Le impronte digitali non sono il male assoluto

Laura Di Bernardo

Caro Beppe,
l'Italia sarà anche razzista, ma ad esempio in Portogallo tutti i cittadini hanno l'impronta digitale sulla carta d'identità. I portoghesi che ho conosciuto stanno tutti bene, sono tranquilli, e non mi hanno mai detto niente di strano sul fatto di essere effettivamente «schedati» in massa. Immagino che anche i loro immigrati abbiano fornito un'impronta digitale per avere un documento d'identità. Perché quindi questo suona così strano per noi italiani, per altro registrati e schedati noi stessi presso Comuni e questure? Perché quando si parla di identificare immigrati e rom anche attraverso le impronte digitali strepitiamo tanto? Senza identità non ci sono diritti e doveri, non possiamo proteggere bambini che vengono sfruttati, non possiamo identificare chi commette crimini, lasciamo la porta aperta allo sfruttamento di chi per la legge non esiste e non possiamo riconoscere la presenza delle persone sul nostro territorio sia nel bene che nel male. Prendere un'impronta digitale e rilasciare un documento d'identità non equivale a mandare la gente in un campo di concentramento, è così difficile da capire? E' bello scrivere frasi poetiche di bambini che volano via da questa brutta Italia razzista come piccoli angeli, la realtà è che spesso di angelico la vita di questi bambini ha ben poco. Se non sappiamo chi sono i genitori e chi sono i bambini, non possiamo offrirgli la protezione che uno Stato civile invece dovrebbe garantire ai minori. La situazione attuale lascia troppo spazio all'illegalità e non mi sembra che abbia creato situazioni ideali e civili, quindi perché non fare un tentativo per migliorarla?
Cordiali saluti,

papita01it@yahoo.it

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