Fin dall’inizio della sua avventura Berlusconi si è fatto scortare in Parlamento da una nutrita compagnia di suoi avvocati. Nei primi tempi passavano la maggior parte del loro tempo a difenderlo dai processi e dedicavano all’attività legislativa solo i ritagli di tempo.
Ora che il Lodo Alfano li ha sollevati da qualsiasi peso processuale hanno molto più tempo a disposizione. E gli effetti si vedono.
Gaetano Pecorella ha sfornato una proposta di legge costituzionale che sfigura l’intero assetto della giustizia e perfeziona la resa dei conti di Berlusconi con la magistratura.
Giudici e pubblici ministeri vengono separati all’origine con due diversi concorsi di ingresso. E ci saranno per loro due diversi consigli superiori della magistratura. Non senza ironia si immagina che quello dei pubblici ministeri venga presieduto dal ministro della giustizia: se il pm possa o non possa essere sottomesso all’esecutivo diventerà discussione di sapore archeologico.
Viene istituita una Corte di giustizia disciplinare in cui i magistrati e non togati saranno di pari numero: solo grazie alla clemenza di Pecorella non saranno in minoranza.
Ci sarà una Cassazione centrale per i reati gravi e Cassazioni regionali per i reati minori: si accettano scommesse su dove finiranno i reati di natura finanziaria e corruttiva.
Unica reale misura garantista è la custodia cautelare sul modello francese: si va in carcere solo dopo il contraddittorio davanti al giudice. Ma c’è da vedere in quali condizioni diverse vi arriveranno imputati di diverso peso.
L’obbligatorietà dell’azione penale sarà regolata per legge. Anche qui sarà interessante controllare il diverso destino tra i reati comuni e reati dei colletti bianchi.
In pratica la proposta Pecorella sovverte integralmente tutte le disposizioni fondamentali della Costituzione vigente.
E poiché le modifiche costituzionali sono laboriose e l’esperienza insegna che possono essere bocciate dal popolo nel referendum consultivo, il centrodestra mette all’opera i suoi tecnici anche su un piano più pratico e meno visibile. Su Repubblica D’Avanzo ha sostenuto che c’è un disegno per sottrarre la polizia giudiziaria al controllo del pubblico ministero. E’ cosa assai meno vistosa di una riforma costituzionale ma può essere altrettanto insidiosa.
Se la polizia giudiziaria non risponde al magistrato è normale che risponda all’autorità da cui dipende: il ministero dell’Interno. E potrebbe far sapere al giudice solo le cose filtrate dal controllo di quel ministero. L’autonomia del pubblico ministero non sarebbe nemmeno sfiorata ma la sua azione ne risulterebbe devitalizzata all’origine. D’Avanzo scrive che su questo progetto ci sarebbe un’intesa tra Ghedini e Violante.
Sempre su Repubblica Violante smentisce ma in una forma che conferma la sua intenzione di dare alla politica un ruolo di indirizzo sull’azione giudiziaria: precisamente ciò che “la politica” vuole e che la Costituzione impedisce.
Negli ultimi tempi è circolata assai la voce secondo cui Violante sarebbe candidato autorevole per la Corte Costituzionale. La sua smentita odierna è preoccupante almeno per due motivi: il suo tono potrebbe confermare che la candidatura è reale; le sue dichiarate intenzioni fanno temere sul serio che possa raggiungere quel ruolo ed esercitarlo.
Non sarebbe confortante scoprire tra qualche anno qualcosa di simile a quando si è dovuto ascoltare quel suo intervento in Parlamento rivolto al centrodestra: …ve l’avevamo detto che non toccavamo le reti televisive di Berlusconi…era ineleggibile ma nella giunta per le elezioni l’abbiamo votato…