Percorsi inconciliabili?

“La rielezione dei parlamentari, che coincidono con i gruppi dirigenti, a costituire la prima e prevalente preoccupazione delle forze politiche in lizza. Il ragionamento politico, come l’intendenza delle armate napoleoniche, seguirà e si adatterà al calcolo delle convenienze personali”. Relazione introduttiva al dibattito “Unità socialista e unità della sinistra: percorsi inconciliabili?” tenutosi alla Camera del Lavoro di Milano il 4 febbraio 2008.

Dire che attraversiamo un periodo difficile è ormai una banalità, ma ciò non rende meno grave la situazione. Ai problemi propri del nostro sistema politico si sono aggiunti gli scenari di una possibile ed imminente crisi finanziaria e le minacce di guerra sempre incombenti dall’Iran al Medio Oriente, con il conflitto israelo-palestinese, dall’Irak all’Afghanistan; senza contare, per rimanere più vicini a noi, la crisi balcanica, che seguirà alla proclamazione unilaterale dell’indipendenza del Kossovo. E, lo dico per inciso, la vittoria dell’europeista Tadič ci impone un atteggiamento più solidale e responsabile verso la Serbia.
In questo quadro la provinciale sinistra italiana non è stata capace di elaborare grandi iniziative se non la proposta di boicottare la Fiera del Libro di Torino, perché hanno osato indicare Israele come paese ospite. In politica estera la sinistra alternativa italiana è molto emotiva, simbolica e mitologica. Consuma in fretta i suoi idoli, Chavez, Castro ed Evo Morales sono la nuova Trinità: Lula è praticamente un servo del grande capitale.
Nelle situazioni complesse, come è quella italiana, con il fallimento per la seconda volta di un governo Prodi, ma stavolta con un esito certo di scioglimento del Parlamento, occorre avere le idee chiare. Constatiamo che nel giro di pochi mesi, con una destra in difficoltà con i rapporti Fini/Casini da un lato e Berlusconi dall’altro al calor bianco, si è stati capaci di rompere la solidarietà di maggioranza e di presentarsi all’opinione pubblica rissosi e divisi.
La formazione del PD ha indebolito la sinistra nel suo complesso, che già ai tempi dei DS era una delle più deboli d’Europa. Lo spazio lasciato a sinistra dal dislocamento centrista del PD si è rivelato un vuoto di azioni e programmi, senza che i processi di rinnovamento in atto di superamento della frammentazione abbiano innestato una dinamica virtuosa ed impetuosa di riconquista di spazi per una sinistra, ambiziosa di dirigere il Paese o comunque di essere elemento indispensabile di ogni assetto di Governo di centro-sinistra.
La frammentazione socialista e della sinistra nel suo complesso sono un elemento di debolezza e di irritazione per l’opinione pubblica, oltre che di demoralizzazione per iscritti e militanti. In poco tempo si sono esauriti gli impulsi propulsivi della creazione del movimento politico di “Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo” e anche la dinamica della “Costituente Socialista” si è arrestata rispetto a quanto il Congresso di Fiuggi dello SDI e le iniziative di Bertinoro e Chianciano lasciavano presagire.
L’elemento di novità avrebbe potuto essere, nel nome del socialismo europeo, l’incontro della Costituente Socialista e di Sinistra Democratica, ma quest’ultima ha preferito puntare a una riaggregazione più tradizionale, facile e scontata, almeno sulla carta. Tuttavia, ogni progetto di riaggregazione e rinnovamento della sinistra è destinato a fallire, finché prevale la teoria e la pratica delle due sinistre, di cui una riformista e l’altra antagonista o alternativa. Una sinistra che aspiri a dirigere il paese nell’interesse dei lavoratori e delle classi popolari non può che essere una, come negli altri paesi europei o, meglio detto, non può che presentarsi con un'unica formazione politica a vocazione maggioritaria, chiaramente egemone nello schieramento di sinistra.
Questo è lo schema prevalente nel resto d’Europa, soltanto in Italia le divisioni degli anni 20 del XX secolo e del secondo dopoguerra hanno ancora un peso politico attuale. Se la sinistra italiana è la più debole d’Europa, una ragione ci sarà pure nel suo modo di essere, nella sua anomalia. E quando si parla di anomalia italiana sia a riguardo della nostra sinistra sia a riguardo delle ingerenze vaticane, senz'eguali in Europa, ci si crogiola nell'autocompassione invece che porsi il problema di come superare questo stato di cose.
Una normalità italiana non ci sarà senza un forte impegno laicista. Tutt'al contrario, inceve, la subordinazione al Vaticano è persino cresciuta, come la vicenda del PD illustra. E poi persiste a sinistra una certa mentalità per la quale il laicismo non sarebbe che un’ubbia borghese.

Una normalità europea della sinistra italiana non può esistere senza un chiaro ancoraggio al socialismo europeo, quale che sia il nostro giudizio sulle singole politiche di singoli partiti o esponenti. Il socialismo europeo resta l'orizzonte politico-organizzativo e ideale di gran lunga prevalente nel campo progressista. Senza socialismo europeo non c’è vocazione maggioritaria.
Ma tant'è. Il dibattito italiano è svincolato da quello che ha luogo dentro al socialismo francese. Non ha introiettato la lezione spagnola. Quando si va in Germania non si è capaci di andar oltre la “Linke”. Pochi comprendono che senza la SPD il recente successo della “Linke” sarebbe una sconfitta. Se la “Linke” si limitasse a sottrarre voti alla SPD, il risultato, come dimostrano le elezioni in Bassa Sassonia, sarebbe negativo. In Assia, invece, il forte recupero della SPD non ha danneggiato l’affermazione della Linke.
La crisi del governo Prodi è stata provocata dai centristi, i quali spesso avevano fatto mancare il loro sostegno parlamentare (a cominciare da un voto sulla base militare USA di Vicenza). Ma non possiamo nasconderci dietro un dito, dimenticando che lo scontro politico è stato tra la maggioranza di governo e la sinistra, a partire dal pacchetto sul Welfare. Il dissenso era legittimo e nel merito alcune obiezioni all’accordo Governo-Sindacati erano più che fondate.
Ha rivelato una carenza di visione strategica aver trasformato il dissenso da strumento di pressione per ottenere di più, in uno scontro delegittimante verso il Governo, verso l’accordo, verso il ruolo dei sindacati, CGIL compresa, e persino verso il referendum approvativo, cui hanno partecipato milioni di lavoratori e pensionati. La manifestazione del 20 ottobre andava organizzata prima del referendum sindacale: averla promossa “dopo” ha condotto a una contrapposizione tra cortei e voto. Quella vicenda, a prescindere dal merito, è indicativa del fatto che non ci si muove, come nel resto d’Europa, in direzione di un rapporto solido, ancorché paritario e reciprocamente autonomo, tra partito della sinistra e movimento sindacale.
Molti, troppi, a sinistra, considerano esaurita l’attuale esperienza di governo. I motivi di delusione esistono. Però, si trattava di rispondere rilanciando le ragioni dell’alleanza, non di scegliere di stare all’opposizione, perché meno conflittiva. Veltroni con il suo correre da solo e Bertinotti con il de profundis all’esperienza di governo hanno messo la pietra tombale sull’Unione. Non si poteva evitare? O almeno non doveva la sinitra indicare una alternativa: alternativa che l'Arcobaleno è lungi dal delineare.
Il processo viene dominato nei tempi e nelle iniziative dalle oligarchie di partito. E c’è poi un cedimento nelle dichiarazioni di intenti degli esponenti che pur si richiamano al PSE con l’omissione di ogni riferimento al socialismo, quando è stata proprio l’attualità del socialismo nel XXI secolo a rappresentare la discriminante sulla quale i DS si sono sciolti.
Se la sinistra vuole essere nuova, unita, larga e plurale deve abbattere la pregiudiziale antisocialista. E nell’area socialista si deve abbandonare la mentalità dei socialisti con i socialisti, i comunisti con i comunisti: l’incompatibilità tra socialismo democratico e comunismo sovietico è stata risolta a favore del socialismo con il crollo dell’URSS e degli stati satelliti. Ma senza l’impegno di chi proviene da quell’esperienza e da quelle tradizioni non ci sarà mai in Italia una sinistra maggioritaria vincolata al socialismo europeo.
Nutro poche speranze, perché – e non vi sorprenda che il giudizio provenga da un socialista che crede nella via democratica e parlamentare – la sinistra italiana è affetta da una degenerazione parlamentarista nella sua accezione più squallida: la rielezione dei parlamentari, che coincidono con il gruppo dirigente di partito, costituisce la prima e prevalente preoccupazione delle forze politiche in lizza. Per questa ragione si sono perse le elezioni del 2000 al Senato, per questa ragione si è dato impulso ad aggregazioni affrettate e perciò fragili. Il problema principale dei nostri dirigenti è: abbiamo più possibilità di essere rieletti con la Federazione RossoVerde o altrove? E abbiamo più possibilità di essere rieletti in coalizione con il PD, da soli o alleati? Il ragionamento politico, come l’intendenza delle armate napoleoniche, seguirà e si adatterà al calcolo delle convenienze personali.(ADL)

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