Intervento del Sen. Claudio Micheloni Tenuto in aula del Senato il 30 Luglio 2008

Intervento del Sen. Claudio Micheloni Tenuto in aula del Senato il 30 Luglio 2008 nell'ambito della Discussione della mozione n. 20, di iniziativa dei senatori Finocchiaro ed altri, per l'istituzione del Comitato per le questioni degli italiani all'estero

Signor Presidente,
esprimo il voto favorevole del Gruppo del Partito Democratico, esplicitando però il mio profondo rammarico per la scelta che si è fatta di insediare un Comitato e non una Giunta per le questioni degli italiani all'estero, come richiesto da una proposta di modifica del Regolamento del Senato comunicata alla Presidenza il 23 giugno scorso. Tale proposta portava anche la firma di tutti i capigruppo, i senatori Gasparri, Finocchiaro, Divina, Belisario, D'Alia, Pistorio e di altri senatori. Però si è fatta la scelta di reinsediare il Comitato esistente nell'ultima legislatura, pur con un passo in avanti perché finalmente comunque si sta svolgendo qui in Aula un piccolo dibattito sulla questione. Sono contento di vedere che le schede ci garantiscono il numero legale, signor Presidente, perché almeno quelle ci sono, in Aula: questo sta a dimostrare l'interesse che suscita il nostro dibattito. Credo che quanto stiamo facendo oggi costituisca un'occasione persa, ma se la politica è l'arte del possibile ben venga questo risultato e l'insediamento di tale Comitato.
Faccio però fatica ad accettare le motivazioni che sono state addotte per giustificare questa scelta: i costi della politica. Nell'intervento che ho svolto in quest'Aula qualche giorno fa, il 16 luglio, ho avuto occasione di ricordare un solo dato, che vorrei qui riprendere. Solo dai nostri ex immigrati che hanno lavorato in Europa e che sono rientrati oggi e vivono in Italia la loro età di pensione, dalle casse di pensione di sette Stati dell'Unione europea rientrano ogni anno (in Italia) 3,346 miliardi di euro.
Questo è uno dei piccoli apporti che diamo all'economia italiana.
Allora, parlare dei costi della politica o dire – richiamandomi all'intervento del collega Pardi – che questo non è un Comitato che spende o che costa, si fa un po' fatica ad accettarlo. Peraltro, dovremmo riflettere sul problema dei costi della politica perché se in una democrazia alla demagogia, alla peggiore demagogia che si possa fare, che è quella dei costi della democrazia, si risponde con un'altra demagogia, ciò mi preoccupa molto perché dimostra semplicemente che la nostra democrazia è malata, non che spende troppo. Dovremmo riflettere al riguardo.
Non entrerò nel merito del contenuto della mozione. Intendo solo far presenti alcune questioni che nella mia vita di migrante ho dovuto affrontare.
Il problema dei migranti – noi italiani emigrati (io sono un emigrato, risiedo in Europa, in Svizzera) o dei migranti che arrivano in Italia – è un problema che ci accomuna tutti: è, signor Presidente, che noi siamo considerati un oggetto politico e non un soggetto politico. E anche oggi che siamo presenti nel Parlamento italiano continuiamo ad essere considerati – a mio modo di vedere – un oggetto politico. E gli oggetti si utilizzano. E quando si utilizza un oggetto c'è sempre una finalità. E lo utilizza una volta la destra, una volta la sinistra, è un problema che riguarda tutti. Però bisogna stare attenti ad utilizzare certi oggetti, perché essi hanno una potenzialità al loro interno e ci si può far male, tanto male.
Noi italiani all'estero siamo sempre stati considerati o una risorsa elettorale o una risorsa economica, però, se ci si continua a considerare un oggetto, noi taglieremo i rapporti con le nostre nuove generazioni. E tagliare i rapporti con quel mezzo milione di trentini che richiamava il collega Divina non è un problema per quel mezzo milioni di trentini che vive nel mondo, è un problema per il Trentino. Tagliare i rapporti con i tre milioni e mezzo di italiani di passaporto italiano – perché in possesso di doppia cittadinanza siano molti di più – è una perdita per l'Italia, non per noi.
Utilizzare gli immigrati in Italia come oggetto politico è pericoloso per l'Italia, perché permette di vincere o di perdere un'elezione, ma non si affronta il problema dell'immigrazione utilizzando l'oggetto dei migranti. Il problema è ben diverso. Credo che questa occasione dovrebbe indurci a riflettere su questi aspetti piuttosto che sulla composizione, sulle funzioni o sui costi di questo eventuale Comitato.
Credo che questo nostro Senato debba metabolizzare un'idea, che può apparire una contraddizione, ma è una mia convinzione: il voto all'estero e la presenza di parlamentari della circoscrizione estero nel Parlamento italiano è importante per l'Italia e non per gli italiani all'estero. Questo deve essere capito, metabolizzato e su questo dobbiamo discutere, seriamente. Infatti, se non si capisce questo, io, senatore della circoscrizione estero, sarò il primo a dire che il voto all'estero è inutile. Il voto all'estero serve al nostro Paese perché la nostra vita, la vita dei nostri figli, dei nostri nipoti, dei nostri discendenti, la nostra storia di integrazione noi la costruiamo facendo politica nei Paesi dove viviamo, dove sono nati i nostri figli. Noi diamo un contributo economico a quei Paesi e diamo un contributo economico incalcolabile all'Italia, all'apertura dei mercati e al ruolo che giochiamo in permanenza per il nostro Paese.
Di questo si tratta quando si parla degli italiani all'estero. Non si tratta di un privilegio, della giustificazione della presenza di sei senatori o di dodici deputati. Ma se non siamo capaci di ragionare in tal senso dobbiamo dirlo affinché nella fase di riforma delle istituzioni si possa tagliare questa risorsa, questa enorme potenzialità che possiede l'Italia, e andare oltre. Credo che l'Italia ci perderebbe.
Certamente in queste due legislature finora non abbiamo dato una grande dimostrazione come parlamentari della circoscrizione estero nel nostro Parlamento. Si è parlato soprattutto del “pallarismo”, dei brogli o di chissà che nella circoscrizione estero. Su questo punto torno al concetto di prima, cioè che siamo un oggetto.
L'espressione “fatta la legge, trovato l'inganno” non l'abbiamo coniata noi italiani all'estero: è un'espressione italiana. Se ci sono stati tentativi e utilizzi strani del voto nella circoscrizione estero, questi sono stati realizzati e organizzati da poteri o da forze politiche in Italia, sicuramente non dagli italiani all'estero.

Colleghe e colleghi, signor Presidente,
il Comitato la cui istituzione ci accingiamo a votare sicuramente non soddisfa la comunità italiana all'estero (mi sto autocensurando, perché avrei voglia di utilizzare altre parole). Noi accettiamo tuttavia questa tappa e, come Gruppo Partito Democratico, voteremo a favore della mozione in esame, considerandola come una tappa e come un momento di riflessione. Il primo risultato che io mi auguro questo Comitato possa ottenere è di far crescere la consapevolezza, in questo Senato, che la presenza dei senatori della circoscrizione estera rappresenta un'opportunità per il nostro Paese, nella speranza che rapidamente si possa arrivare ad una modifica del Regolamento del Senato per l'istituzione di una Giunta per le questioni degli italiani all'estero.

Tenuto in aula del Senato il 30 Luglio 2008 nell'ambito della Discussione della mozione n. 20, di iniziativa dei senatori Finocchiaro ed altri, per l'istituzione del Comitato per le questioni degli italiani all'estero

Signor Presidente,
esprimo il voto favorevole del Gruppo del Partito Democratico, esplicitando però il mio profondo rammarico per la scelta che si è fatta di insediare un Comitato e non una Giunta per le questioni degli italiani all'estero, come richiesto da una proposta di modifica del Regolamento del Senato comunicata alla Presidenza il 23 giugno scorso. Tale proposta portava anche la firma di tutti i capigruppo, i senatori Gasparri, Finocchiaro, Divina, Belisario, D'Alia, Pistorio e di altri senatori. Però si è fatta la scelta di reinsediare il Comitato esistente nell'ultima legislatura, pur con un passo in avanti perché finalmente comunque si sta svolgendo qui in Aula un piccolo dibattito sulla questione. Sono contento di vedere che le schede ci garantiscono il numero legale, signor Presidente, perché almeno quelle ci sono, in Aula: questo sta a dimostrare l'interesse che suscita il nostro dibattito. Credo che quanto stiamo facendo oggi costituisca un'occasione persa, ma se la politica è l'arte del possibile ben venga questo risultato e l'insediamento di tale Comitato.
Faccio però fatica ad accettare le motivazioni che sono state addotte per giustificare questa scelta: i costi della politica. Nell'intervento che ho svolto in quest'Aula qualche giorno fa, il 16 luglio, ho avuto occasione di ricordare un solo dato, che vorrei qui riprendere. Solo dai nostri ex immigrati che hanno lavorato in Europa e che sono rientrati oggi e vivono in Italia la loro età di pensione, dalle casse di pensione di sette Stati dell'Unione europea rientrano ogni anno (in Italia) 3,346 miliardi di euro.
Questo è uno dei piccoli apporti che diamo all'economia italiana.
Allora, parlare dei costi della politica o dire – richiamandomi all'intervento del collega Pardi – che questo non è un Comitato che spende o che costa, si fa un po' fatica ad accettarlo. Peraltro, dovremmo riflettere sul problema dei costi della politica perché se in una democrazia alla demagogia, alla peggiore demagogia che si possa fare, che è quella dei costi della democrazia, si risponde con un'altra demagogia, ciò mi preoccupa molto perché dimostra semplicemente che la nostra democrazia è malata, non che spende troppo. Dovremmo riflettere al riguardo.
Non entrerò nel merito del contenuto della mozione. Intendo solo far presenti alcune questioni che nella mia vita di migrante ho dovuto affrontare.
Il problema dei migranti – noi italiani emigrati (io sono un emigrato, risiedo in Europa, in Svizzera) o dei migranti che arrivano in Italia – è un problema che ci accomuna tutti: è, signor Presidente, che noi siamo considerati un oggetto politico e non un soggetto politico. E anche oggi che siamo presenti nel Parlamento italiano continuiamo ad essere considerati – a mio modo di vedere – un oggetto politico. E gli oggetti si utilizzano. E quando si utilizza un oggetto c'è sempre una finalità. E lo utilizza una volta la destra, una volta la sinistra, è un problema che riguarda tutti. Però bisogna stare attenti ad utilizzare certi oggetti, perché essi hanno una potenzialità al loro interno e ci si può far male, tanto male.
Noi italiani all'estero siamo sempre stati considerati o una risorsa elettorale o una risorsa economica, però, se ci si continua a considerare un oggetto, noi taglieremo i rapporti con le nostre nuove generazioni. E tagliare i rapporti con quel mezzo milione di trentini che richiamava il collega Divina non è un problema per quel mezzo milioni di trentini che vive nel mondo, è un problema per il Trentino. Tagliare i rapporti con i tre milioni e mezzo di italiani di passaporto italiano – perché in possesso di doppia cittadinanza siano molti di più – è una perdita per l'Italia, non per noi.
Utilizzare gli immigrati in Italia come oggetto politico è pericoloso per l'Italia, perché permette di vincere o di perdere un'elezione, ma non si affronta il problema dell'immigrazione utilizzando l'oggetto dei migranti. Il problema è ben diverso. Credo che questa occasione dovrebbe indurci a riflettere su questi aspetti piuttosto che sulla composizione, sulle funzioni o sui costi di questo eventuale Comitato.
Credo che questo nostro Senato debba metabolizzare un'idea, che può apparire una contraddizione, ma è una mia convinzione: il voto all'estero e la presenza di parlamentari della circoscrizione estero nel Parlamento italiano è importante per l'Italia e non per gli italiani all'estero. Questo deve essere capito, metabolizzato e su questo dobbiamo discutere, seriamente. Infatti, se non si capisce questo, io, senatore della circoscrizione estero, sarò il primo a dire che il voto all'estero è inutile. Il voto all'estero serve al nostro Paese perché la nostra vita, la vita dei nostri figli, dei nostri nipoti, dei nostri discendenti, la nostra storia di integrazione noi la costruiamo facendo politica nei Paesi dove viviamo, dove sono nati i nostri figli. Noi diamo un contributo economico a quei Paesi e diamo un contributo economico incalcolabile all'Italia, all'apertura dei mercati e al ruolo che giochiamo in permanenza per il nostro Paese.
Di questo si tratta quando si parla degli italiani all'estero. Non si tratta di un privilegio, della giustificazione della presenza di sei senatori o di dodici deputati. Ma se non siamo capaci di ragionare in tal senso dobbiamo dirlo affinché nella fase di riforma delle istituzioni si possa tagliare questa risorsa, questa enorme potenzialità che possiede l'Italia, e andare oltre. Credo che l'Italia ci perderebbe.
Certamente in queste due legislature finora non abbiamo dato una grande dimostrazione come parlamentari della circoscrizione estero nel nostro Parlamento. Si è parlato soprattutto del “pallarismo”, dei brogli o di chissà che nella circoscrizione estero. Su questo punto torno al concetto di prima, cioè che siamo un oggetto.
L'espressione “fatta la legge, trovato l'inganno” non l'abbiamo coniata noi italiani all'estero: è un'espressione italiana. Se ci sono stati tentativi e utilizzi strani del voto nella circoscrizione estero, questi sono stati realizzati e organizzati da poteri o da forze politiche in Italia, sicuramente non dagli italiani all'estero.

Colleghe e colleghi, signor Presidente,
il Comitato la cui istituzione ci accingiamo a votare sicuramente non soddisfa la comunità italiana all'estero (mi sto autocensurando, perché avrei voglia di utilizzare altre parole). Noi accettiamo tuttavia questa tappa e, come Gruppo Partito Democratico, voteremo a favore della mozione in esame, considerandola come una tappa e come un momento di riflessione. Il primo risultato che io mi auguro questo Comitato possa ottenere è di far crescere la consapevolezza, in questo Senato, che la presenza dei senatori della circoscrizione estera rappresenta un'opportunità per il nostro Paese, nella speranza che rapidamente si possa arrivare ad una modifica del Regolamento del Senato per l'istituzione di una Giunta per le questioni degli italiani all'estero.

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