Una crescita drogata dai consumi

di Giacomo Carelli

Un paese che produce poco e consuma molto, in un contesto mondiale piuttosto critico. Questa è in sintesi la radiografia dell’economia ellenica che si evince dalla relazione annuale della Banca di Grecia.
A lievllo globale, la crisi finanziaria innescata dai mutui americani ha spostato da mesi l’interesse degli speculatori mondiali dalle obbligazioni sub-prime ai contratti a termine sulle materie prime. Scommettendo sul rincaro del greggio ma anche su quello del grano e del riso, gli investitori sono riusciti ad ottenere quello che si erano prefissati e cioè a fare in modo che i prezzi aumentassero. I produttori, dal canto loro, non hanno dimostrato alcun interesse ad incrementare l’offerta e si è quindi creata una diffusa situazione di stagflazione o se volete di inflazione crescente in un’economia sostanzialmente stagnante.
La politica monetaria della Banca Centrale Europea ha seguito fino ad ora le precise indicazioni del governo tedesco, che vede nell’Euro forte l’unica soluzione al rincaro delle materie prime. Da un lato quindi la BCE ha immesso liquidità rifinanziando le banche dei paesi membri, generando inflazione, dall’altro ha lasciato invariati i tassi d’interesse, agitando lo spauracchio dell’aumento dei prezzi da essa stessa causato. Il fallimento delle politiche BCE volte a stabilizzare i mercati finanziari è stato dimostrato dallo sproporzionato aumento dei tassi interbancari (Euribor) a breve negli ultimi mesi nonché dei derivati a medio-lungo termine legati ad essi.
In Grecia l’aumento dei tassi è arrivato come una scure sui conti dello stato, visto che la percentuale del debito pubblico ellenico è ad oggi pari al 95% del Pil. Certamente in Italia non stiamo messi molto meglio. Ma la Grecia è anche da anni sul trono delle cicale europee, con la crescita economica spinta dai consumi interni ed un record di deficit delle partite correnti pari al 14,1% del Pil nel 2007. Di questo passo l’indebitamento del sistema paese (settore pubblico e privato) con l’estero è salito dal 43,4% nel 2000 al 93,7% del Pil nel 2007. Semplificando al massimo, per ripianare il debito estero dovremmo tutti lavorare e produrre beni e servizi gratis per un anno, barattando poi tutta la produzione con i debiti contratti in passato. In questo scenario importare prodotti e servizi per poi consumarli sarebbe severamente vietato.
Non è del tutto chiaro a chi spetti la parte del grillo parlante in un contesto del genere. Di certo non a noi italiani, che dell’export in Grecia abbiamo fatto un modello da replicare su scala mondiale. Visto però che in questa congiuntura la vecchia Dracma sarebbe stata letteralmente stritolata sui mercati internazionali, qualcuno dovrebbe cominciare a prendere le cose più sul serio, anche tra di noi.
L’inflazione, “importata” anch’essa, è regolarmente aumentata fino ad arrivare al 4,4% su base annua ad aprile 2008. Il governo ha recentemente annunciato 41 misure volte a combattere il carovita: alcune, riservate esclusivamente alle multinazionali dei prodotti di largo consumo, riguardano l’obbligo di notificare al Ministero dello Sviluppo i prezzi applicati in Grecia e all’estero e sembrano di difficile attuazione. Altre, come la creazione di una lista nera delle aziende che vendono a prezzi troppo alti e di una commissione per l’ispezione ed il monitoraggio del mercato contro speculazione e rincari sono invece più un proclama politico che un piano d’azione.

Nella relazione annuale, la Banca di Grecia auspica un aumento della produttività, del tasso di occupazione e della competitività del sistema paese e richiede al governo misure volte ad aumentare la propensione al risparmio dei cittadini. Alcuni potrebbero interpretare quello sui risparmi come un invito malcelato a tagliare le tasse sui depositi per dare un’ulteriore spinta alla redditività delle banche locali. Non scordiamoci che in realtà il calo dei consumi potrebbe creare un effetto demoltiplicativo sulla crescita con ripercussioni ancora peggiori di quelle inflazionistiche. L’aumento del prodotto interno lordo nel secondo semestre 2007 è infatti calato al 3,7% rispetto al 4,2% del primo, mentre le previsioni per il 2008 parlano di una percentuale di crescita al di sotto del 3,7% su base annua.
Probabilmente la chiave di lettura dei dati più vicina alla realtà economica è quella della perdita di competitività del sistema. Il livello di occupazione in Grecia è tra i piu bassi dei paesi UE-15, al 61,4% rispetto alla media del 66,2%, con un’incidenza minima dei contratti part-time. Si calcola che dal 2000 al 2007, ad un aumento cumulativo dei prezzi del 15% sia corrisposto un aumento del costo del lavoro diretto del 20% e dei costi di trasformazione (spese generali industriali) pari al 41%. Il nuovo contratto collettivo di riferimento per l’industria ed il terziario prevede aumenti salariali del 6,2% nel 2008 e del 5,9% nel 2009, aprendo sostanzialmente la porta alla temuta spirale salari – inflazione.
Probabilmente anche per questo gli investimenti privati nell’ultimo trimestere del 2007 e nei primi tre mesi del 2008 hanno registrato una riduzione del 4,7% e del 1% rispettivamente, con effetti negativi sull’occupazione locale che potrebbero arrivare a breve.
Nella relazione della Banca centrale si parla stranamente poco di privatizzazioni e liberalizzazioni, mentre invece favorire maggiormente l’accesso degli investitori privati ad alcuni settori (come ad esempio quello energetico) che crescono vertiginosamente potrebbe abbassare prezzi ed inflazione ed attirare capitali freschi dall’estero. La Banca di Grecia accenna poi alla necessità di aumentare la produttività della pubblica amministrazione, senza però affrontre il problema di fondo dell’alto numero di dipendenti pubblici – sono più di mezzo milione – che appesantiscono la macchina statale e sono spesso asserviti al sistema politico.
Poche sembrano quindi essere le proposte realizzabili per tornare ai ritmi di crescita del passato, forse proprio perché queste dovrebbero riguardare misure impopolari che toccano il tenore di vita di molti nonché gli interessi economici dei gruppi di potere più influenti.
E poi perché in fondo non mancano quelli che sperano ancora nell’arrivo di altri cavalieri bianchi (o neri, o gialli) che vengono da lontano a salvare l’economia nazionale, come la Deutsche Telecom con Ote. L’importante è che chiunque essi siano, non ci ricordino troppo in fretta che la festa è finita.

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