GIULIANO AMATO NEL FORMAGGIO

di G.C.C.

È il Talleyrand della situazione, il Giolitti dei nostri tempi: sempre a galla

Giuliano Amato viene definito statista: uomo dello Stato, uomo al servizio dello Stato. Ha 70 anni, è un uomo politico che ha attraversato tutte le trincee. Come ministro dell’Interno, sotto il passato governo Prodi, parlando alla commissione Affari costituzionali della Camera, è arrivato a consigliare ai vigili del fuoco, rimasti senza fondi, di non pagare l’affitto della caserma. Nel luglio 1992, con un decreto retroattivo durante un weekend entrò nelle banche prelevando il 6 per mille dai risparmi degli italiani (tranne alcuni preveggenti): uomo di stato con idee bizzarre.
Piemontese di famiglia siciliana e con studi in Toscana, ha cominciato nel Partito socialista di unità proletaria, Psiup, ha continuato nel Partito socialista Italiano, Psi, dove è stato prima antagonista e poi consigliere economico di Bettino Craxi; caduto quest’ultimo è entrato nel Partito democratico, Pd. Non basta, per la recente elezione del presidente della repubblica, mentre i suoi compagni del Pd proponevano Napolitano, lui veniva sostenuto dagli avversari, i berlusconisti del Partito delle libertà. Un occhio scruta a sinistra e uno a destra.
Lo dice lui. Si ritiene insieme socialista e liberale. Impudicamente, 2006, ha scritto: «Sono socialista e fiero di esserlo. Ma proprio per questo sono pronto a confondere la mia identità con quella di quanti, nel contesto del nuovo secolo, in Italia e in Europa, in Europa e nel mondo, possono concorrere a realizzare con me l’ossimoro in cui ho sempre creduto». Una volta questo ossimoro si chiamava: tenere il piede in due scarpe. Arlecchino ha molto da imparare.
È stato presidente del Consiglio; è stato ministro nei governi Goria e De Mita, democristiani; Craxi, socialista; D’Alema, comunista; Prodi, cattolico. Adesso, oltre ad essere socio di D’Alema, oggi ex comunista, nella Fondazione «Italianieuropei», è diventato presidente della Commissione per lo sviluppo di Roma capitale, chiamatovi dal sindaco Gianni Alemanno, neofascista di Alleanza nazionale, An, più a destra del suo segretario Gianfranco Fini.
Lo chiamano il dottor Sottile, i caricaturisti lo ritraggono come un topo dalle grandi orecchie. Alemanno lo chiama in romanesco «l’Attali de noantri», paragonandolo al francese Jacques Attali, uomo di sinistra consulente del governo di destra di Sarkozy. Forse qualche compagno e camerata romano non sa che secondo Attali l’Italia ha esili chances per il futuro: ha pochi figli, deve alzare l’età pensionabile e favorire una seria politica di integrazione con gli immigrati.
Entra in tutti i buchi della politica, come nell’emmental, ma è molto meglio. Nel 1993, in un discorso alla Camera «si impegnò solennemente ad abbandonare l’attività politica, puntualizzando che non avrebbe mai infranto la promessa» (Wikipedia). Infranse. Il 2 giugno 2008 annunciò pubblicamente il suo addio definitivo dalla politica italiana. È rimasto.
In conclusione, poche righe dal «Brindisi di Girella» del poeta ottocentesco Giuseppe Giusti:
«Quando tornò
Lo statu quo,
Feci baldorie;
Staccai cavalli,
Mutai le statue
Sui piedistalli.
E adagio adagio
Tra l’onde e i vortici,
Su queste tavole
Del gran naufragio,
Gridando evviva
Chiappai la riva».
Ma bisogna leggere tutta la poesia. E queste altre due righe sono invece dello storico inglese contemporaneo Denis Mack Smith:
«[…] apparteneva al Centro ed aveva fama di uomo con la testa sulle spalle, che non avrebbe fatto nulla precipitosamente, di liberale, ma senza idee troppo avanzate. In effetti, dato che non aveva quasi nessun principio rigido di alcun genere, egli era proprio l’uomo fatto per giungere al potere in un sistema come quello esistente, basato su ampie e eterogenee coalizioni».
Solo gli asini cadono, dice ancora il poeta, ma niente paura, non c’è nulla di offensivo. Girella era Talleyrand, Mack Smith si riferisce a Giovanni Giolitti. (ildialogo.org)

G.C.C.

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