Spezzatino all’italiana

di Antonio Suraci

No ai ‘partitini’: un motto elettorale che attraversa trasversalmente sia il Pd che il Pdl. La colpa dell’ingovernabilità è stata individuata, la sentenza è stata scritta a più mani, di destra e di sinistra. Un consociativismo che prelude a ben poche novità nel prossimo futuro. Una sentenza politica che assolve i partiti maggiori e condanna tutti gli altri. Qualcuno sostiene che è la logica della nuova democrazia globalizzata, altri che è una via obbligata per riformare l’Italia, altri ancora, i più onesti, che è solo un modo per far sì che il potere non sfugga ad una cerchia strettissima di politici. Anche in questo caso di destra e di sinistra. Semplifichiamo i termini destra e sinistra per offrire una certa diversità tra il Pd e il Pdl, sebbene entrambi concorrano al centro e grandi differenze, dai comunicati delle ultime ore, non ne ravvisiamo. Retorica ed enfatizzazioni caratterizzeranno questa campagna elettorale, speriamo solo che trovandosi sul filo di lana della vittoria non si trascenda, come in altre circostanze elettorali. Ma torniamo alle colpe e alla sentenza. Innanzitutto, è da rilevare che se crisi di coalizione vi sono state, tutte sono nate all’interno dei partiti maggiori che si sono andati parzialmente nebulizzando e dalle separazioni sono nate le crisi. Unico partito che non si è nebulizzato è Forza Italia; per il resto, abbiamo avuto scissioni tra i cattolici, scissioni tra i post-marxisti e scissioni tra i post-fascisti. Questa malattia di interpretare diversamente il futuro di allora ha contagiato anche repubblicani e socialisti. Mentre i liberali si sono caratterizzati per uno 'spezzatino' che ne ha offuscato il glorioso passato storico. In ogni caso, socialisti e repubblicani negli ultimi quindici anni non sono stati la causa di alcuna crisi politica e sono rimasti all’interno delle coalizioni rappresentando l’anima critica ma coerente. Nemmeno il ricongiungimento tra Bobo Craxi e lo Sdi è stata causa di crisi di governo o di coalizione. I partiti nati dalle costole dell’Ulivo sono numerosi e solo tra gli ex-Pci se ne contano diversi: Rifondazione comunista, Partito dei comunisti italiani, i maggiori; il gruppo di Mussi e Angius, che sono confluiti nella Sinistra Arcobaleno il primo e nei socialisti il secondo; e molti altri ancora di cui non ricordiamo i nomi e le sottosigle. La destra a sua volta, quella post-fascista, ne ha nebulizzati altrettanti: Alessandra Mussolini, Storace per ricordarne alcuni. Anche i cattolici, forse in misura maggiore, si sono spezzettati sia a destra che a sinistra. Questi sono i partitini che vengono accusati di essere la causa di instabilità politica. La guerra fratricida scarica e ha scaricato sulle istituzioni le lotte e gli strascichi di divisioni nate all’interno dei partiti maggiori. Questa è l’unica verità che non viene offerta dalla dirigenza del Pd la quale, al contrario, ritiene di rappresentare il mondo democratico italiano. Al proprio interno si conta di-tutto-un po’: Bindi – Franceschini – Binetti – Parisi – Prodi (unica vera vittima dei giochi fratricidi interni) e il ‘giovane’ acquisto Rutelli, che rappresentano il variegato mondo cattolico di democristiana memoria; i socialisti rappresentati da Amato; i laici, pochini a dire il vero, rappresentati da Bianco, dalla Sbarbati, che comunque rappresentano due diverse concezioni di laicità, e da qualche liberale; i post comunisti Veltroni, D’Alema, Bersani e Fassino che rappresentano le diverse anime del mondo che fu. Questo è il monolitico Partito democratico e ci scusiamo se sono state omesse altre realtà esistenti al proprio interno. Forza Italia, ora Partito della libertà, era ed è rimasta l’erede di quello che fu il vecchio pentapartito: anche all’interno di questo partito si riscontrano diverse opzioni, ma sino ad oggi tutte sono rimaste legate ad un unico programma e progetto. Quella descritta è l’eredità che i dirigenti politici italiani offrono al Paese, una eredità che non viene lasciata alla gestione degli eredi ma che continua ad essere gestita da coloro che dovrebbero rappresentare il de cuius. Infatti, dopo quindici anni di arroganza politica, a dimostrazione di quanto i dirigenti dei partiti non abbiano saputo fare di meglio – non essendo alcuno emerso come leader di spessore in grado di evitare spezzatini e ribollite-, oggi, sempre gli stessi, ci dicono che vivono una seconda giovinezza e quindi, conseguentemente, si pongono messianicamente come portatori dell'ultima novella. L’Italia, che è un paese di intellettuali e scrittori, di novelle e racconti ne ha di migliori e solo la disperazione fa sì che ancora si sopportino spezzatini, giri di valzer, ribollite, chiacchiere e quant’altro fa notizia. Torniamo ai partitini. I partiti maggiori avendo avuto bisogno anche dei fratelli separati, hanno convissuto con tutti per ben quindici anni. Oggi che la casa paterna è stata sostanzialmente riempita da altri, considerati più affidabili in termini di potere, i partitini vengono condannati non all’esilio, ma a morte. Qui la sentenza. E come ogni sentenza ha un dispositivo chiaro e netto: ”P.Q.M. si dichiara che i voti che andranno ai partitini sono da considerarsi voti dispersi”. Cioè non li votate perché non servono a nulla. Questa è la lezione democratica che viene impartita da chi si candida a riformare la democrazia italiana. Il pluralismo è morto. Chi vuole dire la sua, ma sommessamente, lo faccia all’interno dei due partiti maggiori, altrimenti taccia per sempre. Ora, che i due partiti maggiori rappresentino la storia democratica del nostro Paese può essere raccontato al volgo del quale entrambi cercano di carpire la buona fede, ma che rappresentino realmente quanto vanno affermando è solo l’ennesima, incolta, baggianata che serve a consolidare il potere che sfugge di mano ad una classe politica qualitativamente peggiore di una qualunque ‘casta’. Le ‘caste’, sia quelle Indù che quelle formate da persone che hanno un’origine sociale omogenea ma diversa dagli altri, hanno in comune una cultura e finalità condivise. La nostra ‘casta’ politica ha solo in comune la sopravvivenza al potere in attesa della morte, ovviamente politica. Si profila all’orizzonte un grigio avvenire per il nostro Paese, dove la dialettica rischia di essere considerata, dal neo-regime, qualunquista e quindi dannosa. Si dovrà discutere all’interno dei circoli, delle parrocchie e dei clubs, abbandonando per molto tempo la bellezza del confronto, della replica e dell’approfondimento. Tutto ciò non avverrà solo per volontà dei politici ringiovaniti, ma con il concorso dei potentati: industriali, mass-media e, come sempre, di una serie di personaggi che concorreranno a formare l’ossatura del nuovo regime democratico. Perché di regime si parlerà nel prossimo futuro. Eppure tutti si sperticano a dimostrare il contrario per arrivare all’obiettivo: il potere è mio e guai chi me lo tocca. Il copione è gia stato provato ed oggi va in scena: i radicali, che tanto hanno dato alla democrazia italiana, fuori; i socialisti, che hanno rappresentato la storia del movimento operaio prima e dello sviluppo democratico poi, fuori; i repubblicani, dalla cui tenacia è nata la Repubblica basata sui valori che tutti conosciamo o che dovremmo conoscere, fuori. Tre formazioni che rappresentano la libertà di pensiero, la difesa dei diritti civili ed umani, il progresso intellettuale ed economico; che hanno rappresentato per quasi due secoli la coscienza critica del Paese e tenuta alta la bandiera della società laica contro inopportune invasioni di campo (consentite da politici che, dopo Moro, non si sono minimamente vergognati di accettare suggerimenti dettati da interessi di parte e non da una corretta lettura dei valori costituzionali) oggi sono costrette a vivere di stenti perché assimilate a quei partitini nati, come prima evidenziato, dai partiti maggiori. Questi ultimi, senza alcuna storia sociale, culturale e politica comune, sono uniti solo dal vivere una suggestione etilica composta da astrattezze futuribili. E’ un film girato con la presunzione di chi ritiene di non aver bisogno di conoscere la storia del cinema, perché la storia è lui, è di chi si ritiene alla pari dei diversi leaders europei senza avere alle spalle i percorsi universitari e professionali dei Sarkozy, degli Zapatero o dello stesso Barak Obama. Presunzione che sfiora l’arroganza e che porta il Pd a definirsi il nuovo grazie al quale la società italiana diverrà un modello di giustizia ed efficienza perchè loro, i democratici, ‘vogliono bene al Paese’. Questo non ci tranquillizza affatto perché se il bene è immenso, il peggio non ha mai fine.(Laici.it)

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