di Francesco (Pancho) Pardi
La vicenda Mastella si aggiunge a una situazione che era già molto critica per il centrosinistra. Mancanza di una vera maggioranza, impossibilità di autonomia in aula, necessità di evitare accuratamente tutti i temi scomodi (conflitto d’interessi, televisione…), dubbi sulla consistenza futura della coalizione (Dini e gli altri…), scelta veltroniana del dialogo privilegiato con Berlusconi sulla legge elettorale (teoria del partito a vocazione maggioritaria), urto potenziale con tutti gli alleati minori e quindi collasso virtuale della coalizione, incombere del referendum con conseguenze affini (primazia insuperabile dei due partiti maggiori): tutto ciò aveva già determinato una situazione di grande precarietà.
Le indagini di S. Maria Capua Vetere sulla famiglia mastelliana e le sue parentele bassoliniane aggiungono un fattore in grado di far precipitare rapidamente la crisi. Il centrosinistra senza Mastella non si regge e quindi basta un minimo spostamento di voti da un raggruppamento all’altro per far crollare l’intero castello. La congiuntura mastelliana anticipa le stesse possibilità di crisi prodotte dalla rivolta dei piccoli partiti contro l’ipotesi del patto Veltroni-Berlusconi sulla legge elettorale. Queste erano virtuali, quella è reale.
Da qui un ventaglio di scenari. Il governo cade subito ma non si sa come si andrà al voto. Il governo si trascina fino al referendum e allora in quel caso i tempi si allungano, sia che si inizi un nuovo tentativo di elaborazione di una nuova legge elettorale sia che vi si rinunci, perché dopo il referendum è impossibile andare al voto per motivi di tempo e poi perché subito dopo c’è la finanziaria.
Qualcuno ha detto che Prodi potrebbe essere condannato a restare al governo senza governare. Ma l’impossibilità di governare, e quindi di riconquistare il proprio elettorato, fa comunque prevedere per la prossima scadenza elettorale -in qualsiasi momento cada- le condizioni più favorevoli al centrodestra e le più disastrose per il centrosinistra.
Questo fatto puro e semplice rende insensata la scelta del PD a favore di un premio di maggioranza per il vincitore e il rafforzamento dei poteri del premier. Allo stato attuale delle cose il PD si batte strenuamente per far vincere le elezioni a Berlusconi e garantirgli la governabilità anche in presenza di successo risicato. E siccome è ancora troppo poco, il PD vuole pure rafforzare i poteri costituzionali del vincitore. Rovesciando il vecchio detto: con nemici così Berlusconi non ha alcun bisogno di amici. Non solo: per condurre in modo concordato questa grande operazione di progresso il PD rinuncia a fare la legge sul conflitto d’interessi e quella sulla televisione, in modo tale che quando governerà di nuovo Berlusconi non dovrà nemmeno cambiare leggi scomode e si ritroverà col potere politico accresciuto e il patrimonio personale consolidato.
La vicenda mastelliana fa vedere le viscere della politica reale. Rende visibile ciò che tutti sappiamo da tempo sulla connessione inestricabile tra politica, amministrazione e affari: un saldissimo tessuto di connivenze, ricatti, convenienze, patti conflittuali, nomine, formazione di gerarchie occulte o notissime in tutti i campi delle attività economiche: produttive, infrastrutturali e dei servizi. Una rete inestricabile di alleanze e subordinazioni, un mezzo di dominio oligarchico che sfugge a qualsiasi controllo democratico e garantisce in modo implacabile i ritmi e le forme della propria riproduzione, anche e soprattutto perché esercita un controllo stringente sui meccanismi con cui si formano tutte (tutte) le assemblee elettive. Un meccanismo che basa la propria legittimità sul momento elettorale ma che proprio in quel momento impedisce l’esercizio della volontà popolare.
Per il momento ha scarsa importanza se l’istruttoria di S. Maria Capua Vetere abbia una non scalfibile solidità. Del resto si fanno i processi per accertare le colpe. Se queste fossero già inequivocabili si emetterebbero solo sentenze. Certo, colpisce l’accanimento immediato contro il singolo procuratore, tramite un fuoco di sbarramento che poggia su insinuazioni e sospetti personali; induce a pensare che la sua violenza istantanea sia complementare alla gravità delle accuse. Va infine incorniciato l’argomento risibile della sua incapacità di fronteggiare le conferenze stampa; la supremazia della televisione è arrivata al punto che l’operato di un magistrato viene valutato attraverso il suo comportamento davanti alle telecamere.
Ma ciò che al cittadino appare ancora più grave è la compattezza degli eletti nell’indignazione di fronte all’inchiesta giudiziaria nei confronti di un eletto. Mascherata dalla retorica sulle intercettazioni e sulla loro pubblicità è in realtà una ribellione all’idea che gli eletti possano essere sottoposti alla legge. Ciò che i cittadini oggi devono manifestare non è tanto solidarietà civile all’opera del magistrato (cosa non priva di senso davanti all’omogeneità della casta) quanto piuttosto la pretesa che anche gli eletti siano sottoposti, come tutti gli altri, all’autorità della legge.
E questa manifestazione non si può limitare all’indignazione in rete. Bisogna che trovi l’energia per farsi riconoscere e propagarsi nelle piazze.
Creato da mariaricciardig
Ultima modifica 2008-01-18 20:58