CANDIDATI, PROGRAMMI, ILLUSIONI E CERTEZZE

Giorni di pre-candidature con una infinità di commenti che spesso vengono regolarmente smentiti dai fatti, di programmi più o meno velleitari, di molta incertezza mentre l’unica cosa che non cambia sembra il fatto che Veltroni non “recupera”, anzi, secondo i sondaggi della settimana il distacco con il PDL si allarga. Concentriamoci allora su quanto scritto nei programmi elettorali che a leggere in trasparenza sembrano avere poche differenze ma in realtà – al di là delle etichette – sottolineano approcci molto diversi. Chi si stacca dal coro è soprattutto la Sinistra arcobaleno (superata alla sua sinistra da un altro microcosmo di ultrasinistri) che porta avanti parole vetuste ma destinate ad un ben determinato segmento sociale di cui si è fatta garante e portavoce. Una sinistra che vent’anni fa rappresentava con il PCI ben un terzo dell’elettorato italiano sembra con gli “Arcobaleno”destinata a rappresentare come in Spagna, in Francia ma anche a Mosca un segmento irriducibile ma convinto. C’è da chiedersi come potessero fino a ieri governare insieme al PD che invece non perde occasione per staccarsi dal suo passato storico considerato imbarazzante, ad esempio candidando persone teoricamente agli antipodi. Nei programmi il PD sconfina perfino su temi cari al centro-destra comprendendo bene che chi insegue deve raccogliere in campo altrui per riempire il granaio. Alcune cose però non convincono molto come i candidati-etichetta e che a volte spariscono subito per strada (come la dipendente ASL di Borgomanero “dipendente-tipo” e indicata come capolista, ma che si è scoperto poi non essere mai stata presente al lavoro negli ultimi sei anni). Soprattutto Veltroni punta molto sull’immagine e sembra voler far dimenticare l’esperienza di Prodi – sparito perfino dai TG – anche se lo stesso programma democratico non può prescindere dalla gravità della situazione né da un minimo di continuità con quello dei ministri uscenti, presenti quasi tutti nelle liste del partito. Il rischio del PD è di sostituire una parte del proprio elettorato storico ma allo stesso tempo, in prospettiva, Veltroni sa che può anche permettersi di perdere queste elezioni pur di essere incoronato e riconosciuto (anche a livello internazionale) come credibile leader della prossima opposizione. Veltroni sa benissimo che l’Italia è a pezzi e che la protesta sociale è reale, legata alla perdita di potere d’acquisto delle classi più disagiate, sa di portarne la responsabilità morale dopo un biennio di governo fallimentare e in fondo in fondo spera che Berlusconi gli tolga le castagne dal fuoco. Questa è la sostanza perchè il resto è forma, teatro, come teatro sono state le frizioni con i Radicali (che hanno perso la faccia nel braccio di ferro teso ad una migliore rappresentanza nelle liste) mentre semmai più gravi sono i silenziosi scontri interni tra le varie “anime” che compongono lo scenario PD.
Veniamo al Centro di Casini che rischia di uscire molto ridimensionato, soprattutto al senato, dal voto del 13 aprile anche se non è detto che in futuro – davanti ad ipotesi ministeriali – non si crei presto qualche accordo tecnico con il Cavaliere dal quale lo dividono aspetti caratteriali ma non certo sostanziali diversità di programmi. Vedrete il miracolo che farà l’offerta di qualche poltrona “tecnica” in cambio di un patto di non aggressione. Da questo punto di vista, infatti, trovo che l’UDC sia una aperta contraddizione con sé stesso in quanto attacca Berlusconi ma poi non c’è una virgola concreta di diversità rispetto al programma del PDL.
Al concreto mi chiedo cosa servirà piuttosto votare UDC, soprattutto al Senato, quando la speranza di raccogliere l’8% appare in molte regioni (come in Piemonte) del tutto fuori dalla portata del partito.
Nel nuovo Partito delle Libertà prosegue intanto a tappe forzate l’unione di fatto tra FI ed AN, con qualche mal di pancia all’interno delle rispettive strutture ma aperto consenso da parte dell’elettorato che ha già metabolizzato il nuovo partito. Fini gioca di rimessa all’ombra del Cavaliere, punta probabilmente alla presidenza della Camera da dove avrà un ruolo più indipendente e di garanzia rispetto all’essere numero due al governo. Stupisce la compostezza del Cavaliere che è sincero quando dice “Siamo dei matti a volerci prendere in mano una situazione così”. Berlusconi credo che odia fare il leader di partito ma si diverta invece un sacco quando la gente lo acclama: gli piace prendersi in mano le responsabilità, essere il comandante in capo e amerebbe soprattutto essere ricordato come il leader capace di aver riassestato l’ Italia. Berlusconi è quello che è finalmente sé stesso nel trascinare e scaldare la “sua” platea, quello che lancia in aria i fogli del programma avversario, che ride, che una volta di più rompe i canoni della politica anche in modo “politicamente scorretto”. Eppure – se osservate – Berlusconi è più conscio del passato sulle sue responsabilità ed infatti il programma del PDL rispecchia il momento di difficoltà economica e sembra più cauto nelle proposte, ma anche più realistico. Il Cavaliere sembra soprattutto molto determinato nel voler rispettare i tempi del proposto cambiamento, con una sventagliata di decreti-legge da far approvare al più presto. Sa che avrà poco tempo prima del prevedibile attacco dei sindacati, di qualche magistrato, di una parte della “Kultura”, di tante trasmissioni TV che – fregandosene della par condicio – quotidianamente sono tuttora apertamente schierate a sinistra. Al PDL fa da sponda la Lega Nord che – grazie al premio di maggioranza – dovrebbe comunque incrementare il numero dei propri seggi e verifica con soddisfazione come molti punti leghisti siano diventati di tutti, a cominciare dal forte bisogno di sicurezza che domina l’elettorato. Stonano invece decisamente – a mio avviso – certe impuntature alla Calderoni mentre molto più credibili sono Maroni e Castelli, che sanno parlar chiaro senza offendere nessuno.
Resta l’estrema destra di Daniela Santanchè che ogni giorno che passa conferma come ben difficilmente si avvicinerà ad un quoziente elettorale e che è stata presa nettamente in contropiede dal troppo rapido mutare degli eventi e delle alleanze elettorali. Anche perché – un po’ come per l’UDC – il programma della Destra è di fatto quello del PDL da cui ci si stacca solo per critiche ed attacchi personali agli ex alleati, ma senza una parola veramente alternativa.

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