Se questa è una donna

di Maurizio Chierici

Se questa è una donna. Pallore dei fantasmi sopravissuti ai lager di un’altra Germania. Filmato immobile. Non alza gli occhi, non muove le mani: pietrificata. Speriamo che un dolore così profondo non finisca nel mercato delle tshirts: c’è chi lo suggerisce. Paradossalmente l’umiliazione della prigioniera racconta l’ultimo capitolo della sua speranza. Perché dopo la foto comincia l’intrigo che in queste ore ne minaccia la vita. Mai così in pericolo. Non solo guerriglieri vetero marxisti, paranoia feroce, ma le ambizioni dei grandi borghesi e gli equilibri strategici di una regione con la sventura del petrolio. Il lampo della cinepresa ne illude la felicità. Ingrid ha scritto alla madre e si è messa in posa per dimostrare di essere viva. Nessuna persona normale si mette in posa per dimostrare d’essere viva, eppure nei gironi dei sequestratori questa obbedienza é dovuta. Ha sciolto i capelli. La treccia scende alle caviglie, quasi calendario del tempo di nessuno: la lunghezza degli anni vuoti sfiora la terra.. Per mostrarsi ai figli e alla madre risveglia la vanità di donna che sdegnava il trucco, ma l’eleganza è una dimensione dello spirito e Ingrid Bertancourt recupera ciò che le è rimasto della dignità. Forse si è guardata allo specchio prima di non guardare l’obiettivo mentre i pensieri attraversavano l’ultimo guado: nell’altra sponda la aspetta la vita di prima. Non immaginava che uniformi e politici di rango stavano preparando trappole per impedirle di tornare. Impossibile mediare con i signori del crimine. Dopo i campi di Hitler è venuta Norimberga. Nessun perdono o cambio di favori con la banda della tortura. Da combattere e sterminare, dottrina Bush. In fondo gli ostaggi sono polvere della storia. Un soffio e nessuno li ricorda. Mentre la cinepresa ne fissa l’immobilità, Ingrid non immagina che la vita pericolosa sta per diventare drammatica. Il presidente che se ne dichiara difensore non la vuole a Bogotà. Mentre mediazioni e diplomazie intrecciavano i sussurri, scombina le carte bruciandone la trama. Ingrid Betancourt che torna in scena è una tragedia insopportabile. Uribe lo ha impedito per cinque anni ma la situazione stava per sfuggirgli di mano.
Il ricordo di chi ha accompagnato Ingrid nella campagna elettorale 1998 impallidisce davanti alla immagine della signora sfinita nel bosco.Vederla ripiegata nel guscio delle persone che < hanno perso la vita >, impossibile ritrovare la ragazza che scaldava gli elettori con polemiche ripetitive e noiose: < ma che colpa ne ho se i notabili dei due partiti al potere continuano noiosamente ad alternarsi nella spartizione di privilegi e corruzione ? >. Voleva tagliare i legami tra narcos e politica. Aveva lasciato il marito a Parigi nei salotti della diplomazia. II figli studiavano attorno ai Campi Elisi. Bella casa, bella vita, grande borghesia: < Ma ogni volta che tornavo a Caracas mi stringeva il cuore. Non potevo far finta di niente, eccomi qua >. Parlava agitando le mani, gli occhi si accendevano: progetti, speranze. Allegria contagiosa. L’intervistatore ne era affascinato. Bellezza soffice: aveva 37 anni. Due settimane dopo diventa la senatrice più votata del paese. Smaschera le mani lunghe che devastano la Colombia nel libro < La rage au coeur >, rabbia nel cuore. Il titolo italiano ha il suono di un annuncio premonitore: < Forse mi uccideranno domani >. Fonda un partito per rompere il duopolio liberali- conservatori: Oxigeno non è un movimento verde ma < aria pulita per la gente che vota >. Attacca il candidato alla presidenza Uribe e la sua sindrome di Washington. Accusa la Farc di affamare i contadini poveri che cinquant’anni prima aveva annunciato di proteggere dalle rapine di latifondo e multinazionali, invece li opprime nella paura con la multinazionale autarchica di chi fa pagare dazio alla produzione di coca. Sempre polvere bianca, dal parlamento alla rivoluzione che non vince e ingrassa. Minacce di morte, bombe sotto casa. Ingrid sa troppe cose. Anche i paramilitari della destra vicina all’ Uribe che aspira a governare in solitudine, non la sopportano. Porta i ragazzi a Parigi e torna per parlare coi guerriglieri. Nel febbraio 2002 affronta la corsa alla presidenza con la disinvoltura di chi non ha paura di niente. Va nei territori smilitarizzati per convincere l’esercito rosso della Farc a riacquistare la ragione. Parte da sola, cammino tortuoso fra le montagne attorno a San Vincente de Coquetà. La accompagna un’amica con la quale divide la speranza di cambiare la Colombia: Clara Rojas, candidata di Oxigeno alla vice presidenza. Il 23 febbraio 2002 finiscono nelle mani Farc e Ingrid diventa merce di scambio. I kmer rossi colombiani vogliono che Clara Rojas torni a Bogotà con le loro pretese: Ingrid da scambiare con 500 guerriglieri sotto chiave nelle prigioni di stato. Ma l’amicizia è un segno profondo. Clara non abbandona la compagna alla fine del mondo. Si innamora, nasce un bambino figlio dell’uomo che la tiene prigioniera: la sindrome di Stoccolama arriva nella foresta. Nella lettera scritta alla madre, Ingrid sospira. < Anche di Clara e del suo bebé non ho notizie >. L’hanno isolata strappandole l’ultimo affetto.
< La lontananza può trasformare un minuto di silenzio nella solitudine più lunga della vita >, scrive Garcia Marquez in < Notizie di un sequestro >. In febbraio la solitudine della Betancourt compirà sei anni, impossibile contare i minuti. La ragazza che non smetteva di parlare è costretta al silenzio e al disagio di essere la sola donna fra carcerieri che hanno 15 anni, stessa età dei militari che li inseguono. Fa il bagno vestita, dorme rannicchiata su un’amaca avvolta nell’ultimo giaccone. Le malattie di chi beve e mangia ciò che raccoglie lungo i sentieri la stanno spegnendo. Eppure nessuno ha davvero pietà. Nell’immagine della sopravvivenza ricorda le signore diafane che illanguidivano le tele primo novecento: quei ritratti dei pittori raccolti nel cenacolo della villa romana Strohl-Fern. L’ombra dei giardini dietro le poltrone. Ma la foresta di Ingrid non è il giardino sul quale si inteneriscono le penne dei salotti, e l’ombra della catena alla quale viene riagganciata quando si spegne la macchina da presa, racconta una vita senza pietà. Fino a quando ? E’ il problema che il presidente Uribe non ha voglia di risolvere. Anni prima della sconsolante telenovela degli ultimi giorni, i familiari della Betancourt e dei 600 ostaggi nelle mani Farc, polemizzano con la presidenza. Non vuole trattare, poi tratta. Vuol vincere con la forza, poi accetta le mediazioni, poi le cancella e fra un po’ le riaccende: ogni strategia è legata ad un filo segreto. Uribe preferisce che Ingrid Betancourt resti sepolta dov’é. E se la donna umiliata e gli altri 600 scudi umani tra esercito e guerriglia sono sempre stati in pericolo, mai come adesso rischiano la vita. Solo in questi giorni il sospetto che il presidente in coda a Chavez nel presentare la riforma costituzionale che gli garantisca rielezione eterna; solo adesso, questi sospetti trovano conferma nelle manovre affannose scatenate per impedire la liberazione di Ingrid Betancourt. Se la prigioniera torna in politica i disegni dell’uomo forte finiscono in niente. L’ultimo messaggio inviato a Bogotà da Sarkozy sottolinea il precipitare della situazione: serve un intervento umanitario, ma subito. Ingrid è davvero in pericolo e la Francia alza la voce pretendendo decisioni urgenti. Ecco cosa è successo dietro le quinte.
In agosto la senatrice Piedad Cordoba chiede al presidente Uribe di coinvolgere il presidente del Venezuela nel riscatto di Ingrid Betancoiurt e degli altri ostaggi. Lo fa mentre Chavez viene accusato da una giornalista venezuelana ( residente a Miami e Washington ) di ospitare i guerriglieri della Farc con Ingrid prigioniera dentro i confini del Venezuela. Beffa crudele, a quale scopo ? Chavez accetta di interessarsi sollecitato da una telefonata del presidente Uribe. Lancia messaggi a Marulanda, padre di una guerriglia senza prospettive. A Santiago del Cile ne riparla con Uribe. Lo informa dell’incontro a Parigi con Sarkozy. Al ritorno da Parigi Chavez si inserisce in una telefonata di Piedad Cordoba : sta discorrendo col generale Montoya, comandante delle forze antiterroriste colombiano. Coraggio, auguri, noi militari ci intendiamo: non tace mai. E Uribe prende cappello: il presidente di un paese non può contattare generali di un altro paese. Missione di Chavez sospesa. Piedad Cordoba sapeva che sarebbe finita così. Prima di andare con Chavez a Parigi, aveva incontrato a Medellin l’ex presidente Samper e Samper l’aveva messa in guardia: Uribe sta lavorando per scaricare Chavez. Ho quasi l’impressione l’abbia usato come allodola. I suoi contatti vengono registrati. Ogni mossa è tenuta d’occhio non solo dai colombiani ma dai nostri amici del Nord. Temo stia per succedere qualcosa. E succede.. La telefonata da un campo base Farc annuncia a Caracas l’invio di immagini e lettere, prova della sopravvivenza degli ostaggi. Pochi minuti e un bombardamento brucia il campo: da quel momento l’uso del cellulare viene proibito ad ogni guerrigliero coinvolto nella missione. Troppi radar incrociano i segnali. Partono i corrieri, direzione Caracas: filmati e lettere nascoste nelle borse da viaggio. Gli uomini di Uribe catturano i postini. Ma immagini e messaggi vengono comunicati alle famiglie con 36 ore di ritardo.I giornali lo scoprono da < indiscrezioni > pilotate in modo da non trasformare la pena della Betancourt in protagonista della costernazione nazionale. Con qualche eccentricità: < El Tiempo > è il grande quotidiano del paese. I proprietari fanno parte della corte di Uribe: ministro e vertici del partito. La notizia che apre la prima pagina trascura l’immagine della signora. Dedica la ribalta ad un tipo dai capelli a spazzola. La canottiera scopre muscoli marines, occhi senza luce da marziano. Keith Stansell è un mercenario Usa. Assieme a due compagni della Microwawe System californiana, quattro anni fa è precipitato in territorio Farc con un aereo spia. I contractors della Microwawe lavorano per il Pentagono in Iraq e Colombia e Keith ruba la prima pagina alla Betancourt. La lettera alla madre viene distribuita con due giorni di ritardo e qualche taglio sospetto. Leggendola si capisce l’imbarazzo di Uribe. Ingrid ringrazia soprattutto Chavez e Soledad, Sarkozy, perfino Bush. Tanti amici, tanti nomi ( in parte cancellati ) ma per Uribe e i suoi ministri neanche una parola. Borges raccomandava di non scrivere quando si è innamorati o addolorati: meglio aspettare l’affievolirsi dei sentimenti. La Betancourt non ne ha tenuto conto. Delinea l’affresco politico della Colombia alla quale non rinuncia. Solidale, meno individualista, mai liberista, impegnata a difendere vita e dignità di tutti: < Questa grandezza dorme purtroppo nei nostri cuori. Cuori induriti che non permettono sentimenti elevati… Fra qualche tempo la recupereremo >. Se Uribe sperava che lo sfinimento della prigionia avesse disarmato l’antica rivale, ecco la risposta ed è comprensibile l’ imbarazzo. Adesso, ne avrà pietà ?(Arcoiris)

mchierici2@libero.it

Cortesia dell’Unità

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