Questa non è la Terza Repubblica

Enrico Cisnetto commenta i risultati elettorali in un’intervista rilasciata per il quotidiano TerzaRepubblica.it

Ma quale Terza Repubblica?
Il risultato di queste elezioni non è stato un reale cambiamento, ma l'ennesimo atto della stagione politica iniziata quindici anni fa e che ha portato il Paese al disastro del declino economico, del degrado socio-ambientale, del default della giustizia. Avevamo pronosticato che questa sarebbe stata l'ultima votazione della Seconda Repubblica. Ma quel che è certo è che non è quella Terza di cui si è scritto sui giornali.
Credo che non sia Berlusconi il vincitore, così come credo che Veltroni non possa essere considerato il perdente che l'ha sfangata. L'interpretazione dei risultati, a mio avviso, è molto diversa da quella presentata dai giornali: a vincere è stata l'antipolitica, rappresentata dalla Lega di Bossi nel centrodestra e dall'Italia dei Valori di Di Pietro nel centrosinistra.
Per quanto riguarda il centrodestra, mi pare che sia evidente da due elementi.
Primo: il Pdl, pur mettendo insieme Forza Italia, An e qualche altro soggetto, porta a casa un risultato inferiore alla somma dei voti ottenuti dai due partiti nella precedente tornata elettorale. Basta vedere la Lombardia: al Senato, il numero di scranni ottenuti dai due partiti è identico a quello del 2006, mentre la Lega passa da 5 a 11 senatori: più che raddoppia il suo consenso e la sua rappresentanza parlamentare.
Secondo: il partito di Bossi dimostra di aver vinto nella composizione parlamentare. E' vero che non ci sono problemi, come si erano paventati, di maggioranza alla Camera e al Senato; ma questo dipende esclusivamente dalla Lega: il PdL da solo, infatti, non è in grado di avere rappresentanza nei due rami del Parlamento. Questo significa che la Lega avrà un ruolo decisivo sia nella formazione del governo, sia nella dettatura dell'agenda politica. E questo ha un significato politico rilevante.
Cosa rappresenti il partito di Bossi lo abbiamo imparato in questi anni: il localismo esasperato erroneamente chiamato federalismo che ha prodotto danni inenarrabili sotto il profilo economico, e che è conseguenza dello smontaggio istituzionale che la Lega ha imposto. Il partito di Bossi, poi, ha già annunciato che si caratterizzerà come “di lotta e di governo”, dovrà quindi gestire il voto di protesta che ha guadagnato (peraltro è nella sua indole il farlo), come ha fatto in passato la sinistra massimalista nel centrosinistra. Il governo sarà quindi vittima di un doppio problema: da un lato, dovrà rassicurare il suo elettorato (conservatore nella peggiore delle accezioni possibili) che vuole sentirsi dire che non ci sono problemi, e che vuole uscire dalla preoccupazione di dover accettare dei cambiamenti. Dall'altro, dovrà essere quello che continuerà a cavalcare grillescamente l'antipolitica, l'anticasta e tutto ciò che questo significa.
Per la sinistra il risultato elettorale è stato un disastro di proporzioni inenarrabili, e il primo artefice del disastro è stato proprio Romano Prodi. Sbagliò nel 2006 a non considerare il pareggio elettorale per quello che era, e a non rendersi conto che avrebbe dovuto portare conseguenze importanti nella formazione del proprio governo. Quel governo che è stato disastroso. Anche se nella percezione forse lo è stato di più di quanto lo sia stato effettivamente.
Con il risultato che oggi la sinistra è diventata extraparlamentare con tutto quello che ne consegue (credo che Cossiga, quando accenna a un maggior pericolo di rigurgito del terrorismo, sappia quel che dice), e che comunque il PD ha portato a casa un risultato modesto.
Per due ragioni.
Primo: perché è soltanto del 2% in più rispetto alla somma dei voti presi da Margherita e DS nel 2006; poi, perché si è detto che era in atto una rimonta. Rispetto a che cosa? Rispetto a sé stessi! Così come Berlusconi ha dovuto rimontare nella precedente tornata perché aveva fatto male, stessa sorte è toccata alla sinistra che era indietro nei sondaggi e in parte – ma solo in parte – ha recuperato qualcosa. Ma la cosa politicamente più negativa è il fatto che non è riuscita ad intercettare neppure un voto riformista o moderato.
Al centro non ha preso niente, ha rosicchiato una parte dei voti dei Verdi e di Rifondazione – quello che non è andato all'astensionismo, a Di Pietro o alla Lega – e basta. Risultato modesto per un partito che avrebbe dovuto rappresentare la svolta italiana. I veri vincitori sono la Lega di Bossi a destra e – anche se fa un po' effetto collocarlo da quella parte, visti i toni giustizialisti e fascisti che usa – Di Pietro a sinistra. In mezzo c'è l'Udc di Casini, che si è salvata ma con un risultato modesto, pagando il suo ritardo nel dichiararsi terzista. Anche se è stato abbastanza chiaro per il suo elettorato che la decisione di correre da soli non era di Casini, ma di Berlusconi che gli aveva chiuso la porta in faccia. Un risultato che denuncia anche l'assenza di condizione di rappresentanza dei cattolici, che voleva essere la cifra dell'Udc. Forse se Casini avesse ragionato in termini di rappresentanza dei Terzi, ovvero di coloro che non si riconoscevano né in una parte né nell'altra, e non avesse accentuato la sua coloritura clericale, avrebbe avuto una rappresentanza migliore.
Insomma, un risultato che non apre la Terza Repubblica, fa proseguire la Seconda – vedremo per quanto tempo – e certamente non rende facile la strada per chi, come Società Aperta, ha interpretato questa fase come un momento di cambiamento radicale. Non mi aspetto che questo Parlamento faccia riforme istituzionali significative. Le prime dichiarazioni di Berlusconi riguardo la legge elettorale vanno nella direzione di dire “teniamoci questa, al massimo modifichiamo le regole per il Senato”, e questo mi sembra esplicativo della direzione presa. Anche il riferimento alla Bicamerale mi sembra un contentino dato a Veltroni per tenerselo buono, che non fa certo pensare che si vada verso una svolta radicale come l’elezione di un'Assemblea Costituente potrebbe essere. Strada forse più lunga e più impervia, ma comunque necessaria per far uscire il Paese dalle sue contraddizioni e che metterebbe in moto una strategia di cambiamento che queste elezioni non consentono di avere.(Terza Repubblica)

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