Il caso del Dalai Lama (La sinistra del “vorrei ma non posso…”)

Difficile non mettere in crisi le diverse anime della sinistra quando c’è da trovare una quadra dovendo difendere interessi troppi divergenti e costringendola così ad un sostanziale immobilismo. L’ultima occasione di strappo interno è la prossima visita del Dalai Lama in Italia che a metà dicembre lo vedrà per una settimana in visita a diverse località della penisola. Ospite benvenuto, ma anche scomodo vista l’ evidente irritazione di Pechino ad un eventuale ricevimento del Dalai Lama che risultasse troppo caloroso o a livello istituzionale troppo elevato. Il caso è scoppiato a Torino – dove è stata cancellata la visita di un ministro cinese dopo che il Consiglio Regionale del Piemonte aveva invitato Tenzin Gyatso ad una conferenza – ma soprattutto a Roma, dove il Dalai Lama è invitato da Veltroni ma Fausto Bertinotti ha detto “no” alla richiesta della maggioranza dei deputati (di ogni gruppo politico salvo il PCDI) che chiedevano che il Dalai Lama potesse portare un saluto all’aula, come avvenne per Arafat, Re Juan Carlos di Spagna e Giovanni Paolo II, o almeno affacciarsi alla tribuna. Timoroso delle ripercussioni, il programma di Bertinotti prevede quindi un taglio decisamente più sobrio e nessuna cerimonia pubblica o in aula. Una volta di più l’Italia si ferma un passo prima del dimostrare coraggio, quel coraggio che per esempio ha avuto recentemente la cancelliera tedesca Angela Merkel ricevendo pubblicamente il Dalai Lama o il congresso degli Strati Uniti che – pur a maggioranza democratica – non ha esitato ad invitarlo perché parlasse all’assemblea riunita in forma solenne. Il problema non è certo spirituale, ma politico, con la Cina da sempre porta avanti una politica di delegittimazione del leader tibetano nonostante che il Dalai Lama ribadisca di non ritenersi una autorità politica ma religiosa, non chieda più l’indipendenza del Tibet ma solo una larga autonomia. Pechino considera e tratta il Dalai Lama come “terrorista” (!) e chi non ha il coraggio di protestare per questo evidentemente ha dei timori reverenziali nel ricordare la verità storica della violenta occupazione militare cinese del Tibet. Ancora più grave è far finta di non vedere l’evidente tentativo di “normalizzare” il Tibet in questi ultimi anni violandone l’anima prima ancora che i costumi e le tradizioni popolari. I quartieri di Lasha dove i palazzi d’acciaio hanno sostituito l’architettura tradizionale, abbattuta in modo devastante, ne sono l’esempio più umiliante con la cacofonia dei karaoke che hanno cancellato le preghiere dei monaci. Davanti a questa situazione gran parte del mondo occidentale ostenta ipocriti, grandi elogi verbali al Dalai Lama ma – come l’Italia – non osa poi sfidare il colosso cinese dimostrando che la “realpolitik” degli affari vale di più degli ideali e dei principi. E’ tipico delle società e delle nazioni deboli che temono quelle più forti di loro, magari senza rendersi conto che oggi la Cina è non solo un formidabile impero economico, ma anche una nazione dove non sarà possibile per lungo tempo negare la realtà e la necessità di un riconoscimento più vasto dei diritti umani, a partire da questioni come la pena di morte, il rispetto dell’ambiente, lo sfruttamento di centinaia di milioni di persone e la stessa questione del Tibet. Per tutto questo – convinti – avevamo sottoscritto l’appello a Bertinotti: dimostrasse l’Italia di non aver nulla “contro” la Cina, ma allo stesso tempo rivendicasse la grande validità del messaggio non violento del Dalai Lama, premio Nobel della pace. Un simbolo soprattutto portatore di valori di cui anche la Cina avrebbe grande bisogno per non implodere presto al proprio interno. Chi nota come le cronache politiche di queste settimane siano piene di dichiarazioni di “vorrei ma non posso” da parte di questo o quell’esponente di maggioranza avrà un’ulteriore conferma della reciproca loro debolezza. Chi pensava – che almeno in questa occasione – Prodi e la sinistra avessero il coraggio di rompere un tabù rimarrà deluso, certo è davvero emblematico che – pur di galleggiare – questa sinistra abbia davvero sacrificato ogni anima e ogni principio.

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