di Tommaso Merlo
La società civile che torna in piazza ha sempre avuto, fin da Genova, diverse anime e sfumature. Un qualcosa di nuovo e multiforme che si è sempre perso di vista finita la battaglia. Bertinotti cercò di abbracciarlo, il movimento. Epiche le sue arrampicate sugli specchi televisivi a proposito del rapporto tra partiti e società civile. Fronzoli retorici che alla fine hanno prodotto giusto la candidatura di Caruso e qualcun'altro nelle file di Rifondazione. Oggi possiamo dirlo, le tecnocrazie ex comuniste hanno avvicinato il movimento della società civile al solo scopo di raccimolare qualche voto e con il solito ferreo complesso di superiorità della “cultura dominante”. Una strategia fallimentare sia per i movimenti, che sono spariti dalle piazze, sia per gli ex comunisti spariti dal Parlamento. L'errore fondamentale di Bertinotti è quello di aver creduto di ricondurre un qualcosa di nuovo ed atipico come il movimento della società civile agli schemi post ideologici del mondo comunista, alle sue logiche, alla sua burocrazia. Convinto che fosse il comunismo il comune denominatore di quel movimento, l'origine, l'essenza politica e culturale. Ed invece no, quella dell'ex tecnocrazia rossa è solo una componente e minoritaria, del movimento. Molto più significativa invece la componente delle persone in fuga dal mondo comunista e che delusi proprio dalle tecnocrazia hanno deciso di provarci da soli a dare un significato al proprio impegno politico e sociale. Ed è proprio questo il punto, la caratteristica principale del movimento è la sua eterogeneità. Esso è composto da persone con esperienze e convinzioni diverse ma che si trovano fianco a fianco per difendere dei valori o per combattere battaglie comuni. A Genova sfilarono le suore a fianco dei centri sociali. Ed è quindi impensabile che da quel movimento frammentato sorga un'organizzazione capace di rappresentarlo tutto, cosi come è ormai evidente che i partiti politici tradizionali non hanno nessuna speranza di evolversi in tal senso. Allo stesso tempo è ridicolo che chi partecipa al movimento della società civile in opposizione ai fallimenti della partitocrazia poi vada a votarla il giorno delle elezioni. E' tempo quindi che coloro che scenderanno in piazza l'8 o il 25 luglio a Roma e che non si riconoscono più nei partiti tradizionali o a quelli comunque attivi come Di Pietro, comincino ad organizzarsi in formazioni politiche. Non in partiti ma organizzazioni innovative che si strutturino per sfidare i partiti tradizionali alle elezioni col primo obiettivo di sbarazzarsi delle caste e della loro cultura partitocratica per rilanciare lo sviluppo del modello democratico: vera rappresentanza, legalità, trasparenza, efficacia ed efficienza delle istituzioni, regolare ricambio generazionale, scardinare ogni forma di nepotismo e clientelismo, meritocrazia, partecipazione, vietare ogni forma di lottizzazione politica, libertà d'informazione, distruzione delle caste e del parassitismo di ogni categoria, politica come arte del fare competente e non della poltrona ciarlatana. Tutti traguardi che possono essere raggiunti solo da chi non ha appartenuto e non appartiene al sistema marcio della partitocrazia, cioè solo dal movimento della società civile. Le caste tecnocratiche, essendo le responsabili della situazione, sono al contrario il principale nemico da combattere. Sia le caste populiste che quelle rosa e sia i dinosauri stranoti che i loro allievi tenuti in caldo nelle burocrazie di partito. Una volta battuti alle elezioni scompariranno per sempre e la nuova cultura e la nuova progettualità della società civile potrà finalmente esprimersi politicamente. Insomma, basta perdersi di vista.
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