L’ESPERIENZA CONDIVISA

Il ruolo dello studente

Gli atteggiamenti e le modalità relazionali dello studente all’interno del contesto scolastico dipendono dal ruolo dell’insegnante. Il rapporto di insegnamento deve essere intriso di un clima di benessere, in quanto il ragazzo dovrebbe ideare e immaginare una versione ideale dell’insegnante (come per esempio l’idealizzazione della maestra da parte del bambino). Spesso nella relazione con il docente si avvertono anche involontarie differenze di trattamento, al contrario nei confronti del ragazzo occorre porsi in un atteggiamento coerente all’interno di un ruolo equilibrato, esercitando la cosiddetta giustizia distributiva per cui l’insegnante esercita un ruolo universalistico e pubblico (Palmonari; Piaget) per ottenere riscontri positivi caratterizzati da equilibrio nei confronti del ruolo dello studente, che così potrà dimostrare le autentiche qualità, probabilmente in parte già percepite dall’insegnante. Secondo un’ottica funzionalista, Parsons sosteneva il concetto di studentità, vale a dire la studentry in cui l’allievo doveva raggiungere uno status comportamentale con modalità adulte, dimostrandosi responsabile, capace, non dipendente dalle azioni altrui, allo stesso tempo imparando a competere in modo costruttivo, anche mettendosi in gioco sul controllo degli istinti e degli affetti, istanze considerate “lealtà primarie”, per approdare a “lealtà nuove” di fiducia e solidarietà. In vista di tali atteggiamenti e comportamenti maturi, lo studente potrà relazionarsi anche con i livelli gerarchici dell’entità scolastica, secondo una differenziazione funzionale, ossia un utilizzo di ruoli e modalità relazionali a seconda delle funzioni e dei ruoli gerarchici rispetto a cui si orienta e si imposta la propria evoluzione cognitiva ed affettiva. Lo studente, soprattutto se maturo, adotta diverse modalità nell’assunzione del ruolo di tipo razionale o irrazionale, personale o impersonale, orientato a sé o alla collettività, universalistico, ossia dedicato all’andamento generale del contesto esosistemico, anche in relazione ai rapporti gerarchici, o particolaristico, ossia orientato verso la riuscita personale, al proprio studio, quello necessario, senza esternazione e divulgazione dei contenuti e dei valori acquisiti. Il rendimento scolastico rappresenta un gradiente di osservazione rispetto al livello di adeguatezza, di inserimento, di disagio dello studente nei confronti dei rapporti con la classe e con il docente. Il rendimento scolastico rappresenta una modalità emancipatoria grazie a cui è possibile conquistare una dimensione universalistica, mediatrice, collaborativa con la gerarchia scolastica, per raggiungere un posizionamento gerarchico.
Questo argomento si presenta come importante per la comprensione del comportamento dello studente e del suo ruolo, ma ritengo maggiormente necessario considerare il soggetto studente nell’ambito di un gruppo classe, in un’ottica sistemico-relazionale e interazionista rispetto a determinate dinamiche, in un contesto di pari che sviluppa interrelazioni spesso problematiche. Penso sia più efficace studiare il soggetto in un contesto plurimo a carattere sistemico relazionale, piuttosto che individuarlo secondo una visione funzionalista, come una monade, ossia come un singolo, avulso dall’ambiente esosistemico ed interazionista.

Il colloquio tra insegnante e genitore.

Il colloquio con il genitore avviene con la modalità per cui l’insegnante comunica al genitore che il figlio/allievo è portatore di una problematica. Il genitore avanza scuse, giustificazioni e a volte accuse, spesso, a ragion veduta, respinte dall’insegnante. Questi fattori fomentano nel genitore l’ansia di liberarsi dalla preoccupazione di essere un cattivo educatore, in un senso di colpa inflazionato dalle proiezioni verso l’insegnante. Da questo teatro di botta e risposta emerge il gioco di proiezioni tra messaggi inviati e giunti a destinazione, effettivamente pronunciati e posti in campo e automessaggi, vale a dire una serie di autoaccuse o autoconvincimenti, riflessioni introspettive e giustificazioni. I momenti più critici del rapporto con il genitore sono la cattiva valutazione e la segnalazione. La famiglia denuncia una scarsa attenzione da parte della scuola e un’assenza di risposte alle esigenze dei figli per le difficoltà di comunicazione e osservando discrepanza tra le finalità educative.
Ritengo questa parte di modulo molto interessante, ma penso che attualmente i genitori siano effettivamente troppo presenti ed intrusivi non solo nella vita dei figli, ma soprattutto nel mondo della scuola, intromettendosi soprattutto nelle questioni didattiche e a volte nelle modalità educative degli insegnanti, dimostrando una mancanza di obiettività nella valutazione del sistema scolastico e nel ruolo del docente, che spesso viene screditato e svalutato dal genitore stesso. Occorrerebbe passare da una scuola delle vacue e labili pretese ad una scuola che valorizzi le attitudini, le capacità, le particolarità, le diversità, delle differenti parti interagenti. Occorrerebbe una visione globale d’insieme che valorizzi l’ampia gamma di diversità ed entità divergenti e interagenti, che metta in luce e rivaluti le poliedriche sfaccettature dei molteplici punti di vista senza i quali non potrebbe avere luogo la comunicazione e non si potrebbe avvalorare una costruzione di senso e di significato creativi.

IL MALESSERE GIOVANILE

Dieci anni fa, parlando di “educazione di strada”, si faceva riferimento soprattutto alla prevenzione contro i fenomeni di devianza come la droga, mentre attualmente con “lavoro di strada” si intendono tutti quegli interventi molto diversi di aggregazione di giovani con adulti, non necessariamente in situazioni estreme, a rischio. L’operatore grezzo rappresenta una figura di riferimento adulta che si trova naturalmente nell’ambito del settore territoriale di intervento, nel quartiere dove si orienta l’operazione educativa di pedagogia militante (per esempio, l’edicolante, il barista, il panettiere), figure che si cercava di coinvolgere, in una prospettiva di educazione permanente e militante, attuando i principi valoriali della comunità aperta ed educante, di learning society, attraverso un sistema formativo integrato, interagente ed attivo, che è essenzialmente collaborazione di comunità, che si pone a contatto con la complessità delle situazioni di disagio diffuso nelle difficoltà relazionali, con le diversità, le differenze intergenerazionali, di genere, di ruoli, tra adulti ed adolescenti, superando così una visione esclusivamente centrata su una parte di popolazione campione.
Nella comunità sociale il gruppo di pari comprende individui di uguale età, non solo adolescenti o bambini, ma anche adulti e anziani che vivono insieme, collettivamente, le stesse esperienze amicali, ludico/ricreative, per cui si trovano insiemi comunitari per esempio tra gli ex combattenti, alla bocciofila come ai giardini piuttosto che in parrocchia. Per l’adolescente è fondamentale nello sviluppo psicoaffettivo l’esperienza gruppale, in quanto egli vive la necessità di passare da un gruppo all’altro nel ritorno inconscio ad un nucleo protettivo come la famiglia d’origine. Ma il gruppo dei pari assume gli aspetti di una famiglia allucinatoria, apparentemente protettiva e difensiva, perché in realtà pone di fronte alla vita, ai rischi, alle prime inevitabili esigenze d’evasione e conseguenti esperienze di trasgressione. Risulta importante osservare come l’adolescente sia un soggetto ancora debole, fragile emotivamente, che si ritiene forte, invulnerabile, in grado di poter affrontare le difficoltà della vita, proteggendosi dentro una “corazza” caratteriale in realtà effimera, ostentando spavalderia, presunzione, aperta ribellione con atteggiamenti eccentrici, irriverenti, mascherando così intime insicurezze. Il gruppo di coetanei aiuta ad affrontare le esigenze umane, gli impulsi naturali nel percorso di iniziazione all’età adulta, che consistono nell’osare, provocare, rischiare, trasgredire, “andare oltre” le regole, le norme, i tabù, i divieti, le imposizioni, sconfessando valori acquisiti, smascherando ipocrisie latenti, opponendosi alla banalità di futili convenzioni, rifiutando doveri, procastinando scadenze sine die, sfidando e sovvertendo usi e costumi ricorrenti, divertendosi e soffrendo, reagendo alla disperazione in modo frenetico, esibendo, ostentando la propria immaturità come un vessillo, rivelando così l’intimo e sofferto rifiuto di nascita al mondo, anche se attraverso “evasioni” spesso modeste, puerili, vivendo fino all’estremo un desiderio di trasgressione aperta contro ogni forma di autorevolezza e imposizione, rivendicando attenzioni mai concesse, mettendosi così a contatto con la sperimentazione effettiva del vivere, per cui, oltre la trasposizione metaforica, il giovane avverte la realtà concreta dell’esistenza da accettare come tale senza utopie ed idealizzazioni astratte, spesso deludenti che svelano disincanto e disillusione, sempre costellata, lungo il suo corso di difficoltà, inciampi, disagi, delusioni, pericoli e paure esistenziali, finalizzati a mete da raggiungere, a traguardi da conquistare, per cui risulta difficile ritenere negativa l’esigenza di natura trasgressiva, in quanto fa parte dei passaggi esistenziali, dei continua, delle mete apicali che caratterizzano i percorsi formativi. L’importanza pedagogica, per esempio, dello scoutismo consiste nel creare, ricostruire la situazione di pericolo e di vivere ed affrontare il rischio in una sorta di ambiente protettivo, famigliare, ma al contempo, in competizione con gli altri e la natura circostante, simulando, fuor di metafora, condizioni e situazioni richieste dal percorso di vita e dall’esperienza, creando una dimensione di avventura esistenziale (dal latino ad-venio, le cose che si incontrano), di ricerca e sperimentazione continue sul significato ed il senso dell’essere al mondo, dell’esistere.
Nello scoutismo la trasgressione, l’avventura vengono idealizzate e finalizzate, assumendo i caratteri di un imprescindibile valore di matrice pedagogica per imparare a “diventare adulti” o almeno comprendere che la maturità e con essa il mito della perfezione, saranno mete vagheggiate per tutta la vita, che nel desiderio della loro piena realizzazione, costituiranno lo slancio valoriale, l’anelito esistenziale nel percorso di formazione, per vivere nel quotidiano la progettualità presente e futura.
Ogni gruppo umano ha bisogno di costituirsi tale perché individualmente non si otterrebbero risultati. L’insieme gruppale si istituisce per realizzare il senso di appartenenza insito nell’individuo, il quale ha bisogno di una comunità che protegga e che, in realtà, si rivela uno strumento per realizzarsi, emanciparsi per diventare persona, individuo, soggetto autonomo, in una condizione di passaggio, di transito, di cambiamento esistenziale e formativo sostanziale. Infatti se in adolescenza non si sperimenta questa condizione collettiva, di appartenenza ad un insieme, si sogna un gruppo, si cerca una comunità per tutta la vita.
All’interno di una prospettiva pedagogica si indaga cosa il mondo retrospettivo, il vissuto, l’esperienza ha insegnato, come abbiamo appreso, cosa riusciamo a trasmettere ad altri, in base al nostro bagaglio esperienziale, culturale, valoriale, come siamo cambiati e in che modo inventiamo, suscitiamo progetti di cambiamento negli altri. I gruppi assumono una funzione pedagogica soprattutto quando ci allontaniamo da essi per inventarne e costituirne altri, creati da noi, in base alle nostre esigenze, mete, secondo obiettivi prefissati.
La comunità di coetanei assume una funzione difensiva, protettiva dalle ansie per la perdita dell’infanzia, permettendo di superare gradualmente il distacco affettivo, la separazione psicologica, emotiva, tramite la “desatellizzazione” dalla famiglia d’origine, ma soprattutto consente di iniziare a prendere le distanze dal passato, dalla propria fanciullezza (pubertà), spesso evocatrice di minorità, inferiorità per l’adolescente che ad essa attribuisce l’acquisizione delle regole gerarchiche, del senso di giustizia, del danno psicologico dell’ingiustizia, dell’offesa, del torto, delle prime discriminazioni, delle prime sofferenze esistenziali, frustrazioni affettive, difficoltà ed incomprensioni relazionali nell’avversione viscerale contro l’acritico rispetto delle norme, nell’intolleranza profonda nei confronti di ruoli impositivi.
Il gruppo di pari, di coetanei adolescenti, a scuola, ai giardini, ovunque, diventa luogo intimo di appartenenza emotiva ed affettiva, dove si iniziano a sperimentare le prime forme di seduzione, di sessualità, a vivere l’errore, il “desiderio di erranza” esistenziale, sperimentando il significato del trascorrere del tempo, della sua perdita, del suo spreco smisurati, eccessivi, in fantasie, discorsi, elucubrazioni apparentemente futili, ma necessari per la maturazione di un’identità interiore, per imparare a “poetare l’irraggiungibile”, “quando l’immaturità coincida con una dimensione del mondo interiore coltivata fin da piccoli e con l’aiuto di qualche adulto, preveggente, un poco immaturo, prezioso mèntore” .
Nel gruppo si vive l’esigenza di trascorrere il tempo senza concludere nulla avvertendo la sensazione ed il privilegio di poterlo perdere in tutto ciò che apparentemente potrebbe risultare insignificante, ma che è indispensabile all'adolescente per sviluppare e crearsi un'interiorità, una dimensione intima e segreta, come risorsa esistenziale creativa, per alimentare il “puer” poetico che lo accompagnerà nel corso dell’esistenza, “che sarebbe povera ed insignificante senza una tensione verso una maturità irraggiungibile”, “pensando così ad un’altra immaturità che sappia continuare ad alimentare la nostra vita di innocenza e speranza, che possa rivelarsi una risorsa creativa”, valoriale, il cui potere sia quello di cambiarci, rinnovarci verso nuove esperienze e progetti decisionali di coraggiosa svolta radicale: un luogo dell’anima che non coincide sempre col disagio e la malattia, da coltivare con una mente, libera da preconcetti. “La personale dimensione interiore, sempre fonte di nuova ricerca autobiografica, deve essere prima di tutto coltivata individualmente ed autogestita consapevolmente, per poi essere ripartecipata e risocializzata, scoprendo così che l’origine della propria vita, la matrice dell’esistenza personale, il vero “luogo natio” è quello dove sempre ognuno presta uno sguardo consapevole nella dimensione interiore, individuale del sé”.
I gruppi di pari secondo un’analisi antropologica permettono di vivere l’ancestrale esperienza tribale con i suoi totem, simboli, oggetti di culto, tensioni passionali, in una dimensione arcana, primitiva, originaria che riporta agli episodi di drammaticità delle situazioni relazionali con il mondo esterno in posizione di aperta ostilità, ostinata irriverenza nei confronti dell’autorità, provocazione, trasgressione ed aggressione i cui aspetti latenti e tragiche manifestazioni, secondo una prospettiva sociologica ed antropologica, costituiscono processi e dinamiche collettive inevitabili. Per gli educatori ed i pedagogisti alcuni eventi, condizioni e circostanze di aggregazione di gruppi costituiscono realtà oggettive da osservare in quanto dinamiche processuali a livello sociale di carattere devastante, distruttivo ed aggressivo, secondo il disappunto critico ed una certa inquietudine pedagogica per i fenomeni trasgressivi degeneranti e incontrollabili.
La dimensione pedagogica si rende conto del contrasto tra civiltà ed inciviltà e si dimostra in grave imbarazzo per alcuni aspetti e fenomeni trasgressivi, di aperta sfida contro il mondo e il sistema, che scaturiscono dai gruppi. La preoccupazione nei confronti della trasgressione rientra nella deontologia professionale di qualsiasi educatore e pedagogista, che non si accontenta di descrivere, osservare ed analizzare le fenomenologie sociali (come per la psicosociologia e l’antropologia), ma deve intervenire nei gruppi in modo effettivo, concreto, reale, per renderli im-pari, secondo una prospettiva di intervento militante, per creare, all’interno dell’apparente inoppugnabile coesione, una propizia scissione interna, innescando dinamiche di confutazione e di messa in discussione di presunte e idealizzate affinità, disgregando legami elettivi spesso inibitori, per suscitare tensioni interne di cambiamento e rinnovamento, introducendo insopportabili e scomode diversità, generando in tal modo la feconda dissociazione degli elementi, orientandoli e finalizzandoli ad attività costruttive e creative, sublimandone le potenzialità intrinseche, le cariche emotive e pulsionali, in quanto “smettere di cercare, di imparare, di avventurarsi altrove è più devastante del morire”.

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