Intervista al Presidente del Consiglio comunale di Napoli (Pd)

Per migliorare la nostra capacità d’analisi e di comprensione degli avvenimenti susseguitosi nella città di Napoli, tra il 1994 e 2008, abbiamo posto alcune domande al Presidente del Consiglio comunale di Napoli Leonardo Impegno (Pd)

D. Il “Rinascimento napoletano” è stato una stagione (1994-1996) gloriosa o un‘invenzione dei mezzi di comunicazione ?

R. << Appartengo alla squadra di politici napoletani che non ha mai creduto che si fosse realizzata la stagione politico – sociale denominata “Rinascimento napoletano”. Non possiamo dimenticare che l’Italia e Napoli stavano vivendo una fase storica molto critica e difficile (vedi. tangentopoli e le straformazioni politiche nate con la seconda repubblica), per cui bisognava rilanciare l’immagine della città. Allo stesso tempo, trovo politicamente ingiusto considerare negativamente tutto il lavoro realizzato dalla giunta Bassolino, perché sono state realizzate cose buone e cose meno buone. L’errore principale è stato quello di delegare la risoluzione dei problemi al solo leader. Scelta politica che contraddice i principi di una democrazia matura, che prevede il coinvolgimento nelle scelte programmatiche dell’Istituzioni predisposte. Quindi, non sono tra i politici napoletani che hanno creduto nella stagione del “Rinascimento napoletano”>>

D. La sinistra napoletana e quella italiana avevano grandi ambizioni, perché non sono state realizzate??

R. << Per governare al meglio una città difficile come Napoli abbiamo il dovere di saper interpretare i sentimenti che esprime, di conoscere la sua storia, la sua tradizione, la mappa del suo tessuto produttivo, la complessità sociale che esprime, i problemi sorti dall’urbanistica e dalla logistica impiantistica. Il compito storico delle classe dirigenti è quello di essere da stimolo per l’intera popolazione e deve saper rompere i meccanicismi socio – economici che impediscono lo sviluppo. La borghesia napoletana, per la sua tradizionale natura conservatrice ha impedito l’emergere di nuovi soggetti sociali meritevoli, ha soffocato uno sviluppo socio – economico omogeneo della città, non è stata in grado di assolvere il suo compito storico: quello di essere da stimolo e da esempio all’intero popolo napoletano. La borghesia napoletana ha grandi responsabilità nella crisi d’oggi. Venendo meno al suo compito storico, ha impedito a Napoli di sviluppare caratteristiche simili all’altre città europee>>

D. Presidente. L’organizzazione del ciclo della raccolta differenziata non è di competenza del comune di Napoli?

R. << Nell’organizzazione del ciclo dei rifiuti riciclabili il Comune di Napoli ha avuto dei limiti. Ho sempre sostenuto la necessità di un ruolo maggiore del consiglio comunale, affinché individuasse una nuova strategia per risolvere il problema della spazzatura. La percentuale della raccolta differenziata a Napoli è molto bassa raggiunge il 6%. Gli errori del ciclo integrale dei rifiuti sono tantissimi. Se dovessi individuare le cause principali della crisi la individuo nella subalternità al capitalismo italiano (vedi Fibe), il non aver avuto il coraggio, da parte degli enti pubblici predisposti alla gestione dei rifiuti di modificare o rescindere il contratto con la Fibe e dalla subalternità ad un ambientalismo ideologico. Questi sono stati gli elementi che hanno creato il disastro nel quale ci troviamo.

D. Perché, il comune di Napoli non si è costituito parte civile nel processo che coinvolge il Governatore Bassolino?

R. << Questa è una scelta che spetta alla Giunta comunale. L’indicazione dell’Amministrazione comunale è quella di costituirsi parte civile nel processo, che coinvolge il Governatore Bassolino, solo in caso di rinvio a giudizio. In ogni caso, queste sono decisioni che non sono prese dal consiglio comunale, ma dalla giunta comunale. La mia opinione è che sia giusto costituirsi parte civile, perché le norme giuridiche lo prevedono, ed è giusto che la città di Napoli si possa rivalere dei danni subiti nelle sedi competenti>>

D. A Napoli la parola “raccomandazione” è molto utilizzata, quanto il nepotismo in due settori strategici della nostra società la sanità e l’università.

R. << Questo è un fenomeno che coinvolge l’intero paese. Quando si pone la questione generazionale non bisogna proporla nei termini di conflitto tra le diverse generazioni, ma bensì come un atto di modernizzazione per l’intero paese. Viviamo in paese geriantocratico e maschilista (vedi. l’esplodere della questione sulla legge 194) e non esistono possibilità di emergere per le nuove generazioni. In politica, nell’università, nelle aziende pubbliche e anche in quelle private l’età media della classe dirigente è piuttosto elevata. Questo dato è dimostrato dai tanti studi e sondaggi pubblicati e realizzati negli ultimi anni. Per esempio, l’età media dei primari ospedalieri è di 57 anni. Un’età che corrisponde, quasi molto spesso, alla fine della loro carriera professionale. Certo che un primario deve avere competenza, talento ed un curriculum d’alto profilo professionale, ma deve avere anche freschezza intellettuale. L’obiettivo prossimo è quello di far associare le parole competenza e giovinezza, come avviene negli altri paesi europei. Guardi, viviamo in un paese illiberale, costituito da caste e monopoli che impediscono la selezione della classe dirigente sul principio del merito, ma bensì sulle raccomandazione e nepotismo>>

D. Ultima domanda. Il 13 e 14 aprile si torna a votare, lei è trai possibili candidati.

R. << Non le nascondo la mia speranza di essere inserito nella lista dei candidati per le prossime elezioni nazionali. Prima di ogni altra cosa auspico che: il Partito Democratico sotto la spinta della società civile riesca a realizzare un cambio generazionale della sua classe dirigente nazionale. Perché, il neonato partito Democratico nasce per rinnovare la politica italiana, per fare le riforme strutturali di cui il paese ha bisogno e questo è realizzabile con la nostra scelta di candidarci da soli. Però, bisogna impedire che la politica, in una fase di transizione come quella che stiamo vivendo, si tuteli aggrappandosi alle sue caratteristiche conservatrici. A tale scopo c’è bisogno della spinta riformistica della società civile.

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