Tibet, Cina e debito pubblico

In un mondo globalizzato, in cui il libero mercato riesce a superare ogni tipo di confine, anche la vita umana sembra essere oggetto di speculazioni monetarie.
Il prezzo del Dalai Lama e di 6 milioni di tibetani, il costo della partecipazione di Bush all'inaugurazione dei Giochi olimpici di Pechino è 1600 miliardi di dollari. A tanto ammonta il debito americano nei confronti della Cina, un debito di guerra senza precedenti nella storia umana. E se l'America è indebitata lo siamo tutti quanti.
L'escamotage applicato dai presidenti dei maggiori paesi europei di non presenziare alla cerimonia d'apertura l'8 agosto non è che un buffetto sulla spalla del Presidente Hu Jintao, accusato di eccessiva crudeltà nei confronti delle proteste tibetane. Di vero boicottaggio nessuno ha mai parlato. Due mesi fa Gordon Brown, che oggi recita la parte di Rambo, ha imposto alla federazione sportiva britannica il divieto assoluto di esprimersi politicamente durante l'evento sportivo.
Il timore è comune a tutti quanti. Un boicottaggio integrale, in grado di scavalcare anche la censura televisiva cinese, potrebbe segnare l'inizio di un rapido congelamento dei rapporti tra il drago cinese e l'Occidente, con il rischio di catapultarci in una nuova guerra fredda.
Questo nuovo scenario, però, sarebbe ben più minaccioso di quello che oppose l'area Atlantica all'Urss. Mosca, ai tempi, poteva contare su un arsenale nucleare puntato sulle maggiori capitali mondiali, in grado di scatenare un apocalisse atomica che si sarebbe conclusa con la distruzione reciproca. Teneva nella stessa mano, quindi, il veleno e l'antidoto.
Ben diversa è la situazione che si prospetterebbe nel caso in cui all'occidente si opponesse la Cina. La generazione figlia della rivoluzione culturale Maoista, infatti, è riuscita a costruire un armamentario ben più adatto ai tempi moderni. Non solo armi atomiche sofisticate ma anche, e soprattutto, un equipaggiamento finanziario inimmaginabile ed in piena crescita. L'evoluzione capitalistica della Cina è un processo guidato dalle autorità cinesi, in maniera multilaterale, avvenuta in connessione diretta con gli interessi Usa. In seguito all'entrata di Pechino al WTO, le imprese Usa che hanno delocalizzato in Cina hanno ottenuto guadagni immediati, mentre l'impatto sul potere d'acquisto, quindi sulla domanda, si è fatto sentire solo dopo un certo tempo. È, infatti, da trenta anni che negli Usa le remunerazioni del lavoro dipendente aumentano meno del valore della produzione. Secondo calcoli del Economic Report del 2007, i redditi reali sono inferiori a quelli del 1973. Se non ci fosse stato l'indebitamento delle famiglie, l'economia Usa sarebbe caduta in grave depressione, poiché né gli investimenti, né il deficit pubblico avrebbero mai colmato il divario tra capacità di spesa delle famiglie e valore della produzione. Con l'indebitamento privato e la spesa di soldi pubblici sul sistema finanziario ad ogni crisi (1987 crollo di Wall Street, 1989 Saving and Loan, 1995 crisi messicana, 1998 Long Term Capital, 2001 crollo della New Economy, 2007… subprime), la stabilità del sistema sembrerebbe garantita, purché gli altri stiano al gioco sostenendo i deficit Usa.
I 1600 miliardi di dollari sono frutto di anni di rapporti commerciali con Europa e Usa, accumulati a discapito dei cinesi stessi, che in 20 anni hanno consumato appena metà della ricchezza prodotta permettendo a noi di mantenere l'identico tenore di vita. La Cina è, a tutti gli effetti, un paese “emergente”, ma nonostante questo da anni trasferisce capitali ai Paesi più ricchi, in particolare all'America. Anche per questo motivo la sua recente evoluzione è definita un “miracolo economico”, poiché storicamente erano proprio i Paesi emergenti a necessitare di fondi stranieri. Per il momento la Banca Centrale Cinese non ha smesso di investire sul dollaro; continua, anzi, a comprare i Bot di Washington senza curarsi della crisi a stelle e strisce in corso. Tutto ciò ha creato un equilibrio di terrore. La Cina sta rinunciando ad investire quei miliardi che potrebbero cambiare radicalmente le condizioni di vita dei suoi abitanti. Con una cifra simile Pechino non avrebbe problemi nell'aumentare i salari, nell'ammodernare le strutture pubbliche e nel costruire un sistema pensionistico e di assistenza all'avanguardia. Gli investimenti sul mercato americano, invece, permettono all'amministrazione Bush di proseguire nella sua politica dispendiosa e guerrafondaia, senza gravare sulle tasche degli americani. La momentanea fiducia cinese nella moneta d'oltreoceano è motivo di stabilità anche per l'Europa. Infatti se la Cina decidesse di puntare su monete più sicure la scelta cadrebbe, con ogni probabilità, sull'euro, il cui valore decollerebbe facendo crollare le esportazioni dal vecchio mondo. A quel punto la Federal Reserve alzerebbe i tassi d'interesse per arginare la fuga dal dollaro, peggiorando la recessione americana.
In questo caso anche la Cina ci rimetterebbe, perché una politica conservatrice di Washington ridurrebbe drasticamente le importazioni dall'oriente. La minaccia della distruzione reciproca ricorda molto, quindi, l'equilibrio precario della Guerra Fredda. Un equilibrio insicuro, ma attualmente presente. Nessuno dei capi di Stato occidentali vuole, quindi, mettere alla prova Pechino riempiendosi la bocca con parole ingombranti come “diritti civili” o “libertà”, che pure sono alla base delle attuali democrazie liberali. In queste situazioni il compromesso è l'arma più diffusa.
Non si disprezzano le manifestazioni spontanee pro-tibet, ma si arginano se interferiscono col passaggio della fiaccola, non si accoglie ufficialmente il Dalai Lama ma si chiede a Pechino di farlo, si diserta la cerimonia d'apertura ma si vieta agli atleti di trattare argomenti considerati off-limit.
L'Ue ha sollecitato gli Stati membri a trovare una posizione comune sulla partecipazione alla cerimonia di apertura dei Giochi, in virtù della condanna espressa dall'Europarlamento “per la brutale repressione dei dimostranti tibetani”. Che la Cina, al momento dell'assegnazione dei giochi, abbia preso un impegno morale nei confronti del Cio, quindi, importa ben poco; e Hu Jintao lo sa bene che, prima o poi, tutti dovranno passare dalla cassa.

Per il Comitato Politico dei Radicali di Sinistra

Pietro Affaiati,
Fabrizio Cianci,
Pierfrancesco Lorenzini,
Enea Melandri,
Giacomo Orsucci,
Francesco Saddi,
Manuel Santoro

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