Puzza di golpe, rischio di collasso e rabbia da vendere

ROCCO DI RELLA

Cerco di arginare il fiume d'idiozie che tanti pseudo-commentatori stando alimentando dopo la caduta del secondo governo Prodi.
Il cortigiano Giuliano Ferrara ha scritto e detto che la caduta di Prodi è imputabile alla malagiusitizia e al protagonismo politico della magistratura inquirente.
Il Corriere della Sera, che è la sovrastruttura mediatica del capitalismo clanico italiano, imputa al centrosinistra la mancanza di una missione (Panebianco) e le eterne lacerazioni che lo caratterizzano (Galli Della Loggia).
Si tratta di letture dei fatti completamente infondate.
Il governo è caduto per il tradimento di un gruppuscolo di mercenari (Dini, Scalera, Mastella e Barbato) e per la smisurata vanità politica di un monarchico (Fisichella) e di un trotzkista (Turigliatto).
Sono questi sei individui che hanno tradito il patto politico firmato con i loro elettori nell'aprile del 2006.
Nessuno dei suddetti sei senatori capeggia una forza politica degna di questo nome. Quattro di loro non hanno ricevuto nemmeno un voto popolare (Dini, Scalera e Fisichella sono fuoriusciti dalla Margherita; Turigliatto è stato espulso da Rifondazione Comunista); solo Mastella (e il fido Barbato) può vantare un'esplicita, seppur modesta (1,4% dei voti), investitura popolare.
Eccole, con i loro nomi e cognomi, le cause della caduta del governo Prodi: sei senatori che, se si presentassero alle elezioni, raccoglierebbero complessivamente meno dello 0,5% dei voti.
Questa fine del secondo governo Prodi era quella che la destra italiana aveva pianificato quando ha approvato, alla fine della scorsa legislatura, la legge elettorale scritta da Calderoli.
La fine era nota. Quel perverso meccanismo elettorale doveva produrre (e ha prodotto!) la massima frammentazione possibile. Quelle stupide regole dovevano estremizzare ed esasperare la debolezza del governo sancita dal nostro impianto costituzionale. Quel meccanismo elettorale non voleva minimamente contribuire a risolvere le arcinote deficienze del sistema politico italiano, ma aveva l'obiettivo di aggravarle. Sarebbe poi stato un gioco da ragazzi mettere al tappeto un governo debolissimo ed eterogeneo con i potenti mezzi materiali di persuasione di cui dispone Berlusconi.
Se si fosse votato con la legge Mattarella, legittimata da un referendum popolare, il centrosinistra avrebbe sicuramente conseguito un largo margine di vantaggio in termini di seggi, in ragione del maggiore gradimento che i suoi candidati raccoglievano nei collegi uninominali (cancellati dalla porcata calderoliana).
La legge elettorale approvata alla fine del 2005 è una legge golpista, perché va contro l'orientamento e le convinzioni della stragrande maggioranza degli italiani. E' già pronto lo strumento che può permetterci di cancellarla: il referendum Segni-Guzzetta. Se si desse agli italiani la possibilità di esprimersi su quella porcata di legge, si assisterebbe ad un plebiscito in favore della sua cancellazione.
Ecco perché si sente la puzza del golpe attorno alla caduta del governo Prodi: perché la sua caduta è stata determinata da forze politiche insignificanti e perché la legge che lo ha costretto a 20 mesi di vita tormentata va contro la volontà della stragrande maggioranza degli italiani.
La strategia paragolpista messa in atto dalla Destra ricorda il rumore di sciabole che Pietro Nenni udì ai tempi del primo centro-sinistra. E' noto, infatti, che il tentativo di golpe architettato dal generale De Lorenzo nel 1964 era un illegittimo e scorretto strumento di pressione per indurre a più miti rivendicazioni il PSI, che era appena arrivato al governo.
Il maestrino Ernesto Galli della Loggia, anziché scrivere a vanvera sull'indimostrata incapacità di governare della sinistra, dovrebbe chiedersi perché alla sinistra italiana devono essere frapposte illegittime ed odiose difficoltà aggiuntive quando riesce ad entrare nella stanza dei bottoni.
I commentatori politici sono poi pregati di far entrare nelle loro analisi il punto di non ritorno che sta toccando la crisi dell'assetto istituzionale della giovane Repubblica Italiana. E' da 25 anni (dall'istituzione, nel 1983, della commissione Bozzi) che torme di politicanti fingono di discutere di riforme istituzionali, ma, in realtà, fanno di tutto per contrastare l'inequivocabile volontà popolare di semplificazione e di razionalizzazione del sistema politico.
Il reale rischio di collasso della democrazia italiana suggerisce di evitare un'altra assurda campagna elettorale alla quale far seguire un governo instabile e fragilissimo.
Ci vuole un anno di tempo per fare quattro riforme essenziali ed improrogabili: una nuova legge elettorale, il superamento del bicameralismo perfetto, il rafforzamento dei poteri del primo ministro e la riforma dei regolamenti parlamentari.
C'erano le condizioni per approvare queste quattro riforme durante il terzo anno di vita del governo appena caduto; dopo la loro approvazione, si sarebbe potuta anticipare di due anni (dal 2011 al 2009) la fine della legislatura. Un gruppuscolo di prezzolati mercenari ha, purtroppo, decretato la fine di un governo che, malgrado le notevoli difficoltà creategli da un'infame legge elettorale, è riuscito ad ottenere straordinari risultati nell'abbattimento del deficit pubblico (passato, in un solo anno, dal 4,4% al 1,9% del PIL) e si apprestava a dare un concreto sostegno alle fasce sociali con i redditi più bassi.
Per la seconda volta Romano Prodi è stato affondato dopo aver fatto il lavoro sporco. Nell'ottobre del 1998, è stato sfiduciato subito dopo essere riuscito a far entrare l'Italia nel gruppo degli undici stati che hanno avviato l'unificazione monetaria europea. Stavolta è stato abbattuto dopo aver creato le condizioni per portare rapidamente in pareggio i conti pubblici italiani (che non lo sono da almeno mezzo secolo!).
Mette molta rabbia l'idea che a raccogliere i frutti del suo buon lavoro possano essere coloro che lo hanno duramente e rozzamente avversato.

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