ASSEGNO SOCIALE ECCO PERCHE’ IL GOVERNO DEVE FARE MARCIA INDIETRO

Dopo la nostra immediata denuncia (che risale a più di una settimana fa) sull’attacco del Governo all’assegno sociale, denuncia ripresa successivamente – e mi si consenta di dire con ritardo – dalle parti sociali e dai mezzi di informazione, oggi (29 luglio) il Governo tramite il Ministro dei Rapporti con il Parlamento Elio Vito ha annunciato modifiche alla manovra riguardo la normativa degli assegni sociali.
Il pandemonio causato dalla norma inserita in un piccolo comma del Decreto 112 durante la “discussione” alle Commissioni Bilancio e Finanze della Camera dei deputati riguarda il diritto delle persone residenti in Italia (cittadini e non) in stato di disagio economico e con un’età pari o superiore ai 65 anni, all’assegno sociale di 395 euro mensili. Il Governo di centrodestra avrebbe voluto rendere quasi impossibile l’accesso a tale diritto esclusivamente (pare) ai cittadini stranieri ma a causa di una imperdonabile “svista” sono stati penalizzati anche gli italiani residenti in Italia.
La norma in questione stabilisce che a decorrere dal 1° gennaio 2009, l’assegno sociale (che è bene ricordare è uno dei pilastri dell’assistenza sociale), “è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato e lavorato legalmente con un reddito almeno pari all’importo dell’assegno sociale, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale” (va sottolineato che le Commissioni Bilancio e Finanze della Camera, con due emendamenti della Lega e di Alleanza Nazionale, hanno così modificato il comma in esame, che nel testo originario poneva un limite minimo di cinque anni, anziché di dieci, e non poneva il requisito lavorativo summenzionato).
Nella norma del Decreto 112, approvato con il voto di fiducia ed ora all’esame del Senato), manca il riferimento alla nazionalità degli interessati e quindi essa si dovrà necessariamente applicare (a prescindere dalle intenzioni del legislatore) a tutti, compresi i cittadini italiani residenti in Italia. Lo indica lo stesso Servizio Studi del Senato che nelle sue schede di lettura diramate in questi giorni osserva che, letteralmente, il comma fa riferimento agli “aventi diritto” e non limita, quindi, il riferimento ai soggetti diversi dai cittadini italiani.
L’assegno sociale è una prestazione assistenziale, cioè prescinde da qualsiasi versamento contributivo. E’ stato introdotto dalla L. 335/1995 in sostituzione della precedente pensione sociale di cui comunque continuano a beneficiare le persone che l’abbiano ottenuta prima del 31 dicembre 1995.
Possono farne richiesta i residenti in Italia che siano cittadini italiani, cittadini della Comunità Europea e cittadini extracomunitari in possesso della carta di soggiorno. L’assegno viene erogato solo al compimento dei 65 anni di età e non è reversibile.
L’obiettivo dello zelo punitivo di questo Governo superficiale e xenofobo erano, presumibilmente, i cittadini stranieri ed in particolare i cittadini neocomunitari che vivono e lavorano in Italia e che, secondo gli esterofobi del centrodestra richiamano a frotte i loro parenti producendo così il fenomeno dei ricongiungimenti “surrettizi” di ascendenti ultrasessantacinquenni che, sulla base dell’iscrizione anagrafica, sono legittimati, in presenza delle condizioni reddituali, ad ottenere la liquidazione di prestazioni puramente assistenziali.
Ora, a parte il fatto che di tutti gli aventi diritto (circa 800.000) solo il 2,8 per cento sono stranieri, il Governo ignora che i Regolamenti comunitari relativi alla sicurezza sociale ed alla libera circolazione .- che sono strumenti giuridici sovranazionali e direttamente applicabili agli Stati membri – prevedono la possibilità dei soggetti comunitari di totalizzare i periodi di residenza e di occupazione fatti valere nei vari Stati dell’Unione Europea ai fini del perfezionamento del diritto ad una prestazione non contributiva inclusa nel campo di applicazione degli stessi Regolamenti (come lo stesso assegno sociale). Quindi il vincolo dei dieci anni di residenza e di lavoro introdotto dalla norma sotto accusa sarebbe in molti casi facilmente “bypassato”.
Sarebbero invece senz’altro colpiti, anche se la norma fosse modificata e fossero esclusi i cittadini italiani residenti in Italia, i cittadini extracomunitari (i quali comunque con la normativa attuale devono risiedere in Italia almeno 5 anni per ottenere la carta di soggiorno e l’eventuale diritto all’assegno sociale) e forse (se dovesse essere mantenuto il requisito dei dieci anni di residenza a prescindere dalla nazionalità) anche i cittadini italiani residenti in Paesi extracomunitari (come gli italiani residenti in America Latina) che se dovessero decidere di tornare in Italia a passare gli ultimi anni della loro vita, anche se indigenti non potendo far valere i dieci anni di lavoro e di residenza in Italia non avrebbero diritto all’assegno sociale, unico mezzo di sostentamento per le persone povere.
Di fronte a questo vero e proprio pastrocchio giuridico e politico il Governo dovrebbe avere la sensibilità ed il buon senso di fare marcia indietro, abrogare il provvedimento restrittivo sull’assegno sociale e cominciare a considerare i cittadini stranieri che vengono a vivere e lavorare onestamente e regolarmente in Italia come cittadini a tutti gli effetti in quanto a doveri ed anche in quanto a diritti.

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