L’UNITÀ
giornale fondato da Antonio Gramsci
Walter Veltroni, direttore
Aprile 1932, Ettore Altieri, carpentiere in ferro, facente parte di dieci comunisti veneziani che si riunivano clandestinamente nel Campo di Marte e sulle barche, e diffondevano l’Unità specialmente nell’isola della Giudecca, è condannato a tre anni di reclusione dal Tribunale speciale, che ne irrogò complessivamente 19.
Febbraio 1931, Nicola Chimisso di Campomarino (Campobasso), macchinista delle ferrovie, è condannato dal Tribunale speciale a sei anni di reclusione per appartenenza al Pci triestino e propaganda: 22 imputati, di cui quattro assolti, 103 anni di reclusione irrogati complessivamente.
Aprile-maggio 1931, Leo Rimini di Brisighella (Ravenna), venditore ambulante, facente parte di uno dei cinque gruppi romagnoli processati per costituzione o appartenenza al Pci, è condannato a sei anni di reclusione: rinviate a processo 132 persone, di cui 44 assolte, 300 anni, 8 mesi e 10 giorni di reclusione irrogati complessivamente.
Settembre 1927, Mario Acquaviva, impiegato, è condannato dal Tribunale speciale a otto anni e sei mesi di reclusione con un gruppetto di altri otto imputati, per avere costituito ad Asti il Pci e per “istigazione all’odio di classe”: irrogati complessivamente 60 anni di reclusione.
Processo dei comunisti di Lugo
Il Corriere della Sera del 25 ottobre 1927 dà questo resoconto del processo di 14 comunisti di Lugo:
“Il 1 marzo 1927 il comunista Alfredo Tamburini morì di tubercolosi a Voltana di Lugo. I suoi compagni colsero l’occasione del funerale, il giorno dopo, per improvvisare una dimostrazione sovversiva. Incitati da essi un certo numero di operai lasciarono il lavoro e si unirono al corteo, portando all’occhiello un garofano rosso”.
Per questo delitto il Tribunale speciale il 25 ottobre 1927 condannò 3 persone a 5 anni, 5 a 3 anni, 2 ad 1 anno di prigione “avendo approfittato di un funerale per inscenare una dimostrazione sovversiva e fare propaganda per la dottrina e il programma del disciolto partito comunista”.
Processo Graziano e Rossetti
Il Corriere della Sera del 13 novembre 1927 pubblicava:
“Il Tribunale speciale ha processato Marino Graziano e Giorgina Rossetti di Mongrando (Biella) accusati di complotto contro la sicurezza dello Stato e di incitamento alla guerra civile col mezzo di sedizione e clandestine pubblicazioni. Graziano e Rossetti, che erano fidanzati, sono descritti, nei rapporti della polizia, come appartenenti al partito comunista, e noti per la propaganda che essi facevano tra i lavoratori nella provincia di Biella. Copie di giornali comunisti erano state trovate nella casa del Graziano e manifestini di carattere sedizioso – stampati dallo stesso Graziano – erano stati sequestrati in casa della sua fidanzata. Nell’istruttoria il Graziano ammise di avere stampato e distribuito manifestini sediziosi tra i suoi compagni di lavoro, ma negò che la sua fidanzata fosse a conoscenza della cosa o che sapesse che egli era comunista.
‘Come, dunque – domandò il presidente – una gran parte di quel materiale è stato trovato nella casa della Rossetti?’. Il Graziano rispose: ‘Perché quel materiale era mio, e non potevo tenerlo in casa perché la mia famiglia non ce lo voleva’. La Rossetti negò di essere comunista e dichiarò di non sapere che il fidanzato facesse propaganda comunista. Tre carabinieri ripeterono che entrambi, il Graziano e la fidanzata, erano comunisti. Il Tribunale condannò i due a 18 anni di prigione.”
Processo dei comunisti di Firenze
Nel gennaio 1928, 20 comunisti di Firenze furono processati per aver tenuto una riunione nella casa di uno di loro, il 13 ottobre 1924, cioè quando il Partito comunista era un’associazione legale, e due anni prima che fosse disciolto. Parecchi giovani, armati di revolver, presero parte a quel “meeting”. Si discusse la proposta di costituire delle squadre armate del tipo di quelle fasciste. L’amnistia del 31 luglio 1925, cancellò questo reato politico. Ciò nonostante i venti furono arrestati nel 1927. Nel gennaio 1928, al processo, il P.M. sostenne la seguente teoria:
“È vero che nel luglio 1925 un’amnistia fu concessa, ma bisogna tenere a mente che i delitti di cospirazione o di costituzione di bande armate sono permanenti, cioè durano fino a che i colpevoli non danno prova esplicita di aver rinunziato a delinquere. Spetta agli accusati dare questa prova”. (Corriere della Sera, 31 gennaio 1928).
Su tale base il P.M. domandò la condanna di 15 su 20 imputati. Per il deputato Damen propose 10 anni di carcere. Il Tribunale assolse 9 imputati e rincarò la dose di Damen, dandogli 12 anni di prigione.
Comunisti, giovani e vecchi, tanti, che non combattevano certo il fascismo convinti di aver abbracciato una causa persa. Comunisti neppure lontanamente sfiorati dal pensiero che, Gramsci in testa, i loro capi fossero in qualche modo corresponsabili, potessero avere in qualche modo favorito, ad esempio, l’istituzione del Tribunale speciale che, condannando a morte e fucilando l’anarchico Michele Schirru per aver volontariamente confessato, alla scoperta di bombe nella sua camera, l’intenzione di attentare alla vita di Mussolini, dimostrò che il fascismo aveva creato anche il delitto di intenzione.
Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, istituito con la legge n. 2008 del 25 novembre 1926, che, seppur istituito, come annunciò Mussolini, quale misura di carattere straordinario la cui durata sarebbe stata di cinque anni, restò attivo fino al 23 luglio del 1943.
La prima sentenza, 1 febbraio 1927, è contro due operai condannati a nove mesi di reclusione per il delitto di “offese al Duce” per essersi rammaricati del fallimento dell’attentato contro Mussolini dell’anarchico Gino Lucetti.
I giudici, membri del partito fascista, dovevano prestare giuramento a Mussolini: “Giuro di obbedire agli ordini del Duce senza discuterli, e di servire la causa della rivoluzione fascista con tutte le mie forze e se necessario col mio sangue”. Contro le sentenze non era ammesso né l’appello né il ricorso.
Tribunale che ha inflitto fino a 7 anni di prigione a persone il cui solo delitto era stato quello di aver raccolto denari per soccorrere i condannati e le loro famiglie, “perché chi aiuta i prigionieri politici e i loro cari rafforza la volontà di commettere crimini”. Tribunale che ha condannato a 2 anni di prigione donne appartenenti a famiglie di condannati che avevano accettato soccorsi per non morire di fame. Tribunale che in parecchi casi aggravava la pena corporale con pene pecuniarie talvolta assai elevate – fino a 70.000 lire – le quali significavano spesso per l’accusato la confisca di tutto quanto egli possedeva.
Doverosa premessa affinché coloro i quali sono stati testimoni degli eventi non si fingano smemorati e chi per età non può ricordare sia portato a conoscenza che quell’Unità, che per un certo periodo risultò essere fondata, ricorderà chi non ama nascondersi frequentemente dietro un dito, da Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti (Ercole), non fu una fucina di opportunisti, bensì incarnò le speranze, gli ideali, li si condivida o no, di chi non li rinnegò neppure di fronte al plotone d’esecuzione.
Chi sembra proprio non avere più niente a che fare, non certo per paradosso, con quell’Unità che, peraltro, non nascondeva, sottotitolandosi, di essere l’Organo del Partito Comunista Italiano quando oggi, quasi fosse una vergogna, per sapere che è Quotidiano del Pds bisogna cercare col lanternino e con quattro lenti d’ingrandimento nelle pagine interne, è Walter Veltroni.
Walter Veltroni che, indignatissimo, non ha perso l’occasione di rinfacciare a La Malfa l’indigeribile legge Mammì: “La Malfa dice che la legge Mammì non va bene. Lo poteva dire prima, quando noi facemmo una battaglia campale con proposte che appartenevano a una vera cultura liberal-democratica. Dov’era La Malfa?…Adesso c’è la prova che la legge Mammì è stata un vero attentato alla qualità della democrazia nel nostro Paese”.
“Dov’era La Malfa?” si è chiesto indignatissimo Veltroni, sdoppiato, si ha l’impressone, poiché se un Veltroni faceva “una battaglia campale con proposte che appartenevano ad una vera cultura liberal-democratica, un altro Veltroni, appurato che “se i progressisti, o gli ex comunisti di Achille Occhetto, all’epoca della scandalosa approvazione dell’invereconda e fatale legge Mammì non si fossero scandalosamente astenuti al momento del voto a Montecitorio, trasformandosi così in complici volontari dei socialisti o dei democristiani, non si sarebbero trovati fra i piedi improvvisamente il Criceto Berlusconi pigliatutto..”, si rendeva corresponsabile dell’approvazione dell’invereconda e fatale legge Mammì in compagnia di un considerevole numero di seguaci di Catone Secondo, a cui piacevano le cause perse, piuttosto che seguaci di Antonio Gramsci di cui ci si ostina, però a tenere vivo il giornale.
Progressisti o ex comunisti additati dalla Voce, sia chiaro subito a tutti, nessuno escluso, dal giornale di chi sull’Unità, diretta da Walter Veltroni, viene portato ad esempio da seguire: “…a Indro Montanelli, come si usa, ‘100 di questi giorni’, auguriamo anche a tutti noi di tenere bene a mente, sempre, l’esempio”. L’esempio di colui il quale quando non ha motivo d’ingraziarseli ritenendoli “forse la sinistra migliore”, non tira in ballo alcun forse se è di umore contrario: “è il solito imbroglio dei comunisti, che rimangono se stessi anche quando cambiano veste e assumono quella di riformatori”.
Dov’era Montanelli quando non pochi comunisti, vecchi e giovani, marcivano nelle patrie galere fasciste, magari per aver distribuito l’Unità clandestina, magari per l’affermazione del loro credo politico (in un regime che lo perseguitava)? Necessaria parentesi per chi ha la memoria labile o per chi ignora.
Dov’era Montanelli? All’Unità non hanno dubbi:
“…si arruola volontario per la guerra d’Africa. È il 1935…Il soldato Indro Montanelli scrisse Ventesimo battaglione Eritreo, un diario di guerra che gli valse la promessa di un’assunzione al Corriere della Sera. Ma intanto è inviato dal Messaggero alla guerra di Spagna, nel ’37…”.
“…sollecitai raccomandazioni per fare l’ufficiale in Abissinia”, ha risposto Indro Montanelli al finto processo di Cortina. “Io avevo la cultura coloniale. A 25 anni pensavo, intriso di letture di Kipling, che anche l’Italia dovesse avere un posto al sole”. E “A Leonardo Gana, uomo e gerarca” dedica il libro (tra “i libri della vittoria”) Guerra e Pace in A.O. (Vallecchi, giugno 1937-XV) in cui si legge, tra l’altro:
“Gli operai lavoravano e cantavano, cantavano e lavoravano. In un batter d’occhio gli ascari impararono anche loro che Mussolini è la nostra fede e la nostra forza e poi la nostra forza e la nostra fede”.
Esempio da tenere bene a mente, sempre, ha sottolineato l’Unità diretta da Walter Veltroni, dalla quale si continua a trarre:
“…Ma intanto è inviato dal Messaggero alla guerra di Spagna, nel ’37, e della resa della guarnigione repubblicana ormai sfinita e senza viveri, a Santander, scrive che è stata ‘una passeggiata militare con un solo nemico, il caldo’. Risultato: espulsione dal partito e dall’albo professionale per disfattismo, oltre un anno di esilio in Finlandia dove assiste alla avanzata delle truppe sovietiche e ne attende l’arrivo nella ormai deserta Helsinki bevendo champagne e facendo l’amore con una inviata americana, Marta Gellhorn, che sarà poi moglie di Hemingway. Comunque riesce a tornare al Corriere…”.
Unità che non ha tralasciato di cercare il pelo nell’uovo finanche tra le coltri di Montanelli, per esaltarne in ogni aspetto la figura: evidentemente gli esempi di un altro genere di antifascisti, tipo quello di Emilio Chiri, non hanno la medesima considerazione.
Il 17 agosto 1938 la Questura di Torino segnala il rinvenimento di 600 copie dell’Unità clandestina nei pressi della Fiat Ferriere. Segue l’arresto di Emilio Chiri, l’emissario comunista cui si attribuisce il lavoro di riorganizzazione clandestina all’officina Rassetti dove, dice un brano della sentenza del Tribunale speciale, “i comunisti esercitavano grande influenza”, e alle Ferriere. L’arresto di Emilio Chiri e dei suoi presunti collaboratori, cinque militanti di vecchia data sulla “piazza torinese”; seguono altri 24 arresti, tutti operai, sotto l’accusa di preparare azioni contro il regime.
La sentenza del Tribunale speciale contro Chiri, sei anni di reclusione, fa esplicito riferimento alla guerra di Spagna e all’azione appena stroncata all’interno delle officine metalmeccaniche Rassetti, un complesso con stabilimenti in corso Ciriè e in via Salerno e 700-800 dipendenti altamente specializzati: reclutamento di brigate antifasciste, sottoscrizioni in favore del fronte antifranchista, propaganda contro il regime in camicia nera, ascolto di Radio Madrid e Radio Barcellona libere.
“Nel ‘37” – anno in cui il 35 per cento dei confinati fu condannato, non guasta rammentare, su scala nazionale, per fatti connessi in qualche modo con la guerra di Spagna: tentato espatrio, disfattismo, contatti epistolari con le organizzazioni di arruolamento in Francia, ascolto di Radio Barcellona, raccolta fondi, propaganda – Montanelli fu “espulso dal partito e dall’albo professionale per disfattismo” per aver scritto cha la battaglia di Santander era stata “una passeggiata militare con un solo nemico, il caldo”; “oltre un anno di esilio in Finlandia dove assiste alla avanzata delle truppe sovietiche e ne attende l’arrivo nella ormai deserta Helsinki bevendo champagne e facendo l’amore con un’inviata americana, Marta Gellhorn, che sarà poi moglie di Hemingway”.
Ignorato l’Unità, diretta da Walter Veltroni, che il 35 per cento dei confinati in quel periodo fu condannato, su scala nazionale, per fatti connessi in qualche modo con la guerra di Spagna.
Ignorato l’Unità, diretta da Walter Veltroni, che al confino ci si finiva per molto meno, guerra o non guerra di Spagna, disfattisti o non disfattisti che si potesse essere, come insegna il “caso” del professor Sirio Attilio Nulli, espulso dall’insegnamento di lettere e filosofia in un liceo di Milano perché si rifiutava di fare il saluto fascista, poi assegnato al confino di polizia, e in seguito morto suicida.
L’Unità, prodiga di dettagli che solo il buco di una serratura poteva svelare, individua Montanelli, anziché al confino o in carcere, in Finlandia: “…oltre un anno di esilio in Finlandia dove assiste alla avanzata delle truppe sovietiche”, tra le braccia di un’inviata americana che sarà poi moglie di Hemingway. Disfattista “espulso dal partito e dall’albo professionale” che, “comunque, riesce a tornare al Corriere”, quello stesso Montanelli, non esistendone due, che l’Unità, diretta da Walter Veltroni, annovera tra coloro i quali provavano disgusto per il fascismo.
Quel “grande vecchio dell’Italia moderata” portato in trionfo alla festa nazionale dell’Unità, con l’augurio di Giampaolo Pansa, genuflesso, “con l‘indipendenza di giudizio che gli è propria”, in preghiera: “Noi preghiamo il Padreterno di poter essere lì” (alla prossima festa nazionale dell’Unità) “a reggerti la coda”. Quel “mitico Indro”, quel “magico Montanelli”, espulso dal partito fascista e radiato dall’albo dei giornalisti da Mussolini e dai suoi leccapiedi, che dal ’37, data dell’espulsione, vanta di essere passato nelle file dell’antifascismo anziché essersi limitato, scegliendo certamente una posizione più comoda, a fare la fronda all’interno del regime; “…un anno di esilio in Finlandia dove assiste alla avanzata delle truppe sovietiche…”, ha evidenziato l’Unità, diretta da Walter Veltroni, con dovizia di particolari, finanche intimi, per la gioia dei suoi lettori, oggi così attenti, e per la gioia di Montanelli.
L’anno di esilio in Finlandia, ad esempio, è tutta un’invenzione dell’Unità, in quanto Montanelli fu destinato a dirigere, non certo quale propugnatore di idee contrarie al regime, un piccolo istituto italiano di cultura, quello di Tallin, in Estonia, dove fu anche insegnante di letteratura italiana all’università di Tartu, grazie all’interessamento di Bottai, a cui si era rivolto, lui, che tanto inveisce contro i leccapiedi di Mussolini, per chiedere aiuto.
Giuseppe Bottai, tra i fondatori del fascismo, ministro delle corporazioni (1929-32), elaborò la Carta del lavoro (1927), base dell’ordinamento corporativo; fu poi ministro dell’educazione nazionale (1936-43).
Le truppe sovietiche arrivarono, sì, in Finlandia, ma molto dopo, come testimoniano la storia, non le storie dell’Unità, diretta da Walter Veltroni, e lo stesso Montanelli, ben reintegrato nel regime delle camicie nere, tanto che sollecitò lui, pubblicamente, di essere richiamato alle armi, come si può leggere dalla sua introduzione e dedica al suo libro I cento giorni della Finlandia (Garzanti, 10.6.1940-XVIII):
“…Anche per questo ho accettato il fatto compiuto del libro composto così di soli articoli, ad essi aggiungendo solo questo, della prefazione, che è quanto posso fare nella pausa di pochi giorni, correnti fra il mio ritorno in Italia e il sollecitato richiamo alle armi (perché ‘quello della Finlandia’ ha trent’anni e, oltre che della Finlandia, può essere ancora di qualche altra cosa)…”.
La guerra e gli ebrei
“La guerra, ecco una parola che qualcuno ancora ama sentir pronunziare, ma non per belliche virtù che esplicandosi sui campi di battaglia a lui diano il meritato alloro della gloria, ma perché sempre ha visto in essa la sorgente inesauribile per le sue losche attività peculiari.
I nomadi figli di Israele (giacché sono nomadi perché in Italia ancora ristanno?) hanno associato alla loro fortuna una parola: guerra.
Sangue vuole il loro Dio in cambio di oro, sangue dunque spargano gli infedeli affinché si accresca il pingue forziere del popolo eletto.
Mentre il combattente cade alla frontiera, mentre il lavoratore sta nell’officina, mentre il popolo intero memore degli avi, sopporta con fierezza ogni sacrificio, i pochi (purtroppo ancora troppi) ebrei rimasti tra noi per generosità fascista stanno dando prova di quanto valga la loro razza tale da aprire gli occhi anche ai ciechi e da fare gridare i muti.
Dovunque c’è truffa, dovunque c’è accaparramento e traffico illecito, dovunque c’è in una parola una attività volta contro il popolo e contro lo Stato ivi c’è l’ebreo ingordo.
Se Cicerone potesse parlare, con più veemenza pronuncerebbe il suo ‘Usque tandem abuteris patientia nostra’. Però se la bocca degli avi sotto la sacra zolla non può più parlare, il loro esempio luminoso ci sta d’innanzi, e noi sapremo essere degni di loro.
Ora è la volta del bolscevismo, poi sotto a chi tocca”. (VINCERE, distribuzione gratuita, 15 novembre 1941-XX).
“In questo paese, devastato da picconatori e da pataccari, è il tempo della serietà, del rigore, del coraggio. È il tempo che venga il nuovo”, ha scritto sull’Unità Walter Veltroni.
Ma se il nuovo è l’Unità diretta da Walter Veltroni (o altri come lui), meglio il vecchio di coloro i quali, colpiti a gruppi massicci dal Tribunale speciale, fornivano il maggior contingente alle galere fasciste, piuttosto che un nuovo genere di voltagabbana il cui unico ideale, comunque, rimane il proprio tornaconto: il che con l’Unità, il giornale fondato da Antonio Gramsci, non ha nulla a che spartire.
( TUTTI ZITTI è un’edizione fuori commercio di 48 pagine, cui ha fatto seguito una seconda parte dattiloscritta. TUTTI ZITTI, fedeli al titolo, persino chi, come Vittorio Sgarbi, lo ha giudicato “veramente divertente e vero”. TUTTI ZITTI, fedeli al titolo e ai sottotitoli, VILI, CONNIVENTI E COMPLICI – ANTIDEMOCRATICI DI IERI, ANTIDEMOCRATICI DI OGGI, Famiglia Cristiana che concludeva: “La ringraziamo per il contributo di idee e per le sue riflessioni, puntuali e competenti, che costituiranno sicuramente uno stimolo e offriranno spunti al nostro lavoro e al dibattito interno”, anziché, con una recensione o con un’inchiesta, portare a conoscenza dei lettori le menzogne in esso fedelmente circostanziate, il muro dell’omertà eretto perché Tizio, Caio e Sempronio non venissero sconfessati, la censura stessa.
TUTTI ZITTI, “insensibili”: 79 (se non di più) personaggi pubblici, non pochi dei quali, in altre circostanze, si dimostrano veri e propri fiumi in piena; 35 (se non di più) testate giornalistiche che, se non nuoce, non negano spazio a chicchessia.
Per contattare Silvano Strazza, autore anche dei recenti L’ITALIA ILLEGALE DEL CONDISCENDENTE PRESIDENTE ED EX PRESIDENTE CARLO AZEGLIO CIAMPI – inimmaginabile realtà e IL PERPETUO IMBROGLIO, indirizzare a: Silvano Strazza – Casella Postale n. 1141 – 16121 Genova Centro; e-mail: silvanostrazza@libero.it )