La confusione dialogica

di LAURA TUSSI

INTERVISTA A MASSIMO CACCIARI

Come colloca la Sua storia di formazione rispetto al personale impegno politico, sociale e culturale?

L’impegno politico e culturale si è svolto insieme alla mia formazione e mi sono formato anche tramite l’impegno politico e culturale: vi è un’assoluta complementarità. L’impegno politico non è sopraggiunto, ma è stato intrinseco alle primissime letture, ai primi incontri, e ai giovanili interessi sia filosofici che culturali.

Come può il centro sinistra far fronte alle nuove ed incombenti sfide dettate da una società e da un mondo sempre più globalizzanti, segnati da diversità multiculturali e dalla coesistenza di variegate culture e differenti modi di essere e di pensare?

Il problema non è solo del centro sinistra, è di ognuno di noi, è anche del centro destra. E’ evidente che il mondo non è più semplicemente suddivisibile in civiltà, in classi sociali, ma il pianeta è sempre più un insieme confuso o apparentemente confuso di elementi, per cui occorre cercare di rendere questa confusione “dialogica”, perché altrimenti, prima o poi, catastrofizza e scade nel conflitto, così occorre che queste distinzioni di cultura, di linguaggio, di civiltà, di religione diventino elementi di un rapporto dialogico. Per ottenere questi risultati è necessario intendersi, comprendere le rispettive diversità di linguaggi, saper tradurre una lingua in un’altra, saper costruire analogie: il problema si affronta davvero con una vera cultura dialogica, altrimenti si ottiene o la guerra o l’omologazione universale, ed entrambe le soluzioni non sono adeguate.

Le ultime guerre in medio oriente fanno intravedere diverse tipologie di dittatura capitalista. Quali ne sono le caratteristiche e le negatività più salienti?

La dittatura è una categoria politica assolutamente occidentale. Nessun Paese islamico si definirebbe dittatoriale e propriamente, secondo le nostre categorie, nemmeno è tale. Gli elementi dittatoriali sono stati tutti importati da noi occidentali. Alcuni partiti politici di carattere estremistico, presenti in Siria e anche in Iraq, sono di matrice nazionalista, di stampo occidentale.
Quando si ha a che fare con delle dittature, quasi sempre sono importate da modelli politici occidentali. Non è possibile definire “dittatura” quella dell’Arabia Saudita, anche se è repressiva, perché da un punto di vista politico e formale non è una dittatura, ma sono regimi del tutto peculiari, particolari, che non hanno nulla a che vedere con i regimi democratici occidentali: né la Giordania, né l’Egitto, né il Marocco, sono dittature, pur sussistendo alcuni aspetti che possono ricordare le democrazie liberali. Quindi sarebbe improprio parlare di democrazie liberali per quei paesi dove il sistema si basa su elezioni e parlare di dittatura per quei paesi dove sono presenti elementi assolutamente autoritari.
Dunque bisogna analizzare i vari regimi secondo i particolari principi, la loro storia e non tutto secondo i modelli occidentali.

La Shoah ha precipitato l’umanità verso un abietto declino. Cosa occorre attualmente per esorcizzare ogni spettro di genocidio, stillicidio, di conflitto armato e di negazione di ogni tipologia di diversità all’interno del tessuto sociale? Esistono strategie politiche certe e determinate da parte dei partiti progressisti per far fronte a queste terribili evenienze?

La Shoah è un evento per tanti aspetti e motivi completamente straordinario. Non esistono esempi di genocidi comparabili. La logica della Shoah è estremamente straordinaria rispetto ad ogni genocidio commesso e perpetrato nel passato. La Shoah ha degli elementi e degli aspetti anche culturali e anche religiosi e filosofici assolutamente peculiari. Quindi la Shoah non è ripetibile e riproducibile: è qualcosa di unico, di estremo e irripetibile e non per la quantità di vittime, ma per aspetti meramente qualitativi, in cui il male si è presentato in una forma eccessiva, esclusiva e irripetibile. Per evitare genocidi o comunque politiche di sterminio è necessaria una cultura che sappia riconoscere nella “distinzione”, non un ostacolo o un impedimento o chissà quale grande unità o alleanza, ma un elemento che arricchisce ognuno dei partecipanti alla discussione. La distinzione è un elemento attraverso cui si elabora e si costruisce la propria specifica identità che non costituisce un ostacolo, ma è il processo attraverso cui definisco l’identità.
Questa è la cultura per sopportare e tollerare, nel senso più pregnante del termine, la complessità del mondo contemporaneo. Se di fronte a questa complessità ci si arrende e si propugna la strategia di ridurre il complesso, lo renderemo sempre più ingovernabile, perché la complessità è implicita e sussiste nelle cose, non è l’effetto di una cattiva politica o di una maldestra intenzione.

Quanto la Shoah è figlia del Cristianesimo?

Vi è una drammatica e tragica componente della storia e della teologia cristiana assolutamente, radicalmente e violentemente antigiudaica, prima ancora che antisemitica e questo caratterizza celebri passi di grandi Padri e Dottori della Chiesa, sia nel versante cattolico, sia nel versante protestante e ortodosso. Quindi sussiste un peccato profondo, radicale, di cui il Papa ha chiesto perdono. Sarebbe assolutamente sbagliato porre in lineare continuità questo antigiudaismo, che caratterizza ed è presente con forza in tanti momenti della storia della cristianità, con la Shoah. Sarebbe proprio un errore, un drammatico controsenso. Questo non per rimuovere o ridurre la colpa e il peccato che la cristianità ha commesso e di cui il Papa ha chiesto appunto perdono, ma per un altro motivo, ossia che non sussiste questa continuità. L’antigiudaismo di Hitler non ha affatto quelle stesse basi teologiche proprie dell’antigiudaismo della cristianità, anzi nel disegno di Hitler era chiarissimo che dopo la fase di soppressione e di eliminazione dell'elemento giudaico era necessario e si doveva passare ad una fase radicalmente e dichiaratamente di lotta alla cristianità e al cristianesimo. Le radici dell’antigiudaismo di Hitler hanno tuttaltre origini, ossia matrici di un certo gnosticismo, di un certo paganesimo gnostico, comunque assolutamente anticristiane. I grandi teologi e testimoni cristiani avevano avvertito immediatamente anche la Santa Chiesa, di fare attenzione alla guerra finale di Hitler che era proprio contro la cristianità. Quindi radicalmente e culturalmente è sbagliato porre una qualunque continuità tra cristianesimo e Olocausto. Certo, il fatto che sussistesse una tradizione antigiudaica ha facilitato i compiti di Hitler, senza dubbio, perché la società tedesca non era come quella italiana e francese, non avevano gli anticorpi contro il messaggio antigiudaico e questo è colpa della chiesa e della cristianità. Invece, l’antigiudaismo nazista o di certi fascismi dei Balcani, si colloca in un contesto razzistico, ma questo è l’opposto di tutta la tradizione cristiana che appunto è antigiudaica per il peccato commesso da Israele, ma nello stesso tempo i cristiani sono sempre stati per il melting-pot, sono i cristiani quelli che creano l’Europa medievale proprio mettendo insieme, come dice Agostino, uomini di tutte le razze, di tutte le lingue e questo dimostra che il cristianesimo non è mai stato razzista, assolutamente: il messaggio universalistico cristiano dice “bisogna andare alle genti”. La cristianità è responsabile dell’olocausto solo nel senso che non è riuscita a creare anticorpi e resistenze forti contro l’antigiudaismo nazista.
Laura Tussi

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