Preoccupante il moltiplicarsi degli episodi di razzismo, xenofobia e violenza

Due settimane fa a Milano è stato ucciso un cittadino italiano di colore, Abdul William Guibre. Un padre e un figlio l’hanno finito a sprangate al grido di “sporco negro” perché forse avrebbe rubato dal loro bar un pacchetto di biscotti.
In un delirio auto-assolutorio il governo e i principali media hanno parlato di un episodio isolato e hanno assicurato che la società italiana è immune dal razzismo. Come a dire: la xenofobia non c’entra, ma solo il bisogno di sicurezza, spinto fino al paradosso dell’illegalità di farsi giustizia da soli, in modo bestiale. Mi sembra che siamo all’ipocrisia conclamata. Alla menzogna reiterata che vuole giungere a sostituirsi alla realtà dei fatti per ragioni strumentali e ciniche di interesse politico.
Se sfogliassimo insieme i giornali degli ultimi mesi, troveremmo una serie raccapricciante di “episodi isolati”. Rimaniamo ai fatti principali, quelli che la stampa non ignora.

Il 13 maggio 2008 il campo rom di Ponticelli è stato incendiato dalla popolazione del quartiere, sull'onda della falsa informazione che una zingarella avrebbe tentato di rapire una bambina.
Il 24 maggio 2008, a Roma nel quartiere Pigneto, un negozio gestito da residenti bengalesi e pakistani è stato devastato a mazzate da un commando di italiani con il sostegno di alcuni residenti che applaudivano.
Il 20 agosto 2008 Assunçao Bonvindo Mutemba, giovane angolano di 24 anni, è stato picchiato a sangue all'uscita di una discoteca genovese con la sola giustificazione che egli aveva la pelle nera.

Questi i fatti più gravi di razzismo etnico, a cui potremmo aggiungere le ronde dei residenti italiani in alcune città, rivolte contro immigrati e prostitute, con la complicità spesso dei governi locali.
Oppure gli episodi di intolleranza contro gli omosessuali culminati nella devastazione di un circolo gay della capitale. Oppure l’assassinio da parte di giovani neofascisti di Nicola Tommasoli, la notte del 1° maggio 2008, picchiato a morte per il suo aspetto (aveva i “capelli lunghi”).
Come per Abdul William Guibre, anche nel caso di Nicola, si è parlato di una rissa per futili motivi e non di un’aggressione, e la derubricazione mediatica (sarebbe più grave bruciare delle bandiere in una manifestazione) arrivò allora dal presidente della Camera Fini – oggi riscopertosi antifascista dopo che i suoi colonnelli Alemanno e La Russa lo avevano messo in imbarazzo lodando il ventennio mussoliniano e le truppe di Salò affiliate alle SS.
È allora giunto il momento di fermarci a riflettere, mettendo da parte gli istinti e mantenendo salda l’indignazione.
Non è più possibile continuare – come hanno fatto le forze delle destra oggi al governo – a sfruttare cinicamente il tema della tutela sacrosanta della sicurezza dei cittadini come maglio per ottenere consenso e infangare l’avversario politico. Infatti, si è venuto a sviluppare una pericolosa equazione tra devianza sociale e differenza etnica e non solo (ancor più che immigrazione). Questo clima, assecondato dalla grande stampa, ha sballato le percezioni dell’insicurezza nei cittadini, facendo loro perdere di vista il fatto che in Italia i reati penali sono statisticamente meno che nel resto dell’Occidente. Ma soprattutto ciò ha condotto a un’atmosfera malata di razzismo e diffidenza, che ha costituito l’alibi per quei criminali – questi sì – che hanno fatto ricorso alla violenza per farsi giustizia fuori dalla legge e dalle istituzioni democratiche.
È urgente spezzare questa spirale. L’appello è al governo e ai media perché facciano un passo indietro. E a noi tutti, a mobilitarci per un Paese più civile.

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