ll Console Nicola Occhipinti finisce la sua missione “Buenos Aires è stata un’esperienza magnifica”

di WALTER CICCIONE

I saluti, gli arrivederci, i commiati, in genere si tingono di una certa malinconia e questo caso non è una eccezione visto che si tratta di un funzionario che ha saputo conquistarsi il rispetto e la stima nell’esercizio della sua missione.

Dopo quasi quattro anni infatti – si è insediato nel mese di novembre del 2004 – il Dott. Nicola Occhipinti rientra a Roma alla Farnesina, dove è stato destinato. “Sono le regole del gioco nella carriera che ho scelto, seguendo l’esempio di mio padre, anch’egli diplomatico di carriera”.

Questo avvocato, nato nel 1967 al Cairo (Egitto), figlio di romani e di ascendenza siciliana, laureato in Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, conclude la sua intensa gestione nella capitale argentina, della quale dice: “Mi ha dato grandi soddisfazioni sia nel campo professionale, sia nell’aspetto umano. Una esperienza magnifica”.

Testimone e protagonista di un periodo di singolare rilevanza nella storia recente delle comunità italiane nel mondo e in particolare di quella di Buenos Aires, durante il quale si sono svolte le prime elezioni politiche nelle quali gli italiani all’estero hanno eletto per la prima volta i propri rappresentanti al Parlamento italiano, nel 2006 e nel 2008 due referendum e inoltre il trasloco della sede consolare dal vecchio palazzo di via Marcelo T. de Alvear a quello che occupa oggi in via Reconquista. Periodo che ha comportato inoltre la transizione tra i suoi superiori i titolari della sede consolare, Placido Vigo e Giancarlo Maria Curcio, due personalità di caratteristiche e stili opposti

Il dott. Occhipinti ci accoglie ben disposto e col solito spirito giovanile, nel suo ampio e comfortevole studio, che contrasta con il precedente di via Alvear. “Ma da qui non ho il panorama della piazza, gli alberi e specialmente il cielo di Buenos Aires, diafano, di un celeste intenso, un aspetto che mi ha colpito quando sono arrivato in questa bella città”.

TRIBUNA ITALIANA – A proposito quali furono le sue impressioni, visto che si trattava della sua prima missione all’estero?

Nicola Occhipinti – Per la verità è stata la seconda visto che la prima fu quella di primo segretario commerciale a Singapore. Prima di arrivare mi ero informato e sapevo che si trattava di una metropoli di stile europeo, dell’impronta italiana nell’architettura degli edifici più simbolici della città, come la sede del “Congreso” o la “Casa Rosada”. Ma quel che mi ha colpito di più è stata la numerosa quantità di italiani. Sapevo che erano molti, ma non pensavo che fossero una moltitudine che, inoltre, è molto legata all’Italia, caratteristica che nella stessa Penisola purtroppo si va perdendo..

T. I. – E sul piano professionale, come giudica la sua missione?

N. O. – Sinceramente mi sento profondamente soddisfatto. Una missione che si è presentata piena di sfide, con una prima tappa in via Alvear fra allegrie e alcune amarezze, situazioni infelici frutto delle inadempienze della sede, forse di aspettative deluse, delle patetiche file che predisponevano male i connazionali che si presentavano agli sportelli infastiditi per cui davanti alle prime difficoltà reagivano anche in modo sgradevole.

Certo, oggi grazie alle comodità della nuova sede, alla tecnologia che è stata allestita per fare le pratiche é stato consentito un cambiamento sostanziale nei rapporti con la gente.

Ci vorrebbero ore per fare un bilancio completo ma a modo di esempio, posso dire che abbiamo raggiunto i 209.000 iscritti in questo consolato, la prima comunità italiana all’estero, superando Stoccarda ch ha 184.000.

Nella partecipazione al voto politico abbiamo superato i dati del 2006, passando da 70mila a 100mila voti nella circoscrizione, la regione al mondo con la più alta percentuale di partecipazione. Se la media generale è stata de 40 per cento, qui ha superato il 60 per cento.

Per quanto riguarda la cittadinanza, dal mese di gennaio 2007 all’aprile di quest’anno abbiamo incorporato 30mila nuovi cittadini. Inoltre c’è un’attività, che considero molto rilevante, in favore degli anziani, dei disagiati, i piú necessitati di una intensa gestione di aiuto solidale e concreto.

T. I. – Riguardo alla cittadinanza, non pensa che sia una legge troppo generosa che tra l’altro non stabilisce nessuna condizione come conoscenza della lingua, della geografia, della storia o della cultura italiana. Non ci vorrebbe una “prova d’amore” verso l’Italia?

N. O. – Stiamo parlando di un diritto costituzionale implementato dalla legge 991/92. Forse coincidiamo in parte sul fatto della generosità. Sono a conoscenza di alcuni progetti di parlamentari che vorrebbero renderla più restrittiva, limitandola magari ai nonni. Vedremo…

Per quanto riguarda la “prova d’amore” sarebbe difficile da implementare e le confesso che mi provoca un sentimento di tristezza, di delusione, quando mi rendo conto che in certi casi viene richiesta la cittadinanza italiana non per questioni di appartenenza, di legami, di sentimenti genuini verso l’Italia, ma per una semplice convenienza personale, come il passaporto per recarsi a lavorare in Spagna o per recarsi negli Stati Uniti senza richiedere il visto.

Ad ogni modo penso che si tratti di eccezioni, per quanto mi commuove comprovare ogni giorno il grande amore che sentono in maggioranza gli interessati, un sentimento sincero, un modo di sentirsi più vicini all’Italia.

T. I. – E nell’aspetto personale, umano, qual’è il suo bilancio?

N. O .- E’ stata un’esperienza indimenticabile, lascio un mondo di amici. Ho potuto percorrere tutto il Paese, da La Quiaca alla Terra del Fuoco, dalle cascate dell’Iguazù alle Ande. Luoghi splendidi e un enorme risorsa turistica per l’Argentina.

L’addio è un momento di nostalgia anticipata che sto già provando, ma nel mio caso si tratta di una sensazione gradevole frutto del convincimento di aver adempito il mio dovere e di portare nel mio cuore la generosità e l’affetto della collettività, di constatare la simpatia dei “porteños” verso l’Italia e della certezza che tra l’Italia e l’Argentina ci sono legami molto profondi.

T. I. – E qualche rimpianto?

N. O. – Certo, ci sono alcuni, ma forse il principale è di non essere riuscito a ballare il tango. Forse si tratta solo di una scusa per poter ritornare in poco tempo a Buenos Aires”.

Una ragione validissima per ritornare, che sicuramente sarà condivisa da tutta la comunità italiana di Buenos Aires…

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