Intervento On. Fedi ddl 1185 conversione dl 93

Signor Presidente,
colleghi deputate e deputati, componenti del Governo,

il decreto legge 93 in materia di salvaguardia del potere di acquisto delle famiglie consente un primo autentico confronto tra maggioranza ed opposizione sulle scelte di fondo e sulle misure concrete da adottare per rispondere sia al crescente impoverimento delle famiglie italiane che alla grave crisi legata all’erosione del potere di acquisto. Ritengo che il provvedimento che discutiamo oggi non raggiunga questi obiettivi.

Obiettivi peraltro condivisibili e sui quali sarebbe stato opportuno un più approfondito ed articolato dibattito, un lavoro comune tra governo ed opposizione.
Non risponde ai bisogni reali delle fasce sociali più deboli e svantaggiate, non interviene davvero sul potere di acquisto dei pensionati, dei lavoratori e delle famiglie.
Non affronta la vera questione di questo Paese: pensioni, salari e stipendi. Troppo bassi e per troppo tempo. Ed ora tra i più bassi d’Europa.
Il provvedimento non affronta altri problemi nodali del nostro Paese: l’aumento vertiginoso dei prezzi dei beni – anche quelli di prima necessità – il ricorso al credito al consumo come forma di integrazione al reddito, la forte diminuzione del risparmio.
Rispetto al proposito di salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie, sia le norme proposte che l’insieme delle coperture di spesa previste, deludono e disattendono le attese dei cittadini.
Soprattutto delle fasce sociali più deboli, il cui livello di reddito è troppo basso.

Per questi, al costante aumento dei prezzi, si sommerà anche la perdita di importanti programmi e servizi.
Programmi e servizi a favore dell’integrazione sociale, della sicurezza, delle pari opportunità, delle politiche di sviluppo per il Sud, della politica estera ed a favore delle comunità italiane nel mondo che sono parte della nostra politica estera.
Si perderà, quindi, in termini di tutele, protezioni sociali e solidarietà.
E se valutiamo questo provvedimento congiuntamente alle indicazioni provenienti dal Documento di programmazione economica e finanziaria, anche in vista della prossima manovra di bilancio, le nostre preoccupazioni aumentano.
Il divario tra inflazione programmata e reale, con l’inflazione programmata che è meno della metà di quella reale, colpirà ancora le fasce sociali più deboli ed esposte. Sarà l’Italia, signor Presidente,
l’Italia tutta intera, che si impoverirà ancor di più, se oggi non affrontiamo con risposte adeguate i veri problemi.
E l’Italia non ha bisogno di tessere della povertà, ma di riforme giuste ed eque. I pensionati non ci chiedono tessere del bisogno, ma servizi efficienti e pensioni degne.

Continuare il buon lavoro avviato dal Governo Prodi con la quattordicesima sulle pensioni e con norme come l’ulteriore detrazione ICI – abolita dal decreto in via di conversione – che, pur intervenendo sull’imposta comunale sugli immobili, manteneva un principio di equità consentendo la detrazione solo a determinate condizioni e prevedendo una copertura fortemente ancorata ad un altro elemento che ora rischia di non essere più tra le priorità del Governo: le maggiori entrate derivanti dalla lotta a evasione e elusione fiscale.
Il provvedimento sull’ICI, nel suo complesso, non contribuisce certamente a ridurre il divario tra le classi sociali e di reddito. Alimenta inoltre una percezione antifederalista relativamente al modello fiscale.

Gli elementi forti del federalismo fiscale, se lo si propone non solo come slogan ma come riforma, dovrebbero partire invece proprio dalla territorialità dell’imposizione fiscale e dalla sua rispondenza ai bisogni del cittadino in termini di servizi.
Un provvedimento, quello sull’ICI, doppiamente iniquo: nella sua impostazione complessiva, per le cose appena dette, e nei suoi effetti pratici poiché ne risultano esclusi i cittadini italiani residenti all’estero che invece fin dal 1993 – con la legge 24 marzo 1993 n. 75 – godono dell’equiparazione alla prima casa ad uso abitativo. Alla doppia iniquità si aggiunge la beffa con la serie di tagli previsti al bilancio del Ministero degli affari esteri.
Un Ministero che – tutte le forze politiche concordano su questo punto, salvo poi operare in senso inverso – avrebbe invece bisogno di una quota di prodotto interno lordo decisamente superiore, e simile a quella di altri Paesi europei.
Fortissime, invece, le riduzioni al bilancio del Ministero degli Esteri.

Si perdono 32,3 milioni di euro per il 2008, 50 milioni per il 2009 e 98,5 milioni per il 2010.
Nella riduzione di spesa per l’anno corrente, 17 milioni di euro su 32 sono sottratti agli interventi per gli italiani all’estero.
Gli elementi di criticità sollevati nella discussione avvenuta in Commissione affari esteri hanno portato unicamente al possibile recupero – peraltro internamente al bilancio degli Esteri e quindi suscettibile di ulteriori tagli ai capitoli per le comunità italiane nel mondo – per le importanti iniziative legate alla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ed all’Accademia delle Scienze del Terzo mondo.
Nonostante i tagli durissimi alle comunità italiane nel mondo, rinnoviamo il nostro impegno, la nostra disponibilità, piena, a lavorare con la maggioranza in direzione di un piano di riforme che – siamo certi – produrrà anche dei risparmi, ma che dovrà necessariamente rafforzare, anche sotto il profilo dell’efficienza, la nostra presenza all’estero.

A partire dalla rete diplomatico-consolare, pensando anche ad una ristrutturazione delle carriere professionali dei contrattisti a cui debbono essere garantiti i diritti sindacali – altro che fannulloni – fornendo risposte alla richiesta di cittadinanza, in termini di pari diritti e doveri, a partire dalla definitiva estensione ai residenti all’estero delle detrazioni per carichi di famiglia. Questione che spero venga affrontata e risolta a partire dalla prossima finanziaria.
Ed a proposito di riforme per le comunità italiane all’estero, il Partito Democratico ha indicato un percorso possibile: a partire proprio, visto che ne stiamo parlando, di tutta la normativa che concerne l’imposizione fiscale e tariffaria dei residenti all’estero, in relazione, ad esempio, alla tassa sulla raccolta e smaltimento dei rifiuti, o al canone Rai, per coloro i quali risiedono all’estero per la maggior parte dell’anno. Fino alle questioni più immediate relative a norme che potrebbero ulteriormente penalizzare i residenti all’estero come rischia di verificarsi per i titolari di libretti a risparmio postale non movimentati da 10 anni. Oltre alla questione della riapertura dei termini per il riacquisto della cittadinanza, l’assegno di solidarietà e le convenzioni bilaterali in materia fiscale e di sicurezza sociale. Su questi punti siamo pronti al confronto, ma i tagli non aiutano a stabilire un clima di collaborazione e dialogo.
Le misure previste dal decreto legge 93 non danno risposte sufficientemente forti, coerenti ed eque, all’emergenza legata al deterioramento del potere di acquisto degli italiani. Le copertura di spesa si basano su tagli particolarmente negativi, sia nella sostanza che nell’immagine: il taglio al fondo contro la violenza alle donne, il taglio al programma per le azioni tese ad accrescere la sicurezza stradale, il taglio ad altri ministeri, oltre agli esteri, quali interno e giustizia. Dicasteri di cui si parla molto in questi giorni relativamente a presunte emergenze, che invece subiscono tagli. Immediati.

Il nostro NO al provvedimento, in sostanza, è nel merito di norme che non raggiungono obiettivi di salvaguardia del potere di acquisto delle famiglie, che non sono eque né perseguono obiettivi di federalismo fiscale e che tagliano risorse ad importanti servizi e programmi.
Anche Robin Hood, mi creda, risulterebbe deluso da questo provvedimento. In attesa di un ulteriore confronto in sede di discussione sul complesso degli emendamenti e su singoli emendamenti, anche quelli ripresentati sul recupero di risorse per il Ministero degli affari esteri e per gli italiani nel mondo, auspichiamo dai banchi del governo e della maggioranza una maggiore attenzione a questi temi.

Segretario III Commissione Affari Esteri e Comunitari

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