No, non siamo come la Francia

L'Ena (Ecole Nationale d'Administration) è da sempre un mito e una segreta aspirazione della nostra burocrazia. Era l'Ena il modello ispiratore che aveva portato sul finire degli anni '70 alla creazione della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione. E' l'Ena il termine di paragone quando si parla di selezione dell'alta dirigenza. E allora, per comprendere meglio quali sono le affinità e le divergenze tra noi e la Francia, ne abbiamo parlato con il Ministro Vincenzo Schioppa, diplomatico di carriera, che conosce bene l’Ena e il modello francese dell’alta direzione di Stato. Una conoscenza che gli deriva sia dall’essere stato élève della grande école della pubblica amministrazione francese, sia per aver ricoperto incarichi di prestigio all’OCSE che ha sede a Parigi.

Vincenzo Schioppa è stato anche per diversi mandati presidente dell’Associazione degli “enarchi” italiani.

In questa chiacchierata sono emersi alcuni punti di “incolmabile differenza” che ci ricordano che no, non siamo come la Francia, che già dai tempi di Colbert aveva cominciato a costruire una pubblica amministrazione come colonna portante dello Stato-nazione, mettendo a capo una classe dirigente in grado di supportarne le aspirazioni alla grandeur.

Da allora molte cose sono cambiate ma non il riconoscimento della dirigenza pubblica come un elemento di valore del paese, che produce un “profitto sociale” misurabile e su cui, quindi, bisogna investire in “eccellenza”. Come? selezionando i migliori sulla base del merito, formandoli a saper gestire (risorse, processi, persone), chiedendogli molto ma offrendo in cambio prestigio e riconoscimento sociale.

E allora, non siamo come la Francia, ma forse possiamo efficacemente prendere qualche spunto e provare ad innestarlo anche nella nostra complicata pubblica amministrazione. Ecco quindi, dall’osservatorio privilegiato di chi ha conosciuto dall’interno i meccanismi di selezione e formazione dell’alta dirigenza d’oltralpe, tutto quello che c’è di vero nella costruzione del mito dell’Ena.

Ministro, la domanda è d’obbligo: come ci si arriva, da italiano, all’Ena?
Tradizionalmente l’Ena accoglie ogni anno dei partecipanti stranieri come allievi, non stagiaires , quindi ma élèves. L’amministrazione degli Esteri tradizionalmente mandava – dopo un concorso interno – dei giovani diplomatici a seguire il corso dell’Ena, e questo è stato il mio caso. Per gli allievi stranieri il percorso è più limitato rispetto agli attuali 27 mesi di formazione, ma con le stesse prove di concorso iniziali e finali.

Allora, Ministro, quali sono le caratteristiche principali del modello Ena e le ragioni di questo indiscusso prestigio internazionale?
Una premessa è d’obbligo: l’Ena non è la causa dell’eccellenza del sistema francese, ma un prodotto del sistema francese, che ha una caratterizzazione molto specifica rispetto al nostro, riassunta in tre punti.

1) Merito e selettività
Le università contano il 96% degli studenti, le grandes écoles che sono una cosa completamente differente, contano tra il 3 e il 4% – si tratta quindi già in partenza di una élite anche solo dal punto di vista numerico. Anche il modello di accesso è completamente differente: le università sono nella maggior parte dei casi ad accesso libero e gratuito, alle grandes écoles si accede sulla base di un concorso estremamente severo e rigoroso. In genere si arriva al concorso di ammissione dopo aver frequentato una apposita scuola di preparazione di un anno o due a seconda della grande école prescelta.
Si tratta di un percorso selettivo dove contano la motivazione, la determinazione di chi vi accede e il merito individuale. Ma chi lo fa, sa che alla fine di questo percorso c’è una quasi matematica certezza non solo di avere un lavoro all’altezza delle proprie aspirazioni, ma anche di entrare a far parte di una élite. Sia chiaro, si tratta di una élite nel senso sociologico del termine: è una élite che forma la classe dirigente, la cui necessità – il cui valore – sono riconosciuti dalla società francese.
In questa élite ci sono anche i grands commis d’Etat. Con tutte le crisi e i passaggi difficili che hanno segnato e segnano la società francese, resta il fatto che gli enarchi non vengono criticati per incompetenza o inadeguatezza, casomai per le ragioni contrarie e cioè per una eccessiva presenza nei ruoli chiave! I francesi non contestano lo Stato, possono semmai contestare, in certi momenti, che lo Stato sia occupato da dei mandarini che sono, appunto, gli “enarchi”.

2) Mezzi e risorse
La prima caratteristica è quindi la selettività delle grandes écoles. A questa se ne aggiunge un’altra. Se alle grandes écoles accede il 3 – 4% degli studenti francesi, a queste scuole viene destinato il 30% delle risorse dell’istruzione superiore universitaria. Hanno quindi mezzi straordinari in rapporto alla popolazione studentesca.
Ma c’è di più: l’Ena è una amministrazione dello Stato. Questo significa che chi frequenta l’Ena è già considerato come un alto funzionario e riceve uno stipendio – sotto forma di borsa di studio – adeguato a questo livello, qualcosa che oggi possiamo quantificare come 1900 Euro, circa, di gran lunga più alto di quello dei nostri funzionari.
Una altra cosa ancora che dobbiamo considerare è che l’Ena non forma i dirigenti: forma i dirigenti generali, cioè il vertice delle amministrazioni. Chi esce dall’Ena è potenzialmente in grado di assumere in pochissimo tempo una posizione apicale nelle amministrazioni di destinazione. Fino a poco tempo fa chi usciva dall’Ena poteva scegliere addirittura la posizione da ricoprire. Ora questo privilegio è stato ritenuto eccessivo, anche perché comunque provocava qualche stortura: oggi si può scegliere soltanto l’amministrazione. Finanze, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, diplomazia e interno sono ovviamente i grand corps de l’Etat e quelli che danno straordinarie chance di mobilità verso l’esterno, verso il privato.

3) Il pantouflage
Una delle critiche che venivano mosse all’Ena era proprio la perdita di competenze tecniche di altissimo profilo, drenate dal privato con le grandi aziende che si accaparrano gli enarchi. C’è però un meccanismo – il pantouflage – che compensa questo aspetto: chi abbandona prima di un certo numero di anni la propria posizione nell’amministrazione dello Stato deve pagare una fee… ma questa viene pagata senza nessun problema dalle aziende private!
L’Ena è quindi un modello che ha un fortissimo riconoscimento in Francia. Certo, possiamo sempre dire che le aziende private chiedono gli enarchi come managers perché sanno che sono inseriti in un network di persone che contano, ma questo a ben vedere vale per qualunque modello di alta formazione: è così per Cambridge, Oxford, Yale o Harvard che sono le scuole di riferimento che formano le élites.

Beh, Oxford e Harvard sono modelli decisamente lontani da quelli nostrani di formazione della dirigenza pubblica!
Questa è appunto l'ulteriore e fondamentale cosa che dobbiamo mettere in chiaro in un confronto tra Italia e Francia: non c’è niente di più lontano dall’Ena delle nostre Scuole di pubblica amministrazione!
Le grandes écoles sono scuole di “applicazione”: chi arriva ha già come bagaglio acquisito i saperi specifici, le cognizioni teoriche del proprio campo. Non è concepibile che ci sia qualcuno che ha bisogno di imparare il diritto amministrativo, la microeconomia o la politica economica!
I curricula formativi sono profondamente orientati all’applicazione: fatto 100 il percorso formativo, l’85% è dedicato alla parte pratica e il restante 15% è limitato a delle grandes conférences che non hanno nulla a che vedere con un corso istituzionale ma vengono invece tenute da testimoni della materia su grandi temi.
Un’altra caratteristica essenziale dell’Ena è di non avere un corpo docente: tutti i docenti sono a contratto e nella maggior parte dei casi non sono docenti universitari ma, a loro volta, alti funzionari di Stato, scelti per la propria competenza, che hanno fatto e che insegnano a fare.
Insegnare all’Ena è uno dei più alti riconoscimenti a cui si possa aspirare in Francia!

Insegnare all’Ena è un alto riconoscimento… e invece aver studiato all’Ena, per un dirigente italiano, cosa significa?
Diciamo che dei 50 élèves italiani dell’Ena tutti o quasi hanno posizioni di vertice nelle nostre amministrazioni. Francesco Gaeta è un nostro collega italiano attualmente in mobilità internazionale presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti francese. Ora, quanto siano stati bravi loro a far valere il valore della formazione acquisita in Francia, o quanto le nostre amministrazioni siano state pronte a riconoscere questo valore non possiamo dirlo. Però è un dato di fatto che siano riusciti ad arrivare in posizioni apicali.
Teniamo anche presente che per l’ordinamento d’oltralpe, gli enarchi sono funzionari dello Stato francese a tutti gli effetti. Volendo, anche un italiano che ha seguito l’Ena può ambire a ricoprire una posizione di vertice in Francia!

Allora, cosa si può mutuare di questo modello? Cosa può essere realisticamente preso e fatto attecchire in Italia?
La sola cosa che si può mutuare dall’Ena è il modello pedagogico, non il modello istituzionale: avere un fortissimo sbarramento all’ingresso; avere un cursus strettamente legato alla trasmissione di esperienze e di valori. All’Ena si trasmettono i valori di 250 anni di Stato-nazione, noi possiamo benissimo pensare di trasmettere i valori della riforma della pa come autonomia, responsabilità, merito, performance, risultati, servizio all’utenza e così via.
Quindi accanto ad un scuola di trasmissione dei valori forti dell’amministrazione dello Stato, una scuola dove abbiano il peso che devono avere le esperienze pratiche. All’Ena lo stage è considerato un momento essenziale. Lo stage non è un momento di turismo amministrativo ma un momento di formazione rigorosissimo. Chi va in stage viene preso sotto la guida e il giudizio del maître de stage e immesso nell’amministrazione con un suo ruolo gestionale e con assunzione di responsabilità: lo stagiaire partecipa, ad esempio, ad un negoziato internazionale così come qualsiasi altro diplomatico che è in ambasciata, con responsabilità proprie e immediate.

Detta così sembra un modello praticabile anche in Italia!
Ecco, in Francia hanno questa convinzione che il dirigente pubblico crei “profitto sociale” e che questo sia misurabile… una situazione ben lontana da quella che stiamo vivendo oggi nel nostro Paese, ma mi sembra che ci sia ora grande determinazione nell’innescare un cambio di direzione.
Pur tenendo conto delle tante specificità italiane mi sembra che dell’Ena si possa – e forse si debba – mutuare questa impostazione di fondo. Io credo che se in Italia si riuscisse a costituire una Scuola di tale spessore, verrebbero a cadere rapidamente tanti problemi legati al reclutamento.
Infine, la grande forza dell’Ena è che non solo crea la classe dirigente del Paese, ma forma una classe dirigente pubblica che parla lo stesso linguaggio, ha la stessa identità di visione e lo stesso set di competenze. Quando si esce dall’Ena, tutti sono potenzialmente: diplomatici, consiglieri di Stato, primi ministri o direttori di grandi aziende oppure dirigenti di una amministrazione periferica. Nei 27 mesi di formazione si sviluppa una comune visione del mondo: a prescindere dall’amministrazione in cui andrà ad operare, l’allievo dell’Ena conosce già il ruolo e il modus operandi, così come conosce da dentro e con una prospettiva da responsabile, il funzionamento di tutte le altre amministrazioni.
Credo che questa identità di valori e di linguaggi sia un fondamentale valore aggiunto e il solo che può garantire la mobilità della nostra classe dirigente pubblica.

Per saperne di più, vi invitiamo a consultare il sito dell'Ena

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