una sicurezza che riguarda gli autoctoni e coloro che arrivano. La sicurezza, i diritti, i doveri, sono indivisibili o come ha detto Napolitano, “contestuali”.
Lo abbiamo riaffermato con chiarezza qualche giorno fa al Convegno organizzato dalle Colonie Libere e dalle Fiei del 7 novembre alla Biblioteca del Senato, a Roma.
Peccato solo, che il Presidente abbia limitato agli immigrati “regolari”, questo “diritto alla contestualità”: infatti gli immigrati regolari oggi in Italia sono solo la somma degli immigrati clandestini regolarizzati dalle successive sanatorie negli ultimi 20 anni.
*) Segretario Generale della Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione (FIEI)