BEPPE GRILLO: ARRINGHE, SCENEGGIATE, OMERTA

Li chiamavano i ragazzi di piazza Martinez, se la memoria non inganna, tra loro Beppe Grillo. Da piazza Martinez, a Genova, ad altre piazze d’Italia ne sono passati di anni, e molte cose sono cambiate, salvo essere sempre attuali, però, in determinati ambienti, i comportamenti così ben individuati da Niccolò Machiavelli: “Noi altri di Italia poveri, ambitiosi et vili”.
Anziché tanti vaffa, di per sé irrispettosi e poco edificanti per una gioventù già mal influenzata per meri interessi e per lo più priva di valori autentici, perché non permettere che venissero a galla, ad esempio, i silenzi, le omissioni, l’omertà di Mi manda Raitre, “l’unico programma dalla parte del cittadino”? Beppe Grillo non sta forse anche lui dalla stessa parte? Allora perché non distinguersi da Mi manda Raitre invece che far finta di niente?
Se può far sorridere che si venga indirizzati, per il ritiro di una raccomandata, in un ufficio postale inesistente (né mai esistito) nella via indicata, con tutto ciò che inevitabilmente ne consegue: un’ulteriore perdita di tempo, un parcheggio in più da pagare non sempre a portata di mano o il biglietto di un autobus con relativa attesa e, in ogni caso, un intralcio nei propri programmi, interessante sarebbe sapere come l’avrebbe presa o come la prenderebbe Beppe Grillo trovandosi di fronte a tutto questo.
Fanno tutt’altro che sorridere, invece, le pecche, si fa per dire, di Poste Italiane, taciute da Mi manda Raitre e non considerate minimamente da Beppe Grillo, in parte riconducibili a reati penalmente perseguibili all’esame dell’autorità giudiziaria.
Poste Italiane rea di aver macroscopicamente violato la “Carta della qualità” dei prodotti postali che ha tra gli obiettivi principali quello di “stabilire un rapporto di fiducia con la clientela, basato su un’informazione semplice, comprensibile e su impegni precisi”; “Carta della qualità” dei prodotti postali ritenuta “un vero e proprio contratto” che Poste Italiane ha stipulato con i clienti “impegnandosi concretamente”.
Poste Italiane che non ha osservato, colpevolmente, un Regolamento da essa stessa stilato che garantisce, al contrario, di risolvere le controversie “con regole semplici e trasparenti”.
Poste Italiane che, evidentemente, ha ritenuto e ritiene carta straccia le Raccomandazioni della Commissione Europea e che continua a non riconoscere a proprio carico alcun genere di violazione.
Inoltre, è aspetto tutt’altro che secondario il fatto che il cliente che non possa permettersi un legale, a parte i tempi biblici della giustizia, debba subire oltre al danno, sia economico, sia morale, sia esistenziale per come viene trattato, anche l’umiliazione della beffa, che definire incommensurabile non rende il concetto se non la si vive.
Dove risulta scritto che è prevista l’impunità per chi si serve dell’arbitrio, del sopruso, della prevaricazione dell’uomo sull’uomo per non dover rispondere delle proprie responsabilità?
Beppe Grillo non pare esserselo chiesto, neppure in un caso ben specifico e documentato, proprio lui che tuona “faccio da megafono”. Né pare aver trovato alcunché, nulla di nulla, su ciò che realmente sta a monte dell’autoritarismo di chi, dettando la propria legge, calpesta impunemente i più elementari diritti e la dignità della persona.
Quello stesso Beppe Grillo che mette sul banco degli imputati il mondo dell’informazione, ma non si distingue da chi accusa. Non è stato forse Dino Boffo, direttore di Avvenire, già nel maggio del 2000, a porsi al centro dell’attenzione con “l’ora del mea culpa”, elencando ben otto “mai più”: “mai più fanatici e faziosi”, “mai più allineati e proni”, “mai più complici e collusi”, “mai più…”, salvo sbugiardare se stesso nel momento in cui dalle parole bisogna passare ai fatti?
Non riconoscere un uomo, in quanto soggetto dotato di una sua propria attività intellettiva che ragiona, riflette e argomenta, perché quanto denuncia e svela non raggiunga l’opinione pubblica, evidentemente per Beppe Grillo rientra nella norma, così ben posta in atto da più e più direttori di quotidiani.
Più e più direttori responsabili che, anziché far valere la legge secondo la quale “è obbligo inderogabile” dei giornalisti “il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”, applicano quella antidemocratica del più forte o la cultura dell’omertà per niente intimoriti dai vaffa di Beppe Grillo, forse perché suonano come una trovata pubblicitaria, piuttosto che come una vera e propria denuncia tesa a sensibilizzare un’opinione pubblica addomesticata.

P.S. Fatti e misfatti, tra i molteplici descritti, tratti da IL PERPETUO IMBROGLIO, interamente documentabile per chiunque non intenda – meschinamente – nascondere la testa sotto la sabbia come i 40 e più editori interpellati. O come Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio: “Un giornale che porta onore alla verità”, e per il quale “bisogna dare battaglia al trasformismo e alla menzogna, date retta a me” quando, sordo alle sue stesse parole, per viltà, connivenza o complicità, alla menzogna si piega. Maestro di tutto ciò, avendo fatto scuola e una schiera di proseliti, Indro Montanelli: “Almeno noi giornalisti evitiamo di imbrogliare la gente” raccomandava, imbrogliandola il giorno dopo e avendola già imbrogliata un numero incalcolabile di volte in precedenza, consenzienti i Giuliano Ferrara, i Paolo Mieli, i Vittorio Feltri, i Bruno Vespa, i Michele Santoro… sul solco di una stampa di regime, rinunciando al diritto di essere liberi riconquistato con l’insegnamento dei fratelli Rosselli, recentemente portato ad esempio ne “Il pentimento di Vittorio Sgarbi e l’insegnamento dei fratelli Rosselli” su politicamentecorretto.com. Per contattare l’autore: Silvano Strazza – Casella postale n. 1141 – 16121 Genova centro; e-mail: silvanostrazza@libero.it

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