I diabolici errori di Sergio Romano e di chi sul voto la pensa come lui

LA FINESTRA DI MARIO BASTI

Lo spunto per la FINESTRA odierna l’avevo trovato ne “La Nación” di lunedí 24 marzo, con titolo molto eloquente in prima e ottava pagina: “Faltan en el país 1486 colegios secundarios” e il sottotitolo: “No hay lugar para que estudien 1.139.000 alumnos”, che mi avrebbe consentito di tornare sul tema dell’esigenza di favorire la diffusione della lingua e della cultura italiana fra le centinaia di migliaia di ragazzi argentini con radici italiane, quelli cioè che noi consideriamo parte della comunitá italiana, ma che purtroppo non hanno avuto la possibilitá di apprendere la nostra lingua, perchè la lingua che si parla qui, nella maggioranza delle famiglie é lo spagnolo.
Ma é chiaro che passerá un po’ di tempo prima che si costruiscano questi 1486 “colegios secundarios”, sicchè ho lasciato questo spunto per un’altra FINESTRA, preferendo oggi per ovvie ragioni un altro spunto che ho trovato nel “Corriere della Sera” di giovedí scorso 20 marzo, perchè il tema é il piú imminente.
“Voto italiano all’estero una legge sbagliata” è il titolo; l’autore é il noto giornalista Sergio Romano che risponde a due lettori nella “Pagina delle Lettere al Corriere” (Pag. 24). Giá altre volte Romano aveva espresso la sua opposizione a questa legge e lo ricorda lui stesso all’inizio della risposta: “Continuo a pensare -scrive- che la legge del 21 dicembre 2001, votata con miope conformismo da destra e sinistra, sia stata una pessima legge”. Quindi ripete alcune sue ragioni perchè la pensa cosí e conclude: “A tutto questo occorre aggiungere che lo stile parlamentare di alcuni rappresentanti, eletti nel 2006, ha confermato tutte queste preoccupazioni e che l’errore, quando viene ripetuto, smette di essere umano per diventare diabolico”. Spero che non me ne voglia l’illustre giornalista del “Corriere della Sera”, se questa sua conclusione nel ricordo del vecchio proverbio, mi é sembrata appropriata, anche come titolo alla sua risposta ai due lettori, Massimo Maraziti (Non é indicata la residenza) e Arturo Dibanni di Buenos Aires.
Il signor Maraziti ricorda a Sergio Romano che il diritto di voto degli italiani all’estero “é garantito dalla Costituzione ed é fuori discussione”, per cui si puó semmai discutere sulle modalitá del suo concreto esercizio e in tal caso si potrebbe agire sulle norme se considerate troppo restrittive. Il sig. Dibanni, invece, residente in Argentina, é contrario al nostro voto, sia perchè noi italiani qui siamo troppo lontani, sia perchè sembra avere poca stima dei candidati italo-argentini “che a malapena conoscono il funzionamento del Parlamento italiano e, paradossalmente, ancor meno la lingua italiana”. Mi domando se il signor Dibanni crede che invece gli “onorevoli” eletti in Italia conoscono tutti bene il funzionamento del Parlamento e sa che i figli di italiani nati in Argentina non dispongono di scuole ove apprendere l’italiano, insegnamento che i circa cinquanta governi che si sono succeduti in Italia nell’ultimo mezzo secolo e i loro predecessori non hanno pensato di dover sostenere con impegno.
Ma piú che ai due lettori, io col mio titolo, mi riferivo all’illustre giornalista al quale hanno chiesto lumi, Sergio Romano e ai suoi diabolici errori. L’attributo “diabolici”, puó sembrare esagerato, benchè me lo suggerisca proprio Romano con la conclusione della sua risposta, visto che, sia pure indirettamente, lo dá ai Costituenti (dei partiti del CNL) perchè hanno dato il diritto a tutti gli italiani e quindi anche a quelli (noi) che risiedono all’estero e lo dá a tutti i deputati e senatori che per due volte hanno dato il SI alla Legge Tremaglia, mentre lui, Romano, scrive che quel diritto di eleggere ed essere eletti era solo teorico! Teorico per noi!
Perchè solo teorico? Forse perché Romano é convinto (lo scrive) che “il rappresentano di un continente non rappresenta in realtá a nessuno”? Ma Romano non sa che i senatori e deputati che vengono eletti da noi italiani all’estero non rappresentano un continente, ma la comunitá degli italiani che risiedono in quel continente”? Qui, caro Lettore, consentimi di aprire una parentesi per rilevare che ho l’impressione che forse anche qualche candidato delle liste che votiamo noi, essendo italiano non di nascita, ma perchè nato qui da un genitore italiano, dice o crede di essere candidato argentino o brasiliano o del Venezuela, mentre é un candidato italiano e non rappresenta il continente americano, benché consideri suo dovere favorire migliori rapporti fra l’Italia e questo continente. Ed é giusto.
Sergio Romano critica implicitamente qualche candidato sospettando che, invece di preoccuparsi dell’interesse nazionale italiano, penserebbe alla comunitá dei suoi elettori! Ma che strano! Secondo Romano gli eletti a Torino, a Milano, a Roma, a Palermo, cioé nelle varie circoscrizioni elettorali italiane si occuperebbero soltanto dell’interesse nazionale, non preoccupandosi affatto delle richieste e aspettative dei loro elettori?
Ma credono veramente Romano e quelli che la pensano come lui che noi italiani residenti all’estero siamo tutti minorenni o ingenui o che non ascoltiamo dibattiti alla Rai o che non leggiamo gli acuti articoli di Sergio Romano o altri giornalisti? Da essi sappiamo che generalmente hanno la stessa duplice preoccupazione, che hanno pure i nostri onorevoli.
Il fatto é che purtroppo non é soltanto Sergio Romano a pensare di noi, italiani all’estero, quello che é implicito nei suoi diabolici errori (diabolici perché non li ha scritti una volta soltanto, ma li ha ripetuto e, a quanto pare, ne é ancora pienamente convinto). A me sembra invece che non soltanto avessero ragione nel 1946-47-48 i costituenti, quando considerarono tutti con uguali diritti – sostanziali e formali – i cittadini italiani. Come li hanno considerato poi i senatori e deputati che ripetutamente hanno approvato la legge Tremaglia tanto invisa all’illustre giornalista Romano.
E a me sembra che purtroppo invece tanti italiani ci considerano stranieri perchè siamo stati quasi tutti, costretti dalle circostanze, ad emigrare. Ma poi non rifiutarono le nostre rimesse di aiuto familiare negli Anni cinquanta, quando tanti in Italia facevano la fame. Ora se sono dimenticati, ma noi ce ne ricordiamo e l’Italia l’abbiamo sempre considerato la nostra patria (parola in Italia quasi dimenticata, comunque fuori d’uso). E come italiani ci teniamo ad esercitare i nostri diritti e a non considerarli una semplice teoria. Come siamo diversi!

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