MAGISTRATI DALLA GOGNA AL TORNELLO

di Daniela Gaudenzi

Berlusconi riesce a realizzare quello che Craxi aveva solo desiderato: la mortificazione e l’annientamento del potere giudiziario, il nemico numero uno

“La giustizia è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai magistrati”. Questo è stato l’esordio sull’argomento produttività dei magistrati e tornelli da parte di un ministro della repubblica italiana in quella sede mediatica para-istituzionale che è diventata, con consenso bipartisan della nostra classe politica che si accalca per animarla, la terza camera di Bruno Vespa.

Il seguito a Porta a Porta e più ancora l’intervento di Renato Brunetta riportato un po’ inspiegabilmente in prima pagina su La Stampa dall’eloquente ed esilarante titolo “Tornelli vuol dire giustizia”, fanno tristemente chiarezza sul fatto che, ebbene sì, non si è trattato di una battuta estemporanea come qualche commentatore competente e autorevole, a causa dell’enormità e della aberrazione semidemenziale della proposta, vorrebbe comprensibilmente credere e/o sperare.

No, il ministro della funzione pubblica o come lui si qualifica, per la Pubblica amministrazione e l’innovazione, privo di qualsiasi competenza e titolo istituzionale per ingerirsi nel funzionamento della giustizia, per espressa disposizione costituzionale di pertinenza del ministro della Giustizia “ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura”, vuole letteralmente mettere “fine all’anarchia giudiziaria” perché “i costi della giustizia che non funziona sono insopportabili”.

Un ministro insediato da Berlusconi, il cui impegno prioritario nei suoi tre governi è stato quello di intralciare il corso delle giustizia con qualsiasi mezzo, di cui uno dei prediletti la legge ex- Cirielli, finalizzata appunto a dimezzare i tempi di prescrizione e a vanificare i processi per i reati a cui il presidente del Consiglio è più sensibile, denuncia indignato che “Dei procedimenti penali che si iniziano arrivano a sentenza sì e no il 30%, fra questi risultando numerosi gli assolti. Significa che più del 70% dei procedimenti si perde per strada, risucchiato dai tempi delle prescrizioni. Una pacchia per i criminali.”

Una considerazione, come si può agevolmente evincere, molto pertinente per spiegare il curriculum processuale del presidente del Consiglio “assolto”, come dice lui e coro al seguito, con ben 5 prescrizioni e 2 auto-depenalizzazioni, piuttosto che il rapporto tra produttività dei magistrati e tornelli per garantirne le presenza fisica negli uffici giudiziari.

Alla mancanza di soldi, investimenti, strutture, personale ausiliario, strumenti di ogni genere, codici che i magistrati si comprano autonomamente, carta igienica, carta per le fotocopie e via dicendo, Brunetta risponde imperterrito che noi abbiamo più magistrati e spendiamo più della media europea: “Spendiamo troppo e spendiamo male come dimostra il capitolo informatizzazione: ci sono 7000 server al servizio della giustizia (ne basterebbe il 10%) e 169 sale dedicate (ne basterebbero 29)….”. Dunque a sentire il ministro ci sarebbero quasi più server che computer dato che molto spesso i magistrati non ne hanno a disposizione un numero sufficiente e devono provvedere alle spese di manutenzione di tasca propria… E quale sarebbe il nesso con l’installazione di tornelli, il cui costo oltretutto verrebbe ad incidere considerevolmente sugli stanziamenti sempre più ridotti per la giustizia?

La premessa della geniale trovata al di fuori del dettato costituzionale e del rispetto dello status degli appartenenti ad un potere dello stato sottratto a qualsiasi forma di rapporto gerarchico di subordinazione (a garanzia, vale la pena di sottolinearlo dell’indipendenza della funzione e del diritto all’eguaglianza dei cittadini) starebbe nella constatazione che molti magistrati lavorano “solo due o tre giorni a settimana e poi stanno a casa”.

Come spiega puntualmente Vittorio Grevi sul Corriere (Il tornello non fa giustizia) “non si possono confondere i giorni di udienza con quelli di lavoro per fini giudiziari né si possono formulare analisi così approssimative, senza nemmeno distinguere tra le funzioni dei magistrati del pubblico ministero e quelle dei giudici”.

Ma come fa un ministro della Repubblica a non saper che i pubblici ministeri fanno le indagini, fanno turni di reperibilità, devono convalidare gli arresti entro le 48 ore e che il riferimento ai 2 o 3 gironi è privo di senso logico? E come fa a non saper che i magistrati giudicanti prima delle udienze devono studiare i fascicoli e dopo redigere le motivazioni per tutti i provvedimenti adottati, che non sono ovviamente solo le sentenze? Ma il ministro argomenta come segue: “Dicono i magistrati: ci portiamo il lavoro a casa. Ma mica voglio una giustizia amministrata nel tinello!….Mancano gli uffici? Si organizzi il lavoro giudiziario in modo che gli uffici ci siano e siano aperti al pubblico, che problema c’è? Non vedo proprio perché qualcuno debba sentirsi sminuito se si controllano le entrate e le uscite dal lavoro al fine di evitare i tanti deserti pomeridiani nei nostri tribunali…”.

Il tornello per assicurare la presenza fisica di un funzionario burocratizzato in un palazzo di giustizia svuotato di personale amministrativo e quasi sempre sotto organico, senza una fotocopiatrice funzionante come denunciava Gherardo Colombo a Milano solo qualche anno prima di lasciare la magistratura, o dove il presidente Grechi si trovava costretto a disporre la riduzione delle udienze settimanali 5 a 4 per ciascuna sezione della Corte d’Appello, cumula al danno della giustizia anche la beffa del cittadino. E la situazione come documenta la cronaca di Milano degli ultimi mesi non è certamente migliorata, per rimanere in una sede che non deve affrontare i disastri e l’abbandono ostentato di Catanzaro o Reggio Calabria.

L’umiliazione del magistrato infatti gratifica un ceto politico abbruttito e degenerato ma non restituisce davvero la tanto invocata a sproposito “giustizia giusta” ai comuni cittadini.

Tagli ad una giustizia “che non merita di chiamarsi giustizia” per i tempi “scandalosamente lunghi”, riforma annunciata o meglio minacciata per assoggettare il pm all’esecutivo attraverso la separazione delle carriere, legge sulle intercettazioni per vanificarle e/o sottrarle al controllo del pm, soppressione dell’obbligatorietà dell’azione penale, svuotamento e ulteriore politicizzazione del CSM; ma alla fine grazie al tornello, il magistrato-funzionario perfettamente normalizzato starà incollato alla sedia a rigirarsi scartoffie tra le mani 8 ore al giorno per 6 giorni alla settimana.

Forse, in sintesi estrema, la differenza fondamentale tra prima e seconda repubblica, o terza o ancora per maggiore chiarezza, chiamandola con un ossimoro, repubblica berlusconiana, è che allora i nani e le ballerine erano solo al seguito mentre adesso sono al Governo e finalmente Berlusconi riesce a realizzare quello che Craxi aveva solo desiderato: la mortificazione e l’annientamento del potere giudiziario, il nemico numero uno.

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