Francesco Pardi al Senato

Presidente, onorevoli colleghi del Senato, membri del governo

Noi dell’Italia dei Valori non ci facciamo suggestionare dall’atmosfera dolciastra che la maggioranza vuole posare sui rapporti con l’opposizione. La vittoria del centrodestra dal punto di vista quantitativo è indiscutibile, ma in realtà è stata esaltata da una legge elettorale con larghi profili di incostituzionalità, che ha creato una distorsione profonda tra voto popolare e rappresentanza politica.

Milioni di elettori sono stati privati della loro rappresentanza naturale, molti hanno dovuto adattarsi a votare per partiti diversi da quelli preferiti. Anche chi ha beneficiato di questa espropriazione deve meditare sulle insidie che potrebbero nascerne. Oggi tutti tendono a insistere sull’efficacia della semplificazione, ma non si dovrebbe sottovalutarne la brutalità. Converrà ragionarne quando

si affronterà la necessità di una nuova legge elettorale: non si può immaginare come un progresso l’idea che quote crescenti di elettori vengano non ammessi ma esclusi dalla rappresentanza. La democrazia è reale se poggiata sul voto libero, non sul voto coatto o peggio sulla rinuncia al voto.

Non possiamo quindi farci impressionare troppo dalla dimensione quantitativa del successo del centrodestra. Va preso sul serio ma non deve incuterci soggezione. Nel Parlamento ancora una volta si registra la presenza imbarazzante di decine di condannati, imputati, inquisiti e rinviati a giudizio. Questo governo non ci piace e aggiungo alle critiche già avanzate dai colleghi del mio partito una breve nota amara: aver attribuito il sottosegretariato dell’Istruzione al titolare dello scudocrociato, il cui merito essenziale pare sia stato solo la rinuncia a far slittare le elezioni, umilia la scuola, l’università e la ricerca.

Il successo elettorale (anche se è il terzo) non sana in alcun modo l’anomalia italiana. In tutti gli altri paesi democratici si applica con estremo rigore un principio essenziale anche se in vari casi non fissato nella legge: chi ha la proprietà o il controllo effettivo di mezzi di comunicazione di massa viene considerato ineleggibile, incompatibile con l’esercizio del potere politico e con la titolarità di cariche di alto rilievo istituzionale. E’ curioso che uno schieramento politico che vuole poggiarsi per propria vocazione sul rifiuto del relativismo culturale lo adotti qui con disinvoltura per dare legittimità a un’anomalia rifiutata da tutte le democrazie.

Il danno principale è di pura natura istituzionale ma altre conseguenze secondarie ne sono derivate nel recente passato e hanno contribuito a inquinare in profondità la vita pubblica: impossibilità di separare interessi privati e interesse pubblico, leggi ad personam per estinguere e prescrivere reati, per rafforzare il monopolio privato a danno dei competitori economici, come quando Europa 7 è stata privata delle frequenze che Corte costituzionale italiana e Corte di giustizia europea le avevano riconosciuto.

Oggi l’opposizione non ha alcuna convenienza a farsi narcotizzare dalla retorica del dialogo con la maggioranza. E’ facile per il governo di centrodestra presentarsi oggi col volto più mansueto. Non ha più bisogno di imporre prepotenze e forzature; queste sono state svolte in abbondanza nelle legislature precedenti. Il premio di maggioranza ha prodotto una vittoria così schiacciante da rendere possibile l’esibizione di magnanimità.

Ma si sbaglierebbe a immaginare motivazioni generose. Una è tattica. La maggioranza ha un preciso interesse a coinvolgere l’opposizione: mira a legarla e se essa non saprà distinguersi con la massima evidenza rischia di perdere la sua stessa natura. Se la maggioranza avrà avuto successo nelle sue intraprese l’opposizione avrà avuto solo un ruolo ancillare. Se avverrà il contrario l’opposizione sarà trascinata nei suoi insuccessi. E come potrà allora vantare un progetto alternativo? Un’altra motivazione è di prospettiva, come al solito personale. La mitezza è l’atteggiamento più opportuno per rendere possibile l’ultima definitiva scalata dell’anomalia italiana, che ormai anche grandi testate giornalistiche indipendenti si sono rassegnate a considerare inevitabile: l’ascesa al Quirinale. Dopo aver criticato spesso i suoi caratteri eversivi oggi si sbracciano a riconoscergli un ruolo pacificatore.

Ma chi ha provato a scardinare la Costituzione non può diventarne il custode. Chi si è tratto da processi per corruzione della magistratura modificando le leggi in merito non può diventare Presidente del Consiglio Superiore della magistratura, chi si è sempre vantato di non celebrare nel 25 aprile la vittoria della Resistenza non può salire alla massima carica della Repubblica che da quella ha avuto origine.

Tuttavia l’offerta di dialogo va verificata. Non è difficile. Ci sono alcuni passaggi elementari. Europa 7 riceva subito le sue frequenze e sia messa in grado di trasmettere. Il governo rinunci al ritorno dal duopolio al monopolio televisivo. La Rai possa lavorare in modo indipendente dal comando privato e dalla lottizzazione dei partiti. Si modifichi la legge elettorale in un modo che permetta agli elettori di esprimere il loro libero intendimento. Si affronti anche il tema delle riforme istituzionali ma secondo il criterio degli emendamenti puntuali, previsto dall’art. 138, senza alcuna pretesa di imporre profonde modifiche di sistema. Ricordiamo con forza che queste sono già state sonoramente bocciate da una larga maggioranza degli italiani. Quando il popolo parla attraverso la consultazione referendaria va accolta la sua decisione con il massimo rispetto.

Si vuole correggere il bicameralismo perfetto? Si vuole ridurre il numero dei parlamentari? Si discuta a fondo ma senza approfittare della situazione per introdurre rafforzamenti incostituzionali del potere esecutivo dando ad esso quella prevalenza sul legislativo e il giudiziario che è rifiutata alla radice dal carattere parlamentare della Repubblica. Né premierato forte né presidenzialismo, né alcuna indulgenza al pressappochismo che vuole disegnarli senza la separazione più netta tra il voto per il premier e il voto per l’assemblea elettiva.

C’è poi un altro dialogo importante da svolgere: all’interno dell’opposizione. Se larghi settori popolari hanno abbandonato il centrosinistra ciò dipende assai più dai suoi limiti che dai meriti della maggioranza. Se il protagonismo civile più impegnato rifugge dal dare credito ai nostri partiti questo è un problema nostro che non si risolve né con la presunzione né con l’esclusione. Abbiamo davvero molto da fare per migliorare la nostra azione politica.

Perciò non voteremo la fiducia al governo e ci impegneremo nel compimento dei nostri doveri.

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