L’ITALIA TORNI PROTAGONISTA DELLA POLITICA INTERNAZIONALE

Dr.ssa Contini, per quale motivo ha deciso di dedicare tanta attenzione alle Forze Armate?
L’attenzione alla realtà delle nostre Forze Armate ha a che fare con le esperienze all’este¬ro che ho maturato, che hanno comportato una costante e stretta collaborazione con pro¬fessionisti straordinari dei quali il popolo italiano deve essere orgoglioso. Quelle esperienze non solo hanno segnato la mia vita, ma hanno anche inciso profondamente sulle mie con¬vinzioni e sui valori in cui credo.
Non le sembra che ci sia a volte nella politica troppa ambiguità riguardo alle missioni di peacekeeping a cui l’Italia partecipa con le proprie forze militari?
Certamente. Una cappa di am¬biguità e di ipocrisia ha pervaso per troppo tempo la politica, che anziché sostenere i nostri militari impegnati nei diversi teatri operativi si è mostrata spesso distante e, a volte, osti¬le. Non esiste un soldato di pa¬ce alternativo al soldato che noi tutti conosciamo e apprezzia¬mo, anche perché gli obiettivi i¬niziali di una missione non sempre coincidono con la si¬tuazione che si riscontra poi ef¬fettivamente sul terreno. Oc¬corre inoltre sgomberare il campo dall’illusione che le o¬perazioni di stabilizzazione e di nation building siano quelle più semplici e prive di rischi. È anzi vero esattamente il con¬trario, considerando che le maggiori fonti di pericolo sia per i contingenti presenti sul posto che per le popolazioni lo¬cali emergono all’indomani del cessate il fuoco che ufficial¬mente chiude la fase delle osti¬lità. Recentemente, ne abbia¬mo avuto prova in Iraq e anche in Afghanistan.
Non è un caso che i militari i¬taliani, pur essendo interve¬nuti in situazioni di dopo¬guerra, siano stati coinvolti in più di una circostanza in azioni “combat”.
In Iraq, il nostro contributo si è concretizzato solo con la fine delle operazioni militari e la conseguente deposizione del regime di Saddam Hussein. Ciò nonostante, le attività del no¬stro contingente non sono sta¬te circoscritte alla sola assisten¬za a favore delle popolazioni e alle nascenti istituzioni locali. Le nostre truppe hanno dovuto infatti contrastare le milizie sciite dell’imam Moqtada al Sa-dr a Nassiryah nel 2004, in quella che è stata una delle fasi più intense dell’operazione Antica Babilonia. In Afghani¬stan, il quadro non è molto di¬verso dato che l’instabilità cau¬sata dalle iniziative della guerri¬glia neo-talebana inevitabil¬mente coinvolge anche le forze italiane. Alla luce di tutto ciò, non possiamo permetterci il lusso di privare i nostri contin¬genti degli equipaggiamenti e dei mezzi adeguati ai contesti in cui sono chiamati ad opera¬re, come talvolta è accaduto in passato. Per questo, dovrem¬mo correggere il tiro una volta per tutte sul piano degli stan¬ziamenti di risorse alla Difesa.
Il mondo militare è stato spesso trascurato in questi anni. Qual è la sua opinione in merito?
I nostri soldati impegnati all’e¬stero nelle missioni internazio¬nali non avvertono solo la lon¬tananza delle loro famiglie e dei loro affetti, ma a volte an¬che del Paese che con spirito di sacrificio, onore e professiona¬lità rappresentano. Ciò che fanno per la pace e la sicurezza di popolazioni martoriate dai conflitti non deve essere taciu¬to all’opinione pubblica, che ha diritto a un’informazione non edulcorata e anzi può es¬sere fiera della stima e conside¬razione di cui le nostre forze ar¬mate godono laddove hanno possibilità di esprimere le loro qualità. Qualità acquisite dopo un lungo processo di formazio¬ne e addestramento, e che ren¬de i soldati inidonei a svolgere compiti di sicurezza interna in ausilio alle forze di polizia o a far fronte ad altre emergenze come quella dei rifiuti. Un’ano¬malia tutta italiana a cui biso¬gna porre fine.
L’Italia, in questi ultimi anni, si è distinta con le proprie Forze Armate partecipando alla guerra contro il terrori¬smo. Si può fare un bilancio del nostro ruolo dall’11 set¬tembre fino ad oggi?
Ben prima dell’attentato alle Torri Gemelle, l’Italia ha sapu¬to agire da protagonista riu¬scendo a salvaguardare i pro¬pri interessi di sicurezza e ad e¬sercitare un’influenza signifi¬cativa in aree cruciali sotto il profilo geopolitico. Penso in particolare allo scacchiere bal¬canico, dove il nostro Paese ha potuto acquisire un notevole peso specifico soprattutto gra¬zie alla presenza qualificata dei nostri soldati. Ricordo che sia¬mo dal 1996 in Bosnia-Erzego¬vina, dal 1997 in Albania, e dal 1999 in Kosovo. Il nostro con¬tributo continua ad essere un indispensabile fattore di stabi¬lizzazione anche adesso, so¬prattutto in questa difficile congiuntura che ha coinciso con la dichiarazione di indi¬pendenza della provincia serba a maggioranza albanese. Ma bisogna ammettere che la ca¬pacità italiana di tutelare auto¬nomamente i propri interessi si riduce al crescere della distan¬za dai confini nazionali. È an¬che per questa ragione che, all’indomani dell’11 settembre e con successivo avvio della campagna antiterroristica, non potevamo rinunciare ad assumerci le nostre responsa¬bilità e neppure astenerci dal rispettare i vincoli delle allean¬ze internazionali di cui siamo parte integrante. Ad oggi, il fronte centrale dell’offensiva contro il terrorismo è l’Afgha¬nistan, in cui la nostra presen¬za è distribuita fra Kabul e He¬rat, nell’ovest del Paese, ma la nostra azione si estende anche al Libano meridionale, un cro¬cevia di tensioni in cui la mis¬sione delle Nazioni Unite si av¬vale dell’apporto fondamenta¬le di 2.450 militari italiani.
L’Italia, quindi, può essere di nuovo protagonista della politica internazionale?
L’Italia è una media potenza con interessi globali. È innega¬bile che le nostre missioni mili¬tari rappresentano ormai il no¬stro principale strumento di politica estera. Quando sento parlare di “truppe di occupa¬zione” in riferimento ai nostri soldati schierati nei teatri di cri¬si, mi rendo conto che una cer¬ta politica ideologica non potrà mai interpretare e valorizzare le potenzialità delle nostre donne e dei nostri uomini in di¬visa, che non chiedono altro che servire la loro Patria in si¬lenzio e con dignità.

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