Rapporto ICAR: 2 anni di lavoro su Interoperabilità  e cooperazione applicativa nelle Regioni italiane

Nell’ambito di ESIIG2 – Secondo vertice sull’interoperabilità nell’iGovernment, a Roma dal 20 al 22 ottobre, è stato presentato il Rapporto “ICAR – Interoperabilità e cooperazione applicativa nelle Regioni italiane – Due anni di lavoro”, in cui si tracciano bilancio e prospettive del progetto che ha definito il modello e attivato l’infrastruttura di cooperazione applicativa fra le pubbliche amministrazioni secondo le specifiche SPCoop, sperimentandola su 7 aree applicative, in 16 Regioni e 1 Provincia Autonoma. In una intervista a due voci Andrea Nicolini, Project manager di ICAR e Giovanni Damiano, Planner del progetto e curatore del Rapporto ce ne spiegano genesi, funzione e contenuto.

dott. Nicolini perché un Rapporto sulla cooperazione applicativa?
ICAR rappresenta un traguardo perché ha permesso di realizzare l’infrastruttura abilitante e sperimentare la cooperazione applicativa su 7 tematismi, ma non solo. ICAR è soprattutto la frontiera dalla quale partire per un’azione di semplificazione della PA in chiave unitaria e cooperativa. Per questo, trascorsi due anni di lavoro dall’avvio del progetto, le Regioni hanno inteso valutare lo stato dell’arte della cooperazione applicativa in Italia e in particolare dei traguardi ancora da raggiungere, a livello nazionale e a livello locale, affinché il processo d’innovazione introdotto possa dirsi irreversibilmente avviato. Con questo Rapporto si è inteso fornire una panoramica sul percorso intrapreso da 16 Regioni italiane e dalla Provincia autonoma di Trento nella sperimentazione, da un lato del Sistema Pubblico di Connettività e Cooperazione (SPC) e dall’altro di un nuovo modo di affrontare e superare problemi comuni, attraverso la cooperazione organizzativa interregionale. Questi attori hanno messo in atto un processo di condivisione della conoscenza, attraverso un’azione cooperativa – basata sia sulla produzione di know-how interno sia sull’apprendimento esterno – in grado di apportare un cambiamento decisivo nel modus operandi della PA centrale e locale.

dott. Damiano, dunque, si tratta di un lavoro di sistematizzazione della conoscenza maturata sulla cooperazione applicativa…
Il Rapporto va in questa direzione. Presenta i risultati inediti di un progetto e analizza i fattori frenanti e di successo dell’interoperabilità e della cooperazione applicativa nelle Regioni italiane, descrivendone strategie, strumenti, azioni e percorsi comuni. Il Rapporto ha l’obiettivo di iniziare a promuovere questa ricchezza, un bene collettivo su cui continuare ad investire affinché la cooperazione non sia solo materia da affrontare dal punto di vista tecnico, ma soprattutto in termini organizzativi, di reingegnerizzazione e semplificazione dei processi.

Come si articola il documento e quale è l’approccio metodologico?
Il documento si articola in due parti. Nella I parte si fornisce un’introduzione ai temi dell’innovazione tecnologica e una descrizione del progetto ICAR, mettendo in evidenza sia gli elementi tecnici, sia quelli della governance e del management che lo qualificano come una “best practice” nazionale ed europea. Nella II parte le Regioni presentano le azioni intraprese a livello locale e territoriale in tema di interoperabilità e cooperazione applicativa, fornendo al tempo stesso un'analisi di punti di forza e debolezza, criticità e opportunità, tracciando i primi elementi di riflessione sul futuro e sulle azioni da attivare. Per scrivere il Rapporto si è proceduto all’applicazione contestuale di tecniche di indagine in grado di cogliere la complessità che sta caratterizzando il processo di cooperazione in atto unitamente alla rigorosa conoscenza sullo stato di avanzamento delle attività interregionali di ICAR (propria dello staff centrale di progetto) e della dinamica delle politiche sull’e-government (propria della finalità statutarie del CISIS – Centro Interregionale per i Sistemi Informativi, Geografici e Statistici).

dott. Nicolini la cooperazione applicativa sembra la strada da percorrere per una ammodernamento efficace ed efficiente della PA italiana…
I dati parlano chiaro. Le Regioni hanno impegnato in questi 3 anni fondi provenienti dalle proprie casse e da cofinanziamenti della PA centrale per un ammontare complessivo di circa 1.700 milioni di euro e speso circa 1.100 milioni di euro, pari al 63% dell’impegnato. Questi importi si traducono a livello di singola Regione in cifre fortemente variabili a seconda degli intervent e della dimensione amministrativa e geografica. Certamente occorre valutare il ritorno di questi investimenti in termini di benefici prodotti. ICAR, in particolare, è un progetto da 25 milioni di euro in grado di sviluppare un valore ben più ampio, in termini di efficacia del servizio, semplificazione e snellimento dei processi amministrativi. Per questo è necessario governare la fase successiva alla scadenza del progetto, fissata al giugno 2009.

Quale sarà la fase successiva?
Il progetto ICAR-Plus, partito a luglio, focalizza l’impegno delle Regioni nel dispiegamento della cooperazione sui propri territori, al fine di costituire e governare la community network degli attori regionali – ovvero Comuni, Province, Comunità montane, Enti derivati – ma non solo. Tutta la PA centrale e locale deve attivarsi nella definizione di un approccio diverso dall’ente-centrismo a favore di un approccio comunitario. Il sistema SPC punta a valorizzare le reti territoriali spingendole ad evolvere in vere community network locali in grado di raccogliere i flussi di dati provenienti da tutti gli enti ad esse aderenti e connettersi al SPC. Per questo è necessario un nuovo approccio. Si tratta di avviare un processo amministrativo comunicando a tutti gli attori coinvolti lo start-up, in modo che ciascun ente possa prepararsi a fornire – secondo i tempi e le modalità organizzative proprie – una risposta efficace ed efficiente a quanto istituzionalmente chiamato a fare. Ciò significa che la cooperazione per essere attivata necessita del ripensamento del singolo processo amministrativo per dominio o materia. Ciascun ente sarà chiamato ad adottare soluzioni tecnologiche ed organizzative tali da permettergli di cooperare sul processo amministrativo con altri enti.

dott. Damiano, quali sono i sistemi di governance avviati dalle Regioni per costituire una Community Network?
L’obiettivo di far lavorare insieme tutti gli enti locali di un territorio, dare a tutti i medesimi strumenti e saper cogliere e mettere a fattore comune eccellenze e vocazioni specifiche richiede una governance solida e partecipata che dia a tutti gli enti un ruolo di attuatori di un processo comune e condiviso. Le piccole realtà territoriali hanno investito sul modello del “laboratorio” – mettendo in comune le culture e i saperi che caratterizzano il territorio, attraverso intese e/o accordi di programma con enti di ricerca, università, imprese in grado di favorire interscambio organizzativo, applicativo e tecnologico – oppure hanno preferito il modello del “consorzio”, organizzato secondo logiche di servizio che raggruppa le competenze territoriali in presidi tematici riguardanti ambiti specifici e caratterizzati da una forte specializzazione tematica. Altre realtà di maggiore dimensione e con infrastrutture già sviluppate hanno provveduto a rafforzare e consolidare il proprio ruolo di guida e di gestione del network delle amministrazioni pubbliche locali, mettendo a loro disposizione le infrastrutture tecnologiche e organizzative per consentire di interoperare a livello applicativo, secondo quanto previsto dal Codice dell’Amministrazione Digitale; nonché fornendo attività di supporto alla standardizzazione dei processi ed alla definizione semantica e formale dei servizi.

Quale è lo scenario auspicabile?
Lo scenario più immediato parte dal modello definito da ICAR, in cui gli attori – Regioni, CNIPA, Ministeri – hanno potuto stabilire una cooperazione, una relazione fra i propri moventi individuali e fini organizzativi, instaurando rapporti “fiduciari” propri di una comunità esperienziale di notevole interesse che ha valorizzato il capitale umano e sociale in gioco. A partire da esso, quindi, è dalla consapevolezza delle Regioni di poter essere forza trainante del processo di ammodernamento della PA, in un contesto fortemente condiviso con ANCI, UPI e UNCEM e con la volontà di contaminare la PA centrale, si apre uno scenario attraente di dispiegamento della cooperazione applicativa su tutto il sistema della pubblica amministrazione. Tuttavia questo è un processo lungo e difficoltoso – sia per l’implementazione tecnica del framework tecnologico, sia per gli assetti organizzativi sottostanti e le relazioni tra le amministrazioni – che richiede una rete di soggetti istituzionali ordinati e una forte collaborazione “paritaria” fra i diversi livelli di governo. Pertanto è auspicabile un modello di azione che, a partire dal documento “Progetto-Paese” del settembre scorso, sia contraddistinto da priorità di sistema che puntino a garantire un “livello minimo di innovazione e di semplificazione” (come da Legge n.246/2005) in ciascuna PA del territorio nazionale. Questo obiettivo è raggiungibile attraverso progetti e/o programmi definiti per la valorizzazione delle eccellenze territoriali, una governance cooperativa a tripla elica che coinvolga imprese, istituzioni di ricerca, centri di eccellenza e cittadini e, infine, risorse finanziarie destinate.

Scarica il Rapporto “ICAR – Interoperabilità e cooperazione applicativa nelle Regioni italiane – Due anni di lavoro”

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