La multifunzionalità  dell’agricoltura: un’esperienza “completa” del territorio.

di Maria Di Paolo

La chiamano la “filiera corta” o “produzione e vendita a kilometro zero”, l'insieme di attività che prevedono un rapporto diretto fra produttori e consumatori, che accorciano cioè il numero degli intermediari commerciali e diminuiscono il prezzo finale. E’ la filosofia che ispira i farmer’s market, ovvero i mercati del contadino: il nome inglese ci sta, è un fenomeno divenuto popolare in California – dove attualmente sono aperti 496 dei 4385 farmer’s market di tutti gli Stati Uniti – ma già molto diffuso anche in Francia, Inghilterra, Germania e Scozia. Il trend comincia appena a sentirsi anche in Italia:

Res Tipica, costituita dall’ANCI insieme alle Associazioni Nazionali delle Città di Identità per la promozione delle identità territoriali italiane, ne ha censiti 50; la maggior parte ha cadenza mensile (50%), circa il 45% rinnova settimanalmente il suo appuntamento con i consumatori, mentre fanno eccezione i mercati come Taranto e Vignola che offrono quotidianamente i prodotti degli agricoltori locali. “Prima di istituire il mercato”- ci spiega Gianfranca Traclò, Direttore di Res Pubblica – “è fondamentale un’analisi puntuale, anche da parte dei produttori, della tipologia di produzione che c’è sul territorio, per verificare la possibilità di garantire un’offerta continua nel tempo rispetto al bacino d’utenza; il rischio è di una struttura che non può essere alimentata e rischia di chiudere”. Primi a nascere, i mercati in Alto Adige ma, fino ad ora, sono ancora pochi e concentrati al Nord, prevalentemente sulla linea del Brennero (Bolzano, Trento, Mantova, Modena) anche se vi sono interessanti esperienze in altre località della Lombardia, Toscana, Marche, Puglia – Taranto è stata una delle prime città ad aver fatto un accordo con Coldiretti già a partire dal 2005 per l’individuazione di uno spazio da destinare a mercato del contadino – e Sicilia. Sembra paradossale, ma ancora una volta le ragioni di questo ritardo sono da ricercare nel quadro normativo, spesso contraddittorio; di fatto, solo un decreto del Ministero delle Politiche Agricole del dicembre 2007 prevede lo sviluppo di circa 100 mercatini nelle città italiane entro il 2008 per arrivare, nel 2010 a 400-500 mercati attivi, per un totale di 6000-8000 imprese agricole coinvolte.

Legislazione a parte, complice una certa azione di calmieramento dei prezzi, l’attenzione per il “cibo locale”, quello prodotto e venduto direttamente nelle aziende agricole o in piccoli mercati gestiti direttamente dai produttori, è, comunque, in pieno sviluppo e comincia a dare i suoi risultati in termini di sostegno a una agricoltura a misura umana. “In realtà, se in alcuni casi c’è un abbattimento della spesa anche del 50% rispetto al prezzo della grande distribuzione, in altri il contenimento è pressoché nullo; di fatto, però, a parità di spesa c’è un miglior rapporto qualità prezzo: il mercato del contadino riesce ad assicurare un prodotto tracciato, genuino. In questi termini la percezione del risparmio c’è”. Gianfranca Traclò tiene a sottolineare più gli aspetti di sostegno all’economia rurale e di riscoperta del territorio e delle sue identità che non quello, forse più immediatamente percepibile, del risparmio sulla spesa. Quando si acquista il cibo direttamente dal produttore agricolo ci si riconnette alla realtà delle cose e alle persone. Questo movimento ha dato origine a molte forme di collaborazione spontanea come l'agricoltura comunitariamente supportata, i gruppi di acquisto solidali (GAS) e, appunto, ai mercatini o piccole fiere di piazza. “Quello che Res Tipica vorrebbe fare” spiega Gianfranca Traclò “è far si che questi mercati del contadino offrano al turista e al cittadino un’esperienza “completa” di territorio, di acquisto e di conoscenza dei prodotti locali di qualità, tipici e non: è l’idea di multifunzionalità dell’agricoltura, non solo vendita dei prodotti, ma valorizzazione di quello che c’è dietro, la storia, le tradizioni, con attività culturali, didattiche e dimostrative legate ai prodotti alimentari, tradizionali ed artigianali del territorio. Questo recupero del rapporto con il territorio è una cosa estremamente importante, a maggior ragione per chi, come noi italiani, ha un’identità profondamente rurale. La cultura contadina ha segnato, in Italia più che altrove, la storia di questo Paese: preservare quel tipo di identità significa, in qualche misura, preservare l’identità italiana. La storia dell’alimentazione italiana rappresenta, per esempio, una chiave di lettura importante della storia della nazione: la Sicilia ha una cucina così varia perché tante sono state le civiltà e le culture che qui si sono incontrate e che hanno lasciato traccia di sé”.

Storia, dunque, ma anche qualità dell’ambiente: nelle aree dove l'agricoltura è in abbandono le frane aumentano, le coltivazioni si rarefanno e la vita nei piccoli paesini si spegne per spopolamento. Ogni volta che si acquista cibo in fattoria, o nei piccoli mercati, soprattutto nelle aree montane, si contribuisce a conservare il paesaggio rurale. E non trascuriamo il sostegno alle fattorie a conduzione familiare. Ormai sono veramente poche: i dati Coldiretti ci dicono che meno del 4% degli occupati italiani lavorano in agricoltura e sono migliaia le aziende agricole che ogni anno chiudono i battenti perché le giovani generazioni non possono subentrare nella gestione per mancanza di reddito. Il prezzo dei cibi è formato attualmente solo dal 10% di proventi all'agricoltore che li ha prodotti, il resto va a vantaggio degli intermediari e circa il 15% in spese di trasporto e una parte rilevante del reddito di molti agricoltori è dato dai sussidi della Comunità Europea che sono sottoposti a graduali tagli per mancanza di fondi.

Insomma tutto da guadagnare, per i produttori e per i consumatori. Con qualche limite. “L’approccio del mercato del contadino è esattamente contrario alla logica del tutto, sempre, ovunque, che è, purtroppo, la logica tipica del consumatore oggi”: dal lato dei consumatori lo sforzo è di ri-orientare le scelte alimentari, imparando a seguire la stagionalità dei prodotti della terra. E da parte dei produttori? “Il contadino è, di per sé, un soggetto fortemente autoreferenziale: il contadino coltiva, non vende. Il rapporto diretto col consumatore ri-educa anche l’agricoltore, gli fa capire quali prodotti vengono maggiormente apprezzati e valorizzati dal consumatore e questo mette in moto un meccanismo virtuoso di maggiore attenzione al suolo, alla varietà dei prodotti, anche a quelli che sono ormai fuori dalla produzione perché non fanno parte della grande distribuzione, perché non hanno bacini di domanda particolarmente sviluppati”.

In questa logica, nuova per tutti, fondamentale è il contributo che gli Enti Locali possono offrire, a tutti i livelli. “Le Regioni hanno un ruolo fondamentalmente di promozione: in alcuni casi hanno fatto – Sicilia, Toscana, Emilia Romagna – e in altri stanno facendo dei bandi a sostegno della realizzazione di strutture atte a ospitare questi mercati. I comuni hanno un ruolo di supporto a tutto il processo e di regolamentazione, oltre, naturalmente, a doversi fare garanti di questa integrazione tra agricoltura e servizi e facilitare il processo di commercializzazione dell’economia rurale”.

In definitiva la logica del mercato contadino è quella di far diventare i produttori un po’ degli imprenditori: qualità del prodotto, attenzione al cliente e strategia di marketing per non rischiare una domanda non allineata con la tipologia di produzione che il territorio può permettersi.

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