Bettiza e la primavera di Praga

A quarant’anni dall’invasione sovietica della Cecoslovacchia, la testimonianza di Enzo Bettiza, all’epoca corrispondente a Praga del «Corriere della Sera», risulta preziosa per la ricostruzione degli eventi. In un libro recente lo scrittore e giornalista esprime con chiarezza la convinzione secondo cui i tentativi di rivolta alla protervia di Mosca sono stati oggetto di tempestive archiviazioni ideologiche. Così non è stato per il maggio francese. – ENZO BETTIZA, La primavera di Praga. 1968. La rivoluzione dimenticata, Milano, Mondadori, 2008

Quando si ragiona sui fatti accaduti quarant’anni or sono in Cecoslovacchia, e si ha almeno mezzo secolo di vita, si è portati a rievocare istintivamente due episodi drammatici, rimasti dentro di noi e percepiti ancora a fior di pelle. Il primo è l’annuncio dell’invasione di Praga da parte delle truppe sovietiche, dato in un caldo giorno di agosto da Radio e Televisione. Il secondo è il gesto suicida, qualche mese più tardi, dello studente Ján Palach in Piazza San Venceslao. A tutto questo si associano immagini in bianco e nero: i carri armati e i blindati posti di traverso sulle strade, i russi armati che discutono animatamente con i praghesi, la folla assiepata nella piazza Staromestské námestí che assiste in silenzio ai funerali del giovane studente. Secondo le stime, ottocentomila persone.

Bettiza, classe 1927, all’epoca aveva 41 anni. Era già adulto e professionalmente avviato per rilevare contraddizioni e conflitti interni al cosiddetto Patto di Varsavia e per accorgersi dello stridente contrasto che contrassegnava quell’anno ed un’epoca: da una parte l’immaginazione al potere urlata a maggio a gran voce dagli studenti del Quartiere Latino, dall’altra la repressione dura, ad agosto, di Brežnev che non ammetteva né primavere praghesi né socialismi dal volto umano. Le truppe avanzarono varcando i confini, schiacciando sotto i cingoli reticolati e sbarramenti, entrando presto nelle città per soffocare ogni tentativo di insubordinazione a Mosca, scontrandosi con la popolazione a fatti e a parole. Le armi dei cittadini erano le parole.

Come nell’incipit del Racconto d’autunno di Tommaso Landolfi, di cui ricorre quest’anno il centenario dalla nascita, due formidabili eserciti si scontravano allora, conducendo una campagna cruenta e che parve infinita alla maggior parte della popolazione, la quale ne fu, come si immagina, direttamente e barbaramente danneggiata.
Questo si respira leggendo la ricostruzione delle dettagliate fasi dell’occupazione della Cecoslovacchia da parte delle truppe sovietiche, resa con rigore documentario da Enzo Bettiza. Testimonianza ancor più fedele se si considera l’incarico, ricevuto all’epoca dalla Redazione del «Corriere delle Sera», di recarsi a Praga per seguire un avvenimento epocale vissuto come traumatico sconvolgimento ideologico, da aggiungersi alle precedenti rivolte dei Paesi del blocco comunista, e a soli dodici anni dalla rivoluzione ungherese. Bettiza ricompone in questo libro i suoi puntuali reportages dal luglio 1968 al gennaio del 1969, aggiungendovi considerazioni e particolari che, se pubblicati allora, avrebbero incontrato dissensi e forse anche censure.

Ne esce un quadro esaustivo della difficile situazione politica ed esistenziale che gravava su una popolazione illusasi di poter allentare, attraverso i suoi coraggiosi leaders, la morsa egemonica di Mosca. Quella legittima aspirazione alla libertà, quelle aperture, non si attuarono. Con il sottotitolo 1968: la rivoluzione dimenticata, Bettiza sottolinea come nell’estate dell’anno fatidico la speranza coltivata da un popolo e dai suoi politici più illuminati, sia stata spenta, soffocata e – quel che è più grave – risolta nel disincanto collettivo e nell’oblio di fatti realmente accaduti. O quasi, perché nei cinquantenni, nella generazione che segue quella di Enzo Bettiza, di quei fatti perdurano ancora potenti le icone: un’istantanea presa in lontananza di Alexander Dubček in divisa grigia da posteggiatore a Seneć, sobborgo di Bratislava, e i versi, tante volte intonati, di un’omonima canzone di Francesco Guccini del 1970, intitolata giustappunto Primavera di Praga: Son come falchi quei carri appostati, / corron parole sui visi arrossati, / corre il dolore bruciando ogni strada / e lancia grida ogni muro di Praga.

*) Giuseppe Muscardini vive a Ferrara e lavora presso la Biblioteca dei Musei Civici d'Arte Antica di Ferrara. Narratore e saggista, collabora con “Nuova Antologia”, “Italianistica”, “Filologia e critica”, “Belfagor”, “Letteratura & società”, “Letteratura & Arte”, “Dibattito Democratico”, “IBC Informazioni commenti e inchieste sui beni culturali” e “Chroniques italiennes”. Collabora inoltre con i periodici e media elvetici “La Regione Ticino”, “Cartevive”, “La Rivista del Mendrisiotto”, Il Grigione italiano”, “Il Bernina”, “Quaderni grigionitaliani”, “Terra cognita”, “Seniorweb.ch”, “Pagine d'Arte” e “Radio Campione International”. È membro attivo dell'”Associazione Svizzera dei giornalisti specializzati” (Verband Schweizer Fachjournalisten – SFJ).

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