La rielaborazione mentale della sofferenza interiore
La narrazione autobiografica evidenzia esplicitamente il suo potere curativo in quanto rappresenta un efficace strumento terapeutico, educativo e formativo utilizzabile con diverse tipologie d’utenza. L’esigenza dell’intimo racconto di sé scaturisce molte volte dal disagio e dalla sofferenza esistenziali e anche a livello psichico, che sfocia con l’aiuto della parola in una rielaborazione mentale medicamentosa rispetto al dolore interiore. Uno psichiatra americano, Polster, si è occupato della narrazione autobiografica e del racconto orale quale efficace strumento e veicolo emozionale utile per “scaricare l’energia accumulata” (Polster, 1988). Ogni individuo per recuperare l’equilibrio originario necessita di sublimare le emozioni intense quali il dolore, la rabbia, la paura, ma anche l’euforia per espellerle nell’ambiente esterno (esosistema) al fine di ricondurre il soggetto alla stasi iniziale, ossia allo stato omeostatico in cui si potevano evitare scompensi vivendo all’interno di un calibrato distacco emotivo. La narrazione del proprio percorso esistenziale anche all’interno di un processo di crescita concede di sfogare e sublimare stati d’animo, le emozioni, i sentimenti che spesso non è possibile esprimere, in quanto caratterizzati in semantiche negative e riprovevoli, come l’odio e l’invidia. Risulta dunque utile e necessario insistere sull’espressione dei propri sentimenti più intensi e profondi non solo per allentare la tensione, ma anche per riconoscere le proprie pulsioni e raggiungere una più intima consapevolezza ed accettazione della propria personalità. L’azione confortante arrecata dalla narrazione consiste nella potenzialità di esteriorizzare le difficoltà implicite (White, 1992) in una condizione liberatoria scaturita dall’espulsione simbolica dei fantasmi interiori, in quanto il racconto ingenera la necessaria presa di distanza, indispensabile all’accettazione e all’elaborazione dei vissuti dolorosi e problematici. In questo senso si verifica spesso nei racconti autobiografici l’uso della terza persona e la frequenza di analogie, metafore, eteronomi che costellano le narrazioni personali, come strategie per dualizzarsi e sdoppiarsi, divenendo altri da sé, proiettando simbolicamente il disagio e il dolore intimi e personali su figure vissute come sdoppiamento del narratore. Tanti racconti drammatici manifestano una spiccata qualità teatrale riconducibile nello specifico al processo proiettivo di distanziamento tramite la catarsi autobiografica, nella realizzazione di un equilibrio interiore benefico. L’aspetto lenitivo del raccontarsi non dipende dall’ambiente contestuale circostante, ma trae fonte diretta dall’autore stesso, in qualità di artefice ed attore, che agisce in modalità spontanee.
Il distanziamento esistenziale. La bilocazione temporale.
Il soggetto narratore risulta sincronicamente soggetto e oggetto della riflessione che si trasforma automaticamente in altro (Briosi, 1986) nell’ambito di una condizione rappresentata dall’omologia fra introspezione autobiografica e ritratto pittorico in cui l’artista deve alternativamente posare e dipingere, così il narratore autobiografo diventa scrittore dell’esistenza del personaggio che osserva vivere e che è contemporaneamente sé e non-sé. Questo decentramento cognitivo diviene una sorta di bilocazione introspettiva, uno sdoppiamento che permette e consente apertamente al narratore autobiografo di indagare e descrivere la propria storia di vita in qualità di spettatore come se osservasse una vita altra, ossia l’esistenza di un altro. Il distanziamento bilocativo è un atto creativo all’interno del processo narrativo che conduce il narratore autobiografo ad osservarsi con inconsueta curiosità e attenzione come se davanti a sé ci fosse un estraneo che reincarnasse tutto il proprio vissuto. Tale atteggiamento paradossale presenta un effetto positivo perché aiuta ad avvicinare ed al contempo distanziare il sé narratore dal sé narrato, rendendo potenziale il processo narrativo e facilitando il racconto. Questo sdoppiamento facilita il consolidamento del senso di sé attraverso l’accettazione dei ruoli che si sono impersonificati e delle realtà soggettive che si è diventati. La ricerca del proprio passato nelle radici del tempo può fungere da coadiuvante per illuminare il presente e la narrazione dell’attualità quotidiana permette di rivalutare il passato sotto un’altra ottica e visuale. L’introspezione autobiografica lancia uno sguardo aereo attraverso i meandri stretti, le ampie radure, le discese aspre, gli orizzonti rasserenanti delle nostre esistenze, che permette di conferire un senso globale, un ampio significato allo scenario complesso della vita, facilitando la comprensione dei nessi interconnessi, i significati profondi e reconditi, sfuggiti o non ancora compresi e accettati. La bilocazione cognitiva nel contesto narrativo si svolge in diversi livelli (Demetrio, 1994). In primo luogo come trasposizione tra la prima persona io e la terza lui o lei, il che porta a trovare una collocazione fuori di sé, dove il soggetto si autocontempla come se fosse un altro individuo. Un altro livello consta nella capacità di localizzare il proprio sé nel passato, per poi proiettarsi nel futuro tramite la dimensione progettuale, stimolato dall’autonarrazione, in una bilocazione temporale dal passato, al presente, al futuro. Il livello che comprende le dimensioni o simbologie archetipiche dell’interno e dell’esterno, coinvolge il paradigma relazionale tra vita interiore e vita esteriore, raccontando la personale evidenza sociale, nella narrazione di sé in termini di esperienze pubblicamente riconosciute e riconoscibili dagli altri. Il discorso dei personali processi psichici, emozionali e dei vissuti intimi, si deve affiancare anche alle modalità vitali esteriori. Questo ambito di intimità con se stessi viene coadiuvato, approfondito, reso fertile e mantenuto in vitale armonia dalla narrazione autobiografica.
Narcisistiche autocontemplazioni.
La dimensione narcisistica alimentata di continuo nello svelarsi del racconto, rivela nuovi interessi nei confronti della narrazione incentrata nel minimo particolare verso elementi precipuamente intrisi di egotismo narcisistico. Il racconto della personale storia di vita e del proprio sé, fa innamorare il suo protagonista di una passione positiva e generatrice del desiderio di approfondire la conoscenza interiore e introspettiva. La rinnovata attenzione finalizzata alla narrazione delle proprie istanze interiori, condurrà alla valorizzazione di aspetti, eventi, momenti ed emozioni prima dimenticati o trascurati tramite la valorizzazione delle capacità di emozionare stupire, incantare e affascinare verso i più reconditi meandri degli anfratti della psiche umana. Il racconto autobiografico rende infatti consapevoli del fascino insito nell’esistenza di ogni singola persona. L’emozione fatta scaturire dalla narrazione si svela quale valore prezioso per l’arricchimento del proprio animo intrasoggettivo come fonte di entusiasmo nuovo nei confronti dell’avvenire, in una fertile autocontemplazione (Galli) che si ripercuote sull’essere personale, presente e futuro, ampliando i canali conduttori e le vie di comunicazione, dello stupore, della meraviglia, della fascinazione interiore quale continua apicale indispensabile al desiderio di cambiare e di crescere per tutto l’arco dell’esistenza.
Bibliografia
Briosi A. Autobiografia e finzione. Quaderni di retorica e poetica, 1986
Demetrio D. Il gioco della vita, Guerini, Milano
Demetrio D. Pedagogia della memoria, Meltemi, Roma.
Galli G. Interpretazione e autobiografia, in Atti dell’Undicesimo Colloquio sull’interpretazione, Marietti, Genova 1990