di Matteo Lazzarini, Bruxelles
Lettera a Sergio Romano Corriere della Sera
La cittadinanza
Caro Romano, sul voto agli italiani all'estero, le volevo ricordare che il problema non è l'italiano stentato degli emigrati in Argentina o in Australia (quanti italiani d'Italia si esprimono in un italiano stentato oppure solo in dialetto veneto o napoletano?) bensì un altro: il voto di noi cittadini italiani all’estero vale un terzo di un voto di un cittadino italiano residente in Italia. Siamo infatti circa 2,6 milioni di elettori residenti al di fuori dell’Italia, quasi quanto gli elettori residenti in Toscana.
Solo che noi eleggeremo 12 deputati e 6 senatori, mentre in Toscana si eleggeranno ben 38 deputati e 18 senatori: il triplo. I francesi, gli spagnoli, i belgi votano anche se residenti all’estero e il loro voto ha lo stesso valore di un voto espresso da un cittadino residente. Il nostro voto no, vale un terzo.
Ma l’articolo 48 della Costituzione italiana non sancisce che il diritto di voto è legato alla cittadinanza (e non alla residenza)? Non afferma che il voto è «eguale»? Del resto, prima dell'attuale legge noi potevamo già votare proprio in quanto «cittadini»: bastava recarsi al proprio seggio elettorale in Italia. Se per essere elettori è dunque sufficiente avere la cittadinanza italiana, mi sembra che questo concetto sia difficile da capire e soprattutto da accettare da parte degli italiani residenti in Italia.