di Pietro Salamina
In un mercato globale estremamente competitivo, contraddistinto da crisi economiche, tensione nei prezzi delle “commodity” e da un euro sempre più forte, il vino italiano conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo, continua a registrare successi ed incrementi nelle esportazioni in particolar modo dei rosati e dei rossi strutturati e del prosecco; trainando così, le vendite di oltre confine del “made in Italy” alimentare, nonostante le non sempre giustificate impennate dei prezzi al consumo.
In Italia, il mondo del vino, è una cosa seria anche se ci regala allegria e piacere di vita; la frizzante vetrina veronese, è un momento di grande comunicazione, in cui gli scambi commerciali si susseguono in un’atmosfera elegante e glamour senza pari; infatti, non c’è Paese al mondo, che abbia saputo meglio coniugare la domanda internazionale e l’offerta di vini, se non Verona con il suo Vinitaly; ovvero, la massima sintesi di una antica passione per il vino e per il pragmatico affarismo.
Non si può negare che il Vinitaly sia un fenomeno “trendy” e di costume a cui non si può mancare, anche se astemi, se non altro, per dire: c’ero anch’io, o per il gusto di potersi esibire con occhio da critico esperto, scimmiottando la rituale gestualità dei sommelier magari, senza saper neppure distinguere, un comune Merlot da un Amarone. L’importante però, è esserci ed apparire.
Quel format intelligente e produttivo, quel grande business avviatosi con le migliori premesse, poteva contribuire, con l’aggiudicazione dell’expo mondiale a Milano, a ridare smalto e forse anche fiducia ad un’Italia dai record negativi; un’Italia derubata, deturpata, debilitata dai venti di recessione, oltraggiata dalla pluri celebrata “monnezza di Napoli”, dalle bufale, dagli sprechi, dai disservizi e dalla inetta e disonesta classe politica allora in auge; un’Italia colpita a tradimento e sbattuta sui giornali di tutto il mondo, per un “reportage-inchiesta” inopportunamente pubblicato dall’Espresso dal titolo (ad effetto): “Benvenuti a Velenitaly”.
Credetemi, ho vissuto in prima persona, un vero “tsunami” che ci ha travolto tutti: operatori, organizzatori, colleghi della stampa, gente comune. Io non contesto il sacro santo diritto all’informazione così come auspico che si debbano colpire duramente coloro i quali hanno compiuto illegalità, ma se l’Espresso avesse pubblicato la sua inchiesta a Vinitaly concluso, cosa sarebbe cambiato?
Certamente si sarebbero evitate le solite generalizzazioni denigratorie, tanto amate ed auspicate dei nostri competitors ai quali non è sembrato vero leggere che 70 milioni di litri di vino italiano viene venduto ed esportato sotto costo, che alimenti circolano con tracce di diossina, che alcuni vini sono frutto di alchimistiche adulterazioni, come il celebrato “Brunello con il tranello”, che l’olio tunisino è spacciato per italiano, e che l’aceto di Modena è fatto a Napoli, e via dicendo…
Insomma, si è fatto di tutto perché la notizia facesse il giro del mondo ed i nostri panni sporchi fossero esposti senza pudore al biasimo del mondo intero, mentre lo tsunami mediatico sbaragliava generalizzando, l’immagine del comparto agroalimentare italiano.
Ma l’ Espresso, pur di fare notizia, ha calpestato il pudore e quel minimo di patrio orgoglio (purtroppo, riesumabile solo per le performances sportive) che dovrebbe albergare nel Dna di un popolo; invece, si è voluto offrire ingiustamente al mondo, un’immagine di mistificatori e di masochisti che ha colpito ed offeso quella stragrande maggioranza di piccoli ed onesti produttori che da sempre hanno operato con umiltà, sacrificio e lealtà, ma non solo loro.
Mentre la magistratura avvia il suo lento corso per colpire (speriamo) quei pochi disonesti, steso un velo pietoso sulle immancabili polemiche, ecco comunque, alcuni dati significativi registrati: oltre 150 mila gli operatori professionali, dei quali il 25% in arrivo da oltre 100 Paesi; circa 4.300 gli espositori, provenienti da una trentina di Paesi, dislocati su una superficie di 87 mila metri quadrati: cifre da record, però oscurate per il solo gusto di farci da soli del male.
La 42.ma edizione ha registrato anche oltre alle partecipazioni ormai consolidate di Australia, Stati Uniti, Spagna, Francia, Portogallo, Sud Africa, l’agguerrita presenza di nuovi produttori provenienti da Israele e dalla Polonia, con vini di qualità e prezzi interessanti.
Indubbiamente, uno dei punti di forza della manifestazione scaligera, è stata quella di riuscire ad offrire una media di 33 contatti commerciali per azienda contro i 15 delle fiere concorrenti (come la Proweine di Düsseldorf) ed una percentuale di grossisti/ importer-exporter/agenti, che ha raggiunto il 63% dei visitatori stranieri. Non è poco, se consideriamo che il cambio euro/dollaro, ci penalizza nelle esportazioni verso alcuni Paesi di quell’area monetaria e che il prezzo delle materie prime alimentari e dell’indotto è cresciuto vertiginosamente al pari di quello del petrolio, in una gara molto pericolosa.
Blend glamour e affari sono stati proposti anche in tutte le prestigiose e numerose degustazioni che si sono avvicendate, coinvolgendomi: da Tasting express, a Taste and Dream, fino a Trendy oggi, e a Grappa & C. Tastino alla quale è associato il Vinitaly Grappa Tasting Award.
Pietro Salamina