Il Tribunale internazionale per il Libano – un Tribunale simbolico formato da giuristi di paesi diversi, e riunitosi a Bruxelles dal 22 al 24 febbraio scorso – ha condannato Israele per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio. A Claudio Moffa, docente dell’Università di Teramo e avvocato, che nella Giuria ha svolto la funzione di relatore, abbiano chiesto di raccontarci e spiegarci il contenuto del verdetto finale e più in generale il significato dell’iniziativa, ultimo esempio di una lunga “scuola” di tribunali simbolici pacifisti, inaugurata ormai più di 30 anni fa dal Tribunale Russel sul Vietnam.
CANZANO 1- Israele condannato a Bruxelles per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Puoi raccontare quel che è accaduto a Bruxelles, e cosa è il Tribunale internazionale dei cittadini per il Libano?
MOFFA – Comincio dalla fine. Il collega di Giuria Adolfo Abascal, cubano, legge nella sala della Maison des Associations internationales il testo del verdetto finale contenente l’elencazione dei fatti e le argomentazioni di diritto in base a cui le autorità israeliane, responsabili della guerra contro il Libano del luglio agosto 2006, sono condannate non solo per crimini di guerra e contro l’umanità, ma anche per genocidio. Appena pronunciati questi capi d’accusa finali, rievocativi degli articoli 6,7,8 dello Statuto del Tribunale Penale Internazionale, la sala, affollatissima di gente proveniente da tanti paesi – c’erano anche molti italiani – si alza tutta in piedi. L’applauso dura diversi minuti. Soprattutto i fratelli libanesi, i tanti testimoni che si erano succeduti nei due giorni precedenti con il loro racconto dei fatti, sono visibilmente emozionati: ma il sentimento di compartecipazione è di tutti, e io stesso che uscivo da una notte pressoché insonne perché impegnato a scrivere come relatore della Giuria il testo finale del verdetto, sono rimasto molto colpito da questa esperienza. Mi sono ricordato in quel momento di quando ero ragazzo e andavo ai cortei per il Vietnam sotto l’ambasciata americana: all’epoca c’era il Tribunale Russell, il Tribunale per il Libano è sulla scia di quella esperienza storica di grandissimo rilievo simbolico, anche se allo stesso tempo, ovviamente, di carattere militante e pacifista.
CANZANO 2- Un Tribunale necessita di prove per accertare la responsabilità dei condannati. Quali sono?
MOFFA – Lilia Ghanem, docente libanese della Sorbonne, e promotrice e organizzatrice dell’iniziativa, è stata bravissima a far arrivare a Bruxelles tantissimi testimoni chiave della guerra del 2006: le autorità belghe hanno bloccato alla frontiera alcuni cittadini libanesi che provenivano direttamente da Beirut, ma molti altri sono riusciti ad entrare, assieme ai loro avvocati, giuristi di primo ordine come Albert Farhat, che avevo conosciuto in Libia una ventina d’anni fa, come Issam Naaman, ex ministro libanese, Mohamed Tay e Hassan Jouny, docente all’Università di Beirut. Gli avvocati hanno letto l’atto d’accusa, che peraltro non conteneva il crimine di genocidio, e poi hanno fatto sfilare i testimoni: racconti di case bombardate, villaggi distrutti, attacchi a convogli di auto civili in fuga, a unità mediche di soccorso, e poi ancora bombardamenti a tappeto di strade, ponti, porti, fabbriche, con conseguente inquinamento dell’aria e del litorale. Un bilancio pauroso, in appena un mese e mezzo di guerra, con più di mille vittime e interi quartieri rasi al suolo: in assoluto, certo, come ha sostenuto un intervento di un esperta italiana, si può dire che la guerra di Israele contro il Libano, ha prodotto meno danni di quelli della guerra in Afghanistan o in Iraq. Ma questa tesi decontestualizza l’evento: i 45 giorni di inferno della guerra “fai da te” di Israele contro il Libano, sono stati cento volte più disastrosi delle guerre d’Israele per interposti Stati, come quelle contro l’Iraq. E’ il concentrato di violenza a tutto campo che colpisce della guerra scatenata il 12 luglio 2006 e conclusasi il 24 agosto successivo.
Le prove della possibile e anzi doverosa condanna di Israele? Non solo le testimonianze scritte e orali ma anche – e forse direi soprattutto – le foto: in effetti le immagini proiettate nella sala della Maison des Associations Internationales sono risultate, almeno per me, di importanza cruciale. Ictu oculi, è stato possibile accertare la colpevolezza delle autorità israeliane, e sostanziare giuridicamente la stessa accusa di genocidio.
CANZANO 3- Dicevi che l’accusa di genocidio non era compresa fra le incriminazioni richieste nell’atto d’accusa. Siete dunque andati oltre, come Giuria, gli stessi avvocati delle vittime libanesi della guerra?
MOFFA – Qui siamo andati oltre, perché ce ne erano gli elementi, in altre situazioni non abbiamo avallato alcune testimonianze cassando le specifiche e correlate accuse: in altre ancora abbiano assunto come valide le tesi proposte dell’accusa. Insomma tutta l’iniziativa del Tribunale per il Libano e del suo processo simbolico contro le autorità israeliane, si è svolta su un doppio binario: da una parte – è inutile negarlo – si è trattato di una iniziativa simbolico-militante, come del resto fu ai tempi del Vietnam l’esempio maestro del Tribunale Russell; dall’altra, però, le accuse e la condanna sono state sostanziate su argomentazioni e procedure di tipo giuridico, in modo sostanzialmente rigoroso e attento alla verità dei fatti.
Faccio tre esempi dell’autonomia della Giuria in quanto tale, dai sentimenti e le argomentazioni dei fratelli libanesi vittime della guerra: primo esempio, la tesi dell’aggressione in quanto “reazione” di Israele alla cattura da parte degli Hezbollah di due soldati di Tel Aviv. Che questi avessero o no sconfinato oltre la linea blu di confine, il verdetto finale ha ripreso in toto le argomentazioni ineccepibili dell’avvocato Farhat, quali si possono leggere nel testo. Secondo esempio, la questione delle bombe all’uranio: l’accusa l’ha sostenuta, e un testimone si è dilungato nel cercare di dimostrare l’uso di queste armi da parte israeliana: me per noi le prove non sono state sufficienti, perché l’uso di queste armi non è stato confermato né dalla Commissione di inchiesta delle Nazioni Unite né dall’indagine svolta più o meno contemporaneamente – nell’autunno del 2006 – dall’Associazione dei Giuristi americani guidata da un giurista eccezionale, Hugo Ruiz Diaz Balbuena.
Terzo esempio, già detto, il genocidio. La nostra argomentazione si è basata su due fatti, da una parte la violenza e la dimensione dell’aggressione israeliana, e dall’altra la lettera dell’art. 6 dello Statuto del Tribunale penale internazionale: una codificazione estesa, che recita l’imputabilità di questo crimine nei confronti di chi “intende” distruggere non solo un “gruppo nazionale, etnico, religioso…etc”, ma anche solo una “parte” di esso. Non entro nel merito di tale codificazione che riprende quella del Tribunale di Norimberga e della Convenzione di Ginevra del 1948, e che permette di dire che oggi più che mai, l’operazione “genocidio” è soprattutto un evento politico-mediatico: è un fatto comunque che la guerra di Israele contro il Libano rientra perfettamente dentro questa fattispecie giuridica. Un esperto intervenuto durante il processo, ha peraltro mostrato due inquietanti mappe del Libano, da cui risulta che l’area dei bombardamenti israeliani corrisponde più o meno a quella delle regioni più povere del paese.
CANZANO 4- Hai fatto un accenno alla dimensione massmediatica della guerra. Il processo di Bruxelles come è stato trattato dalla stampa belga e internazionale?
MOFFA – Più o meno silenzio assoluto in Belgio e in Occidente, e grande interesse da parte dei mass media arabi presenti ai lavori del Tribunale, che hanno ripetutamente intervistato il sottoscritto, gli altri giudici e i testimoni su quanto sentivano e registravano alla Maison des Associations Internationales. Ma questo è un déjà-vu tipico della nostra epoca: ricordo che negli anni Settanta e Ottanta, era normale per la stampa occidentale avere come punti di riferimento anche la grande stampa araba, classico l’esempio all’epoca del quotidiano egiziano Al Ahram. Oggi lo scontro di civiltà scatenato dall’oltranzismo occidentale, Israele e Stati Uniti in testa, ha prodotto un fossato anche tra questi specifici due mondi, interni agli universi del cosiddetto mondo libero e del pianeta islamico-arabo. Non sono solo due linguaggi, ma due “percezioni” diverse, con la professionalità occidentale e la sua credibilità allo sbaraglio: si può dissentire quanto si vuole dai lavori e dalle conclusioni del Tribunale internazionale per il Libano, ma “negare” l’evento ignorandolo completamente, è indice di malafede e di cattiva coscienza.
BIOGRAFIA
Claudio Moffa è avvocato e professore ordinario di Storia e Diritto dei Paesi dell’Africa e dell’Asia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Teramo. Ha cominciato la sua attività professionale come giornalista lavorando nella redazione di Lotta continua e di Paese sera, fino ad acquisire nel 1985 il titolo di giornalista professionista. Deluso per la censura diffusa, negli anni della rivoluzione afghana, su tutto quello che veniva rozzamente definito come “filosovietismo”, nella seconda metà degli anni Ottanta optava per la carriera universitaria continuando però a mantenere rapporti di collaborazione con numerose testate giornalistiche (quotidiani: La Stampa, Corriere della Sera, Gr RAI, Radio Raitre, Avvenire, L’Eco di Bergamo, La Sicilia , L’Ora, Il Centro, etc.: e fra i periodici Panorama, L’Espresso, PM). Come ricercatore prima e docente poi, ha scritto una decina di libri – fra cui L’Afrique à la peripherie de l’histoire, Premio Cultura Presidenza del Consiglio italiana, Roma 1993 e Parigi 1994) – e ha collaborato con numerosi saggi a importanti riviste specialistiche italiane e straniere (Politique Africaine, Le monde diplomatique, Limes, Studi Piacentini, Politica Internazionale, Africa, Africana, Estudia Africana, Rivista di Storia contemporanea, Giano, Marxismo oggi, Euntes Docete). Negli anni Novanta si è occupato anche di immigrazione dirigendo un progetto internazionale finanziato dall’Unione Europea (ODEG) e partecipando al Comitato scientifico del progetto internazionale Intemigra. Spinto da esperienze personali ad avvicinarsi al misterioso e “complesso” mondo della “giustizia” italiana, ha maturato negli anni una sempre più approfondita conoscenza delle tematiche giuridiche insegnando, come avvocato e studioso di diritto, presso la SIOI di Roma (Società Italiana Organizzazione Internazionale); collaborando alla rivista dell'Ordine degli Avvocati di Roma, e pubblicando numerosi saggi sulla questione nazionale nell’epoca postbipolare con particolare riferimento allo stravolgimento del principio di autodecisione dei popoli dagli anni Novanta ad oggi. Fra i suoi lavori, un libro sul Tribunale penale internazionale per il Ruanda (Vae Victis: la giustizia-vendetta del Tribunale penale internazionale per il Ruanda) di prossima pubblicazione.Da tre anni dirige un master interdisciplinare (Informazione, Diritto, Storia, Culture, Economia) in Vicino e Medio Oriente, intitolato a Enrico Mattei (di cui è un grande ammiratore), dotato di una rosa di docenti autorevolissima (vedi il sito www.mastermatteimedioriente.it) e inaugurato due volte dal presidente sen. Giulio Andreotti: un corso di studi che ha avuto come ospiti docenti, esperti e giornalisti di chiara fama. Gestisce anche un sito di diritto, “21&33” ed è nettamente a favore dell'abolizione di tutti i reati di opinione.